È oggi una campagna globale, quella per il naloxone consegnato in mano a chi usa sostanze. Il naloxone è il farmaco salvavita in caso di overdose da oppiacei, e nella gran parte del mondo può essere utilizzato solo dai medici o acquistato solo con ricetta: per questo la sua libera accessibilità è diventata una battaglia mondiale per un diritto, quello alla vita, in un momento in cui in molti paesi le overdose da oppiacei conoscono un nuovo incremento. Non così in Italia: per una volta ci ritroviamo leader a livello mondiale in una pratica di riduzione del danno (RdD), la distribuzione del naloxone ai consumatori e alle loro reti amicali e famigliari, essendo da noi un farmaco da banco, che chiunque può acquistare ed utilizzare in caso di pericolo di vita. Così a decorrere dai primi anni ’90 i servizi di RdD hanno cominciato la distribuzione, accompagnata da informazione e formazione ai consumatori, per poi divenire pratica consolidata – almeno nelle regioni dove la RdD intervene. Una storia ormai più che ventennale, con 57 servizi attivi, che ha molto da insegnare a livello mondiale, rispetto a cui giungono richieste di informazione da ogni angolo del mondo. Ma una storia sconosciuta: la letteratura sul modello italiano è assai scarna, tanto che le rassegne internazionali paradossalmente a mala pena la citano. A livello istituzionale, si sa, la RdD sconta ancora oggi scarso o nullo sostegno politico e attenzione in termini di ricerca, non stupisce che non un euro sia stato investito per conoscere questa esperienza. Ancora una volta, società civile e operatori prendono l’iniziativa e suppliscono: esce oggi la ricerca “Prevenire le morti per overdose da oppiacei. Il modello italiano di distribuzione del naloxone”, promossa da Forum Droghe con Eclectica e i Dipartimenti Dipendenze ASL Torino ex2 e 3 e Napoli 1 Centro.
La ricerca ripercorre e valuta storia e modello operativo dell’intervento, centrato sui servizi a bassa soglia, secondo una doppia prospettiva, quella degli operatori e quella dei consumatori, raccolta con questionari e focus group, trovando tra i due gruppi un alto livello di convergenza (e anche questo è un risultato). La ricerca non ha lo scopo di dimostrare una correlazione diretta tra il naloxone distribuito e il drastico calo delle overdose in Italia – in controtendenza con molti stati europei – proprio a decorrere dagli anni dello sviluppo della RdD (dai 470 decessi del 1999, ai 280 del 2005, 154 del 2010 fino ai 101 del 2015); ma certo dimostra come investire sui consumatori e le loro competenze significhi avere una rete capillare di salvataggio – chi più di frequente assiste a una overdose è un altro consumatore, accrescere il loro sapere in prospettiva di limitazione del rischio, e non solo delle overdose, favorire il legame con i servizi di RdD, incentivare le pratiche solidali. Senza contare che si tratta di un intervento sostenibile, a basso costo. Molte le “lezioni apprese” a cui la campagna internazionale potrà rifarsi; ma non meno quelle mirate al contesto italiano, dove la distribuzione del naloxone è una lotteria (e una lotteria cinica, dato che si parla di vita o morte): intere regioni, soprattutto al Sud, non ne dispongono, i SerD giocano un ruolo debole, e farmacie e medici di base non fanno rete. Quei 101 casi del 2015 potrebbero scendere ancora: anche una sola morte è troppo, se è evitabile. La campagna di advocacy per il naloxone, allora, sarà anche italiana.
La ricerca di Forum Droghe è on line su fuoriluogo.it/naloxone