Lustrini, paillettes e “onorata società”. La vetrina è Miss Italia: 103 bellissime ragazze che ondeggiano sui tacchi a spillo sognando una corona e le luci della ribalta. Ma a Salsomaggiore, dietro la facciata liberty e aristocratica delle terme Berzieri un altro mondo vive e si arricchisce nell’ombra. Cocaina, gioco d’azzardo, armi, manovalanza clandestina e imprese che riciclano denaro mentre costruiscono case, dipingono muri e restaurano palazzi.
Sono affari di famiglia, dei Dragone e dei Grande Aracri, che dopo avere messo le mani su Reggio Emilia e Piacenza hanno bussato alle porte di Parma, insediandosi stabilmente a Salsomaggiore, Fidenza, Brescello, nascosti in mezzo a quei cinquemila cutresi che in tutta la provincia vivono e lavorano onestamente.
Gli uomini di fiducia e il mercato della cocaina
E’ iniziato tutto grazie a “uomini di fiducia” dei capobastone, persone in grado di acquistare e rivendere, da tutte e con tutte le organizzazioni criminali, grosse partite di droga. Uno su tutti Emilio Rossi, originario di Crotone ma residente nel reggiano, che a metà degli anni ’90 riforniva la stragrande maggioranza dei piccoli spacciatori della provincia di Parma. E anche quando il suo nome finì travolto dalle inchieste giudiziarie e i Dragone messi in ginocchio dalle rivelazioni di un direttore di banca pentito, i cutresi continuarono a gestire i loro affari. Grazie a Nicolino Grande Aracri, “compare d’anello” al matrimonio di Raffaele Dragone, figlio del capo ‘ndrina Antonio.
La Criminalpol sostiene che si spostasse di frequente da Brescello, dove vivevano due sue sorelle, verso Parma e Cremona dove, secondo un’indagine della Dda di Bologna del ’96, vivevano suoi uomini di fiducia. Il suo mondo, fatto di legami di sangue e omertà, di silenzi e affari criminali, svegliò Salsomaggiore alla vigilia del 2000. Le notti erano territori strani, in cui a farla da padrone – secondo i proprietari di night e discoteche – erano giovani calabresi. Entravano, si servivano di donne e alcolici, senza mai pagare. I loro debiti, almeno in un caso, raggiunsero anche trenta milioni di lire. I gestori dei locali avevano iniziato ad assoldare buttafuori, ma negarono di avere subito estorsioni e ai carabinieri lamentarono solo di avere problemi con i calabresi: “Pretendevano di consumare senza pagare”. Furono comunque ascoltati durante le indagini per l’omicidio del 16 luglio 1999, quando Salsomaggiore si svegliò durante la notte per l’esplosione di cinque colpi di pistola. L’ultimo, alla nuca, fu il colpo di grazia a Giuseppe Carceo.
L’omicidio Carceo
Che non vi fossero prove indubitabili su estorsioni e intimidazioni fu uno degli elementi che spinse la Corte d’Assise ad assolvere dall’accusa del 416 bis cinque imputati. In carcere, con una condanna a 22 anni per omicidio volontario, vi finì solo Domenico Mangone, un ragazzo che secondo l’accusa doveva “salire” di potere a Salsomaggiore. Suo fratello Leonardo, Gennaro Galli, Francesco Lamanna e Tommaso Carbone, tutti indagati, ne uscirono puliti. Eppure le trascrizioni delle intercettazioni ambientali e telefoniche a cui furono sottoposti nei mesi dopo gli omicidi, delineano un ambiente criminale vicinissimo a Cutro e ai Grande Aracri.
Pochi giorni prima dell’omicidio, nella casa dove Carceo viveva, fu organizzata una riunione per gestire “il territorio”. Domenico Mangone e Gennaro Galli avrebbero dovuto occuparsi di Salsomaggiore, Carceo di Fiorenzuola. E la cosa non gli andò a genio. Ai suoi “amici” diceva sempre che le cose sarebbero dovute cambiare, che le strade bruciate dalle nuove leve sarebbero dovute ritornare in mano sua. Ci stava quasi riuscendo se è vero che prima di essere ammazzato aveva trovato appoggi importanti negli uomini che gestivano la cocaina tra Parma-Salso e Fidenza.
Nelle intercettazioni si parla anche “di ambasciate”, di emissari inviati a Cutro per sapere cosa ne pensasse di lui Nicola Grande Aracri, se era vero che avesse perso la sua fiducia o meno. Non l’aveva persa, a quanto si chiacchierava in quegli ambienti, anzi… Tutto il contrario: “Noi Pino Carceo lo rispettiamo sia per quello che è, sia per quello che fa”. Rispettato ma ucciso da Domenico Mangone, parente di quel Giovanni Trapasso, coinvolto nell’agguato che nel 2004 uccise Antonio Dragone di ritorno da San Leonardo di Cutro dopo una riunione.
Tensioni tra cosche
La tensione non è mai scesa: le lotte intestine all'”onorata società” fra i Grande Aracri alleati con i Nicoscia contro i Dragone e gli Arena, si sono avvertire anche in Emilia dove continuano ad essere arrestati e segnalati latitanti, dove – con la scusa dei soggiorni termali – alcuni boss in libertà vigilata si trasferiscono in alberghi di “amici”, dove ci sarebbe un mercato “florido” e in attesa di riorganizzazione. Le fonti di approvvigionamento degli spacciatori di cocaina a Parma, città in cui i consumatori presunti sono almeno tremila, sono per la quasi totalità calabresi. I Mancuso e i loro depositi “milanesi” da una parte, i cutresi di Salsomaggiore, Fidenza e Brescello dall’altra.
Gli incendi di auto
Un altro mondo, costruito sui legami di sangue e abituato a muoversi nel silenzio, vive all’ombra della città-vetrina. A ricordare, che oltre a paillettes e lustrini, ci sono le mani sporche dell’onorata società intervengono gli incendi di auto. Divampano di notte e sono “sospetti casi di dolo”, ricordano le “imboscate” di cui si parlava ai tempi di Carceo, gli anni bui in cui, a seguito di controlli in alcune aziende edili della città, andarono a fuoco le auto di diversi uomini delle forze dell’ordine. I carabinieri erano visti come rappresentanti dello Stato, i loro beni andavano dati alle fiamme. Recentemente gli incendi sospetti sono quasi tutti ad autovetture di cutresi.
Cocaina e nuovi collaboratori di giustizia
Qualcosa, nei delicati equilibri tra n’drine e rappresentanti delle stesse cosche, sta cambiando. Parte del velo sta cadendo, rotto da Angelo Salvatore Cortese, 43 anni, esponente di spicco della criminalità cutrese trapiantata in Emilia. Arrestato il 28 dicembre scorso dai carabinieri di Zibello per armi, ha deciso di collaborare con la giustizia. Il suo nome era già comparso nelle indagini sulla guerra di Mafia che insanguinò Reggio Emilia negli anni ’90. Imputato in Calabria nel processo “Scacco Matto” e in Emilia-Romagna per i delitti Ruggero e Vasapollo, è considerato l’uomo che, acquistando grosse partite di cocaina da esponenti della ‘ndrangheta di Modena, riforniva di polvere bianca gli spacciatori di Parma e provincia, uomini sia della criminalità locale, che di altre organizzazioni criminali. Nei primi mesi del 2008 ha annunciato di volere rompere il silenzio. Se andrà fino in fondo potrebbe svelare molti segreti sugli affari che le cosche hanno a Reggio Emilia, Modena e Parma, in particolare sul riciclaggio dei capitali prodotti dalla cocaina.