La Thailandia, da qualche giorno, è la prima nazione asiatica ad aver legalizzato la coltivazione della marijuana. Chiunque potrà coltivare in casa fino a 6 piantine, previa registrazione presso la locale Food and Drug Administration o tramite la nuova app “Plant Ganja”, mentre alle aziende verrà rilasciato un permesso (per i trasgressori fino a 3 anni di carcere o una multa di 8.600 dollari). Per incoraggiare la produzione, il governo ha inoltre annunciato che regalerà, fino a fine giugno, un milione di piantine alle famiglie che intendono coltivare. Consentita anche la vendita del raccolto. Resta invece formalmente vietato il consumo ricreativo, avvertendo che chi fumerà cannabis in pubblico rischierà fino a 3 mesi di carcere e quasi 800 dollari di multa. «Dal nostro punto di vista, uno dei principali risultati positivi di questa modifica delle attuali norme è che verranno rilasciate almeno 4.000 persone attualmente detenute per reati relativi alla cannabis», ha dichiarato Gloria Lai, direttrice regionale per l’Asia dell’International Drug Policy Consortium (DPC), una rete di organizzazioni della società civile che si battono in tutto il mondo per la riforma delle politiche sulle droghe, all’emittente no profit statunitense Npr. Il segretario di Forum Droghe (sigla italiana che fa parte del DCP), Leonardo Fiorentini, ha dichiarato al manifesto: «Ritengo positivo che uno dei Paesi storicamente più proibizionisti al mondo, che per i reati di droga prevede anche la pena di morte, rimuova lo stigma nei confronti della pianta e la ritenga una risorsa per le politiche sanitarie e l’economia del Paese».
LA NUOVA LEGGE thailandese, come detto, non disciplina però il commercio, né consente l’uso ricreativo. L’unica apertura per il consumo umano riguarda i locali pubblici, che potranno vendere alimenti e bevande contenenti cannabis, a patto che contenga meno dello 0,2% di Thc, il principale principio psicoattivo della marijuana. Ma nonostante questa limitazione, fin dal primo giorno, davanti ai punti vendita, gli acquirenti hanno ugualmente fatto la fila. In Parlamento è inoltre in discussione un progetto di legge più ampio, che potrebbe presto portare ad ulteriori concessioni.
Fino a giovedì scorso, per la produzione di cannabis si rischiavano 15 anni di carcere o una multa di 43.000 dollari. Parte da secoli della locale medicina tradizionale, la cannabis era stata messa al bando per la prima volta nel 1934, con il Marijuana Act. Al quale, nel 1979, si è aggiunto il Narcotics Act che vietava l’uso della cannabis, inserendo marijuana e derivati nei narcotici proibiti di categoria 5. L’inversione di rotta del governo thailandese era nell’aria tempo, fin dalle elezioni generali del 2018, con le quali la giunta militare ha cercato di legittimare il proprio potere assunto con un golpe quattro anni prima. Dodici mesi dopo il voto, con la legge numero 7, l’esecutivo aveva già legalizzato l’uso della marijuana per scopi medici. Anche in quel caso, come prima nazione dell’Asia. Decisione che ha fatto poi da apripista al via libera alla coltivazione di questa pianta, destinata quindi al momento al solo uso medico. In pratica per consumarla legalmente servirà la prescrizione medica. L’obiettivo dichiarato è creare un nuovo mercato che, secondo il governo, potrebbe valere circa 2 miliardi di dollari l’anno. Il vice premier thailandese, nonché ministro della Salute, Anutin Charnvirakul, già un mese fa aveva confermato a mezzo social che la legalizzazione della coltivazione della cannabis «è un’opportunità di guadagno sia per i cittadini, sia per lo Stato», che ovviamente tasserà la vendita del raccolto.
ALLA CNN, IL TITOLARE del dicastero della Salute ha poi aggiunto: «Non abbiamo mai pensato di incoraggiare l’uso ricreativo della cannabis, che potrebbe dar fastidio agli altri». Avvertendo in tal senso anche i turisti stranieri che ogni anno popolano le isole e le spiagge del Paese: «Non vi accoglieremo per questo scopo, in tal caso non venite proprio perché non potrete fumare canne liberamente».