Antonio Costa non sta più “cercando di salvare il mondo”. Ora viaggia per il mondo per discutere di controllo antidroga in molteplici occasioni di dibattito pubblico. Che si tratti del seminario organizzato da Google a Londra, oppure dell’incontro promosso da Flare a Otranto, nessuna audience è troppo grande o troppo piccola per l’ex capo dell’Unodc, l’agenzia Onu sulla droga e il crimine. C’è solo un intoppo: senza il rango che prima conferiva potere al suo discorso, oggi restano solo parole, cariche di emozioni, brucianti verso gli oppositori, ma incapaci di fornire risposte.
Proibire beni per i quali esiste una domanda offre un’opportunità al crimine organizzato? Risposta: bisogna dedicare più risorse a combattere il crimine e a costruire l’agenzia. La gran parte delle morti per overdose avviene quando i consumatori non conoscono la potenza dell’eroina che si iniettano? Risposta: colpiamo duro sulla cannabis perché è la droga d’inizio. Se il problema è la droga, perché ci sono regimi di controllo diversi fra l’alcol e la cannabis, fra la nicotina e le foglie di coca? Risposta: l’alcol e la nicotina causano gravi danni alla salute pubblica.
Lontano dalla poltrona, senza alcun programma da promuovere e senza consiglieri per approfondire le questioni, l’Imperatore appare proprio come il Signore l’ha fatto: incapace di comprendere i fondamenti della farmacologia, della criminologia o della addiction. In verità, Costa non ha mai capito la questione droga. Ricordiamoci che è stato prelevato dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo per abbracciare una causa che fino allora lo aveva interessato ben poco. Ma i capi delle agenzie non dovrebbero essere scelti per le loro capacità manageriali? Forse sì, ma il controllo della droga è diventato un problema sempre più arduo, diabolicamente tormentato da nuove sfide, dagli effetti perversi delle misure antidroga, dalla spirale delle contromisure. I centri di expertise dovrebbero fornire una leadership con competenze tecniche e nuovi modelli di regolamentazione. Ci sono però seri vincoli politici. Le agenzie pretendono di fornire assistenza tecnica, ma in realtà l’innovazione (dallo scambio di siringhe al sostitutivo con metadone ai tribunali specializzati sulla droga) si sviluppa altrove.
Bisogna riconsiderare il ruolo e gli obiettivi delle agenzie mondiali antidroga. Il consiglio tecnico è sempre venuto secondo, il primo compito è stato di assicurarsi l’adesione degli stati membri al regime antidroga. I tour nei vari paesi, i rapporti, i discorsi e le manifestazioni hanno due funzioni primarie: spingere il controllo antidroga a livello nazionale e fare pubblicità alle stesse agenzie. Nella competizione per i fondi governativi, il compito più importante delle agenzie è di suonare il tamburo a supporto della loro causa. Inevitabilmente, appare una discrepanza fra le promesse e i risultati, come nella campagna del 1998 “un mondo libero dalla droga, possiamo farcela”. Questa iperbole chiarisce bene i veri ruoli e funzioni. Lo Unodc e le agenzie antidroga a livello nazionale sono lobbies che rappresentano i loro particolari gruppi di interesse. Non hanno bisogno di esperti tecnici, alla loro guida vanno bene dilettanti con conoscenze superficiali del problema ma con un occhio attento alla raccolta dei fondi. Il controllo antidroga non è per loro un mezzo per aumentare il benessere, bensì un fine in sé.