Con la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), sancita dalla legge 81/2014, ha preso avvio un sistema completamente nuovo di trattamento per i soggetti affetti da patologia psichiatrica e autori di reato (i cosiddetti “folli rei”), i quali, dichiarati non imputabili per infermità di mente, in precedenza erano rinchiusi negli OPG. Alla base della riforma del 2014, la visione del “folle reo” come di un malato primariamente, bisognoso di cura. In coerenza, il nuovo sistema delineato dalla l.81, è in carico al SSN ed è imperniato sul trattamento del malato: da eseguirsi di regola sul territorio, e, solo come misura estrema, in modalità residenziale per i soggetti sottoposti a misura di sicurezza in apposite strutture (le Residenze per Esecuzione Misure di Sicurezza-REMS). La chiusura degli OPG ha però avuto un riflesso anche sul carcere, sui soggetti detenuti con patologia psichiatrica (pregressa o sopravvenuta durante la detenzione), i cosiddetti “rei folli”: anche questi finivano in OPG, che funzionava – a finalità puramente custodiale- come grande e indistinto contenitore di soggetti e patologie diverse, secondo la logica manicomiale. Il carcere, e prima il sistema giudiziario affrontano oggi il problema di operare nei confronti delle persone condannate con patologia mentale (i “rei folli”) secondo il paradigma alla base del nuovo sistema per i non imputabili (i folli rei): anche i “rei folli” (le persone condannate e affette da patologia psichiatrica grave), hanno il diritto a essere riconosciute primariamente come pazienti, bisognosi di cure, che dovrebbero essere prestate di regola fuori dal carcere, sul territorio. A questo passaggio di paradigma si frappongono diversi ostacoli, di natura normativa, culturale, di prassi consolidate dell’epoca degli OPG, di inadeguata applicazione della riforma sanitaria in carcere.
La questione così complessa dell’assistenza ai “rei folli” – fra adeguata diagnosi e primo indirizzo trattamentale in carcere e cura più a lungo termine sul territorio – non ha l’attenzione che merita. A ciò si aggiunga che anche il tema più vasto della tutela della salute mentale dei detenuti e delle detenute, specie in chiave preventiva, è ampiamente trascurato, nonostante le ricerche epidemiologiche individuino una più alta prevalenza di disturbi della popolazione carceraria rispetto alla popolazione generale, in primis per i disturbi da stress per la detenzione.
Un progetto, promosso dalla Società della Ragione in collaborazione con il Garante dei detenuti della Regione Toscana ed il sostegno economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, si è proposto di colmare il vuoto in primo luogo di conoscenza circa l’effettiva funzione svolta dal sistema sanitario in carcere e la sua efficacia nella tutela della salute mentale, sulla condizione dei malati più gravi, fra diritto ad essere curati – di regola fuori dal carcere- e effettivo trattamento ricevuto e sull’atteggiamento dei vari operatori coinvolti (della sanità, della giustizia, del carcere) rispetto alla prevenzione nel campo della salute mentale e alla problematica delle persone con disturbi psichiatrici gravi e il loro livello di collaborazione.
La ricerca, condotta da Giulia Melani, Katia Poneti e Lisa Roncone, con la supervisione scientifica di Franco Corleone, si è concentrata sul carcere di Sollicciano a Firenze ed ha prodotto un report finale “Salute Mentale e Assistenza Psichiatrica nel carcere di Firenze Sollicciano” che è scaricabile dal sito de la Società della Ragione.