Una premessa, guardando al panorama italiano e internazionale. La valutazione delle politiche sulle droghe non è mai stata presa in considerazione da parte delle istituzioni, non fosse altro perché contrasta con l’approccio retorico e dogmatico delle politiche antidroga. Parlando delle Convenzioni Internazionali, Peter Cohen ha scritto che le Convenzioni sono come i “testi sacri” della “Chiesa della Proibizione” (leggi le agenzie ONU che presiedono alle politiche internazionali). La valutazione del dogma proibitivo è un paradosso di principio, destinato in ogni caso a ribadire l’assunto iniziale. E infatti tutte le volte che gli Stati Membri delle Nazioni Unite sono stati chiamati a “valutare” ogni dieci anni le strategie di contrasto alle droghe, la valutazione è stata intesa come semplice esame (assessment) del processo di implementazione di dette strategie, non certo come verifica e valutazione dell’appropriatezza degli obbiettivi e dei mezzi per raggiungerli.
Quanto alle politiche nazionali, la progressiva enfasi sul valore simbolico del penale, cruciale nell’approccio “morale” alle droghe, contrasta con ogni evidenza con l’approccio pragmatico alla base della ricerca valutativa.
Ciò spiega come mai la valutazione delle politiche sia stata uno dei cavalli di battaglia del movimento riformista, nel tentativo di contrastare l’approccio morale alle droghe; e come mai la ricerca valutativa sia stata promossa dalla società civile, contro l’inerzia delle istituzioni.
Ragionerò perciò su due esperienze promosse dall’associazionismo.
Lo Shadow Report: A decade of Drug Policy
La prima, a livello internazionale: “Taking stock: a decade of Drug Policy – A civil society Shadow Report”, uscito nel 2018 per opera di International Drug Policy Consortium . Il Rapporto Ombra affronta la valutazione del piano d’azione decennale delle Nazioni Unite del 2009, che avrebbe dovuto essere eseguita nel Segmento ad Alto Livello della Commission on Narcotic Drugs (CND) del 2019.
Va precisato che il lavoro delle ONG internazionali è ben antecedente. E’ iniziato in vista della UNGASS Review 2009, il Segmento ad Alto Livello della CND 2009 incaricato della valutazione del Piano d’azione varato all’Assemblea Generale ONU Speciale sulle Droghe del 1998 (UNGASS 1998). UNGASS 1998 è l’evento noto per aver lanciato il famoso slogan “A drug free world, we can do it”, tradotto nell’obbiettivo del Piano d’Azione di “eliminazione o riduzione significativa della coltivazione delle principali droghe illegali in dieci anni”. Ma, come già accennato, alla scadenza decennale dedicata alla revisione (review) del piano d’azione 1998, la CND si limitò alla cosiddetta “valutazione di processo”, ovvero alla ricognizione degli sforzi fatti nella implementazione del piano, non invece alla verifica del raggiungimento dell’obbiettivo prefissato (valutazione di esito). Per fare un esempio: è stato verificato il numero di ettari di coltivazioni illegali sradicate, non certo il raggiungimento dell’obiettivo di eliminazione delle coltivazioni illegali. A riprova, nel 2009 l’obiettivo è stato riproposto tale quale.
Per tornare allo Shadow Report. Gli estensori non si sono limitati a considerare le azioni presenti nel piano d’azione 2009 conseguenti agli obiettivi tradizionali (riduzione della domanda, riduzione dell’offerta), ma hanno tenuto presente il documento finale (outcome document) di UNGASS 2016. Questo perché l’Assemblea Generale ONU sulle droghe del 2016, nella discussione e nel documento finale, ha rappresentato un passo avanti rilevante. Lo Outcome Document contiene ancora gli obiettivi e le azioni tradizionali, ma insieme fa riferimento a un numero di “questioni sensibili”, che sono la base per costruire nuovi obiettivi e nuovi indicatori.
Fra queste questioni sensibili citiamo: i mutamenti di contesto (evolving realities, trends and challenges), nuove sostanze, modelli, evoluzione dei mercati; diritti umani (quanto le politiche della droga sono in linea col rispetto dei diritti umani); sviluppo (quanto le politiche delle droghe sono in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile); accesso alle medicine derivate da sostanze proibite (va ricordato che un obiettivo del controllo internazionale sulle droghe, finora largamente disatteso, è di assicurare che la proibizione non impedisca la produzione e l’utilizzo di farmaci indispensabili).
Nel documento finale di UNGASS 2016 la novità più significativa consiste nel riportare le politiche della droga nell’alveo delle politiche fondanti delle Nazioni Unite (mirate alla pace, alla promozione dello sviluppo sostenibile, alla tutela dei diritti umani). Si prende atto che l’obiettivo della “eliminazione” delle droghe illegali ha portato a violazioni del diritto alla salute e di altri diritti umani (si veda ad esempio le politiche di fumigazione delle coltivazioni illegali, a detrimento della salute dei contadini, della salubrità dei territori, con riflessi negativi sullo sviluppo economico e sociale delle popolazioni).
L’aspetto più interessante dello Shadow Report è dunque nell’individuazione di nuovi obiettivi e di nuovi indicatori.
Ad esempio, a partire dal rispetto dei diritti umani e dall’aggancio allo sviluppo sostenibile, viene proposto come nuovo obiettivo: “ridurre il numero delle persone incarcerate per droga che sono al di sotto della soglia di povertà e che sostengono la famiglia”.
Sempre nell’ambito dei diritti umani, emerge l’obiettivo di allineare la legislazione penale sulle droghe al principio di proporzionalità fra le pene e la gravità del reato, uno dei principi fondamentali dello stato liberale. Questo obiettivo generale è articolato in una serie di obiettivi specifici quali 1) Rimodulare e ridurre le pene per reati di droga, facendo sì che queste non superino le pene previste per i reati contro la persona, in particolare il reato di omicidio (si pensi all’Italia in cui per i reati di spaccio e traffico sono previste pene carcerarie fino a venti anni; 2) ridurre l’impatto dei reati minori di droga sul carcere prevedendo per questi pene non detentive; 3) ridurre la proporzione di autori di reati di droga in custodia cautelare (per l’Italia, la Relazione al Parlamento del 2018 riporta una percentuale di ben il 71% di accusati per reati di droga sull’insieme dei soggetti in custodia preventiva).
Ancora, nell’ambito dei diritti umani, un diritto fondamentale è il diritto alla salute. Lo Shadow Report sottolinea che l’aver posto come obiettivo unico l’astinenza, in conformità con l’obiettivo di “eliminare l’offerta e la domanda di droga” (a drug free world, we can do it), è stato un notevole ostacolo all’uso dei trattamenti con sostanze sostitutive, che hanno dalla loro evidenze scientifiche di efficacia. In tal modo, non si è rispettato il diritto alla salute delle persone che usano droghe. Occorre cambiare rotta e articolare una pluralità di obiettivi, in un’ottica di riduzione del danno. Ad esempio: obiettivi di step down nell’uso, di passaggio a sostanze meno rischiose, di passaggio a contesti e modelli di consumo più sicuri.
L’esperienza dei Libri Bianchi (2009-2018)
I Libri Bianchi sono nati per iniziativa di alcune associazioni (Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone), presto allargatasi a molte altre (CGIL, Gruppo Abele, San Benedetto al Porto, CNCA, ITARDD etc.): con l’idea di monitorare l’impatto sulla giustizia e sul carcere della svolta punitiva rappresentata dalla legge Fini Giovanardi del 2006. Il Primo Libro Bianco uscì nel 2009, riportando i primi tre anni di applicazione della legge penale. Da allora in poi, i Libri Bianchi sono usciti tutti gli anni, diventando un appuntamento di bilancio delle politiche sulle droghe. Il nucleo del Libro Bianco è rimasto il monitoraggio della normativa penale, ma negli anni si è allargato ad altri aspetti delle politiche (i modelli di consumo, i servizi, la ricerca etc.)
Per la parte penale, gli indicatori presi in esame riguardano: 1) la percentuale di ingressi in carcere di autori di reati di droga (sull’insieme degli ingressi); 2) la percentuale di presenze; 3) la percentuale di tossicodipendenti; 4) gli autori di reati di droga in misure alternative 4) la tipologia e la gravità dei reati di droga per cui le persone sono imprigionate.
Quest’ultimo indicatore è particolarmente importante per valutare se la legge (e la sua applicazione attraverso l’azione di polizia) sia davvero indirizzata a portare in carcere gli autori dei reati più gravi (come hanno sempre sostenuto i governanti, anche quelli più proibizionisti). Inoltre, attraverso questo monitoraggio, possiamo giudicare se la legge italiana (e la sua applicazione) seguano indirizzi di politica penale in linea col rispetto dei diritti umani, secondo i criteri indicati nello Shadow Report e già citati. In questo senso, l’esperienza decennale dei Libri Bianchi precede l’elaborazione dello Shadow Report e del movimento internazionale.
Nel lavoro di ricerca valutativa dei Libri Bianchi, la scoperta più interessante è stata l’assenza di indicatori per rilevare la gravità dei reati di droga nella popolazione detenuta. Ciò è dovuto in parte alla struttura stessa dell’articolo centrale della legge antidroga, ricalcato sulle Convenzioni Internazionali: si tratta dell’art.73 del Testo Unico 309, laddove equipara le condotte più gravi a quelle meno gravi e individua la semplice detenzione come condotta “base” criminale (Chiunque importa, esporta, traffica ..mette in vendita.. cede ..o comunque detiene). E’ vero che la legge del 2006 ha sempre preso in considerazione la “lieve entità” della condotta (art.73, comma 5): ma solo come circostanza attenuante, che in giudizio spesso veniva controbilanciata da eventuali aggravanti. Come conseguenza, non solo il comma 5 come semplice attenuante non permetteva di distinguere con chiarezza i reati meno gravi (minor drug crimes) ai fini dell’irrogazione delle pene, ma neppure compariva nella rilevazione delle informazioni sulla tipologia della popolazione detenuta, e spesso neppure veniva annotato nel fascicolo del detenuto. Dunque, l’individuazione degli strumenti utili a rilevare la gravità o meno dei reati si è congiunta, rafforzandolo, con l’obiettivo politico di sottrarre i reati minori ai rigori delle alte pene previste dalla legge antidroga: obiettivo perseguito anche a livello internazionale, poiché, come si è visto, il movimento riformista chiede che gli autori di minor drug crimes non entrino in carcere ma accedano direttamente alle misure alternative.
Per allontanare il mirino dai “pesci piccoli”
Tornando alla struttura dell’art.73, qualche considerazione va aggiunta. Il fatto che la semplice detenzione sia la condotta base incriminante ha diverse conseguenze. Si dice che in Italia sia in vigore la depenalizzazione della detenzione a uso personale: a parte il fatto che la detenzione a uso personale è comunque severamente punita da sanzioni amministrative durissime (particolarmente inasprite dalla legge Fini Giovanardi), l’individuazione della fattispecie di “detenzione a uso personale” è in subordine rispetto alla detenzione come condotta base nell’art.73. Ciò permette la massima discrezionalità della polizia: in parole povere, intanto si denuncia o si arresta sulla base del 73, e solo successivamente si potrà valutare se quella detenzione riguardi l’uso personale o meno. Con ciò si conferma come l’impianto stesso dell’articolo fondante della legge antidroga (art. 73) sia squisitamente antigarantista: la condotta di detenzione è comunque reato salvo che l’imputato possa dimostrare che la droga detenuta sia per uso personale. Inoltre, porre come condotta-base la detenzione già di per sé indirizza l’azione repressiva verso i “pesci piccoli”.
Come già detto, si è rilevato che mancavano nel sistema informatico del carcere gli elementi di informazione utili per rilevare la qualità dei reati di droga. Per cogliere questa variabile, alcune associazioni italiane (Forum Droghe, Fondazione Michelucci, Società della Ragione) hanno intrapreso un lavoro di ricerca in profondità sui fascicoli dei detenuti in alcune carceri della Toscana, portato avanti in più step. Queste ricerche sono arrivate a consultare oltre mille fascicoli di detenuti, integrando le informazioni dei documenti ufficiali (Relazioni al Parlamento e dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria); e permettendo di verificare come l’applicazione della legge antidroga sia costantemente orientata “verso il basso”, in coerenza con l’impianto stesso della legge.
Per concludere. L’iniziativa dei Libri Bianchi ha assolto funzioni molteplici:
Ha svolto un’azione politica diretta di promozione della ricerca valutativa. La qualità dell’elaborazione dei dati disponibili e le ricerche in profondità hanno conferito autorevolezza alle associazioni, con un guadagno di riconoscimento di competenza, e nel campo delle politiche valutative, e nel campo delle politiche penali.
Ha svelato le carenze nella rilevazione istituzionale dei dati e ha ideato nuovi indicatori indispensabili per una corretta valutazione della legislazione penale antidroga.
Ha consentito di individuare le norme che più contribuiscono all’appiattimento indistinto dei reati di droga, promuovendo campagne per modifiche. Così, nel 2013, col decreto legge 146 (convertito in legge il 21 febbraio 2014), la previsione di condotta di “lieve entità” è passata da semplice attenuante a figura di reato autonoma. Con la legge 79 del 2014, le pene per la lieve entità sono state abbassate e portate da sei mesi a quattro anni.