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Pochi giorni fa ascoltavo ad un telegiornale locale l’ennesimo “allarme alcol e giovani”, condito con i soliti ingredienti: l’usanza di ubriacarsi dilaga fra i giovanissimi, il fenomeno è ancora più diffuso in estate, c’è il rischio di aumento degli incidenti etc. Dietro la notizia, si profila una precisa cultura: l’alcol è evocato in associazione all’intossicazione acuta (l’ubriacatura) ma spesso l’allarme coinvolge il semplice uso in relazione all’età precoce di inizio. Né c’è da meravigliarsi. Se i riflettori sono puntati sulle caratteristiche psicotrope (negative) della sostanza, che provoca la perdita di controllo (temporanea, con l’ubriacatura, persistente con l’alcolismo), è ovvio che il ritornello sia: “Teniamo i nostri giovani lontani da questa sostanza dannosa il più a lungo possibile”. Dalla rappresentazione dell’alcol come “male” discendono specifici indirizzi di politiche sanitarie: diminuire il numero dei bevitori significherà avere meno problemi di salute nella popolazione. Dunque si punta a ridurre la disponibilità della sostanza: l’ideale sotteso di salute pubblica è in ultima analisi il consumo zero.
Non è difficile accorgersi che il “consumo zero” è lo  stesso obiettivo che vige per le droghe illegali. Il fatto che l’uno sia legale e le altre no non impedisce la comunanza di radici culturali: che affondano, sia per l’alcol che per le droghe illegali, nel clima della Temperanza. Il movimento della Temperanza crebbe in America nel corso dell’ottocento, con l’obiettivo di ottenere la proibizione delle bevande alcoliche (il che avvenne dal 1920 al 1933). Sostanze come gli oppiacei, la cocaina, la cannabis diventano proibite come effetto di trascinamento dell’allarme sociale per l’alcol. Perfino a distanza di quasi un secolo dalla fine della proibizione dell’alcol, l’influenza della Temperanza è ancora forte sulla psicologia degli americani, scrive lo studioso statunitense Stanton Peele, in un articolo appena uscito sulla rivista Addiction Research and Theory.
La traccia più evidente è nell’immagine sociale dell’alcol cui si accennava: una sostanza che ha la forza di sopraffare la volontà degli individui e di controllarli. Eppure, la stragrande maggioranza dei bevitori e delle bevitrici “controlla” il consumo di bevande alcoliche invece che esserne “controllati/e”. Perciò, un indirizzo valido di politiche pubbliche potrebbe mirare a potenziare i modelli di “bere moderato”, cercando di rafforzare i controlli che le persone “naturalmente” mettono in atto. Ciò comporta però di spostare lo sguardo dall’alcol al bere. Dall’agente chimico “maligno”, al contesto e al significato dell’assunzione di alcolici. Ma proprio questo è inconciliabile con l’ideologia della Temperanza: guardare al bere come fenomeno sociale e culturale significa far emergere anche alcune caratteristiche positive dell’alcol. Ad esempio, il valore del vino come accompagnamento ed esaltazione del sapore delle bevande; oppure l’uso socializzante degli alcolici legato ai riti dell’ospitalità. L’influsso della Temperanza si avverte anche nei trattamenti per i consumatori intensivi di alcol. Ci sono evidenze che la gran parte di questi bevitori superino (spesso da soli) i loro problemi semplicemente riacquistando il controllo sul consumo, senza smettere del tutto. Ciononostante, il bere controllato come obiettivo del trattamento è ancora oggi da molti contestato e contrastato. Naturalmente, anche per le droghe illegali il consumo “moderato” è oggetto di incredulità, e soprattutto di biasimo, molto più del consumo dipendente. E per tale ragione la “riduzione del danno”, che è per l’appunto una  strategia di empowerment per aiutare i consumatori a tenere sotto controllo i consumi, incontra tante resistenze. Ancora una volta, torniamo alle stesse radici.
Discuteremo di questi temi dal 2 al 4 settembre a Impruneta (Firenze), in un seminario dedicato all’alcol, o meglio sarebbe dire al “bere”. A partire da una lettura critica dell’emergenza “alcol” di cui si è detto, si approfondirà la storia e le differenti culture dell’alcol (oltre i facili luoghi comuni: per esempio quello secondo cui il modello “mediterraneo” moderato sarebbe ormai travolto dal  modello nordico del “bere per ubriacarsi”). Non ultimo, con l’aiuto dello stesso Stanton Peele, si vedrà come la Temperanza abbia profondamente orientato e continui a influenzare la ricerca scientifica sull’alcol.