BAALBEK – Ali Hassan non è affatto contento degli ultimi sviluppi politici, della fragile pace che si sta lentamente consolidando tra le fazioni libanesi. «Se l’esercito non sarà più impegnato a mantenere l’ordine nelle regioni più calde – spiega sconsolato l’agricoltore – , tornerà qui, nella valle della Bekaa, a distruggere i nostri raccolti». Robusto, con un po’ di pancetta, le mani di chi lavora duro nei campi, Ali possiede una ventina di ettari di buona terra ai piedi del Monte Libano, coltiva pomodori, orzo e patate. Non è per quelle che è preoccupato. Ali pensa al piccolo campo, un ettaro, dove a marzo ha seminato la canapa che adesso comincia a mostrare le prime foglioline.
Le piante, ordinate in file distanti l’una dall’altra una trentina di centimetri, a inizio giugno sono già alte quasi 40 centimetri. Alla metà di agosto, se i militari sono saranno venuti prima a sradicarle coi bulldozer, raggiungeranno i due metri e saranno pronte per la raccolta: foglie e fiori per la marijuana, resina per l’hashish. Ali, 44 anni, padre di otto figli, ci conta. «L’anno scorso – racconta – ho fatto 15 chili di hashish. A 450 euro al chilo, ci ho guadagnato più che con tutti i miei ettari di patate. La canapa ha bisogno di meno acqua, meno fertilizzanti». Poco distante, vicino a un filare di pioppi che delimita il campo, una decina di donne sopra un carretto ridono e fanno baccano: «Siriane, vengono ogni anno per fare la stagione, ma soltanto nei campi legali…».
Durante la guerra civile che ha devastato il Libano dal 1975 al 1990 l’industria libanese dell’hashish e dell’oppio, che occupava quasi un terzo delle terre coltivabili della valle della Bekaa – un quarto del Paese, 250 mila abitanti -, aveva un giro d’affari di circa 350 milioni di euro all’anno, secondo le Nazioni Unite. I guadagni, per i contadini, ammontavano a circa 60 milioni euro. Più di 25 mila famiglie dipendevano direttamente dalla cannabis per vivere. Nel 1994, tormentati dai soldati siriani che occupavano il Paese e il cui governo cercava di ingraziarsi l’Occidente bruciando i campi di canapa e papaveri, i contadini furono costretti a smettere: molti furono arrestati e messi in carcere.
Per dieci anni la pax siriana ha funzionato, almeno contro le coltivazioni illegali. Pochi temerari osavano coltivare ancora la canapa, sulle pendici più impervie del Monte Libano. Là dove adesso ci sono gli ultimi, sparuti, campi di papavero: per le droghe dure, come l’eroina ricavata dal lattice dei papaveri, il monopolio è oramai dell’Afghanistan, che sta diventando un concorrente imbattibile anche per l’hashish.
I siriani hanno lasciato il Paese dei cedri nel 2005. E subito le coltivazioni illegali sono dilagate. Nel maggio dello stesso anno quattro tonnellate di hashish vennero sequestrate nella valle. «Poco importa – scrolla le spalle Issam, un «professionista», con contatti all’estero per vendere la merce -. Quest’anno il prezzo al chilo potrebbe arrivare a 800 euro. Un ettaro a canapa rende tre volte che uno a patate. Io ho ricominciato nel 2006, ma dopo la guerra con Israele l’esercito libanese è tornato e mi ha distrutto due ettari. Non sono finito in prigione solo perché ho pagato una mazzetta di 3000 euro a chi di dovere. Ma ho perso 20 mila euro che avevo investito per i semi, l’acqua e la mano d’opera».
Hadj Jaafar Hussein, un cugino ricco di Issam, in giacca e cravatta, sogna una soluzione politica. «Abbiamo creato una sorta di lobby con qualcuno dei nostri eletti», racconta l’uomo d’affari, sempre in viaggio, di una sessantina d’anni. Il problema è che Hezbollah, il partito di Dio dominante nella valle, non vede di buon occhio le droghe. «Per loro – impreca Hadj Jaafar – l’hashish è haram, proibito. Per fortuna non rompono le scatole. Qualcuno di loro fuma anche, ma di un aiuto non se ne parla. Sono oscurantisti patentati».
I contadini della valle discutono sul probabile ritorno dell’esercito. «Bisogna sparargli – s’infiamma Ahmed, sulla trentina, berrettino da baseball in testa e kalashnikov sul sedile del suo camioncino -. Dobbiamo batterci. Io non li lascerò fare». Lo Stato, nella valle, è quasi assente: elettricità a singhiozzo, mancanza di fogne, servizi sanitari nulli. Beirut è lontana e poco rispettata. Nel 2006, durante l’intervento dell’esercito, parecchie pattuglie avevano dovuto battere in ritirata sotto i colpi di mitra e tiri di mortaio.
Adel Machmouchi, capo della brigata anti-stupefacenti della Polizia, avverte che le operazioni non saranno facili neanche quest’anno «La sicurezza dei nostri agenti non è garantita, l’esercito non ha uomini a sufficienza. I proprietari di bulldozer che ci dovevano prestare i mezzi inventano mille scuse, sono minacciati. Ma il governo resta determinato. Agiremo». Nella piccola fattoria di Ali Hassan, i contadini riuniti pregano prima di tornare a casa. «Se Dio vuole, che la pace in Libano non arrivi troppo presto, non prima del raccolto dell’estate, almeno…».