I boschi e le montagne di un corridoio biologico nel Caribe e le comunita’ indigene soffrono i soprusi dei contrabbandieri di droga, che si approfittano di governi deboli, situazioni conflittuali di proprieta’, alto livello di poverta’, cambio del clima, disboscamenti illegali, megaprogetti di infrastrutture ed espansione del business agricolo.
Tutto questo fa parte di un pacchetto di informazioni rese note ieri 17 marzo nella capitale del Costarica ed elaborate dalla “Alianza Mesoamericana de Pueblos y el Programa Salvadoreno de Investigacion sobre Desarollo y Medio Ambiente” (PRISMA), coordinata con universita’ Usa e gruppi non-governativi del Messico e del Centroamerica.
Su tutto pesa il fatto che la crisi sta attaccando duramente la regione de La Mosquitia, in Honduras e in Nucaragua, mentre sono a rischio alcune zone caraibiche piu’ prospere come Panama e Costarica.
“Nei paesi rurali del Peten, oggetti di disputa, si incontrano nuove zone per importanti trasferimenti di droghe miste a strade secondarie di trasporto verso il Messico. Nel parco nazionale “Laguna del Tigre” e nelle aree protette dal comune di Sayaxchè, l’intensificazione del narcotraffico ha coinciso con un aumento annuo di deforestazione tra il 5 e il 10%. Alcune analisi catastali confermano che i narcotrafficanti sono proprietari di grandi aziende agricole all’interno della Laguna del Tigre ed altre aree protette” -si legge nella nota informativa.
“Luoghi di intensa deforestazione si presentano li’ dove sono i nodi del traffico, in particolare presso i piu’ importanti centri di trasferimento delle droghe nelle zone orientali di Nicaragua e Honduras. Per esempio, nel 2011, la ‘Reserva de la Biosfera Rio Plàtano’ dell’Honduras, e’ stata qualificata dall’Unesco (organismo Onu per educazione. scienza e cultura) come Patrimonio dell’Umanita’ in Pericolo, in virtu’ degli allarmanti tassi di perdita di boschi per la presenza di narcotrafficanti, con le molteplici piste clandestine di atterraggio nel lago e per tutta la riserva”.
La zona deforestata in Honduras riguarda piu’ di 5,2 milioni di ettari, secondo l’ufficio ambientale della Nasa degli Usa.
La deforestazione “aumenta al medesimo ritmo della crescita del transito di cocaina attraverso il bosco dell’Honduras orientale. La grande quantita’ di zone deforestate che sono state individuate (piu’ di 5,2 milioni di ettari), relazionata con le attivita’ agricole degli indigeni (meno di due milioni di ettari), indicano la presenza di fattori e capitali inusuali sul territorio. Nello stesso modo, ne El Peten in Guatemala, l’ingresso di una quantita’ di cocaina senza precedenti nella regione, ha coinciso con un periodo di grande deforestazione”.
Grazie ad una minuziosa descrizione del fenomeno, gli studi hanno determinato che i narcotrafficanti ricorrono a “tre metodi relazionati tra loro” col risultato che la deforestazione ha a che fare con il transito delle droghe.
Il primo e’ tagliare i boschi per aprire strade e piste clandestine di atterraggio. Il secondo e’ intensificare le gia’ esistenti pressioni sui boschi, introducendo quantita’ senza precedenti di denaro e armi in zone di frontiera “che e’ possibile grazie a governi deboli”. “Quando i residenti produttori, coltivatori di palme da olio, speculatori immobiliari e trafficanti di legno si mescolano col narcotraffico, si narco-capitalizzano e diventano piu’ audaci, perche’ espandono le proprie attivita’, generalmente a pregiudizio dei mini-proprietari (indigeni) che spesso sono i difensori piu’ importanti dei boschi”.
In questa situazione, c’e’ da aggiungere che indigeni e contadini “si dichiarano impotenti contro le tangenti, le frodi immobiliari e le brutalita’ che li spogliano delle proprie terre. L’amministrazione dei boschi, ai livelli piu’ alti, e’ distrutta da violenza e corruzione: i gruppi per la conservazione dell’ambiente hanno ricevuto minacce ed hanno paura ad entrare nelle narco-zone, mentre la autorita’ locali ricevono tangenti per guardare altrove”.
Il terzo metodo e’ che “gli immensi guadagni” ottenuti dal narcotraffico sono un “forte incentivo” perche’ le reti criminali si interessino delle attivita’ agricole. “Trasformano i boschi in terreni agricoli (essenzialmente pascoli o piantagioni di palme da olio). I guadagni richiedono di essere riciclati. L’acquisizione e il “miglioramento” di terre remote (per deforestazione) permette che i dollari si convertano in attivita’ private senza lasciare traccia e, di conseguenza, legittima la presenza” dei cartelli del narcotraffico grazie alla copertura di una produzione agropastorale.
“Le grandi narco-proprieta’ servono anche a creare dei monopoli sul territorio per contrapporsi ad organizzazioni rivali di narcotrafficanti e far rendere al massimo le attivita’ dei trafficanti”.
Anche se comprare boschi in aree protette e indigene e’ illegale, i narcotrafficanti “hanno abbastanza influenze politiche per assicurarsi l’impunita’ e, se necessario, falsificare i titoli di proprieta’ delle terre. In questo modo possono ottenere benefici dalla speculazione immobiliare, vendendo ad organizzazioni criminali (nazionali e straniere) che, con maggiore frequenza, utilizzano l’attivita’ rurale come diversificazione del proprio business”.
La situazione si aggrava quando il crimine organizzato comincia a vendere queste proprieta’ a “interessi corporativi legali” che investono in attivita’ agropastorali in Centroamerica. “Il risultato e’ che i boschi si convertono in modo permanente in terreni agricoli”.
Secondo i documenti, grazie a frontiere permeabili, corrusione e debolezza istituzionale pubblica, luogi remoti di Guatemala e Honduras con “scarsa popolazione e poca presenza dello Stato” in zone limitrofe ai boschi, “offrono condizioni ideali” per i trafficanti, mentre il Centroamerica si sta consolidando in questi ultimi anni come un ponte per il contrabbando di stupefacenti dalla Colombia verso Messico e Usa.
In una intervista al quotidiano El Pais, la statunitense Kendra McSweeney, ricercatrice del Dipartimento di Geografia dell’Universita’ statale dell’Ohio, nonche’ coautrice di questo studio, ha spiegato come il fenomeno si e’ aggravato da quando l’Esercito messicano ha lanciato, nel 2006 e 2007, la guerra al narcotraffico, e i cartelli messicani hanno esteso le proprie attivita’ in Centroamerica.
“Negli ultimi sei anni, soprattutto, abbiamo visto un vero e proprio tsunami di cocaina che passa per le vie terrestri in Mesoamerica. La droga e’ sempre passata attraverso il Centroamerica, ma non come negli ultimi anni”. “I trafficanti lavorano in zone boscose per trafficare e pulire i loro sporchi profitti e investire i loro altrettanto sudici dollari in pascoli, bestiame, miniere. Agro-business come la palma africana, e i boschi si trasformano in praterie per il narcotraffico”.
La narco-deforestazione sta dilagando in Centroamerica
Articolo di Redazione
Articolo di José Meléndez, pubblicato sul quotidiano El Pais del 18/03/2014, traduzione a cura del Notiziario Droghe Aduc.