La rivolta nelle carceri italiane e i tredici detenuti morti in condizioni ancora tutte da chiarire, sembra che sia stata riposta nel dimenticatoio approfittando dell’emergenza e dello stato di eccezione nel quale siamo immersi.
Non è facile trovare spiegazioni chiare sulle circostanze reali che hanno determinato le morti dolorose di quei 13 detenuti che si stavano ribellando, insieme alla moltitudine disperata dei detenuti, a causa dell’editto del Ministero della Giustizia che interrompeva senza alcuna mediazione per un lungo periodo gli incontri con i familiari e cioè l’unico contatto con gli affetti e con l’esterno che consente di reggere la situazione sofferta della detenzione. E naturalmente senza nessun tentativo di coinvolgere attivamente i detenuti nell’ informazione sui rischi per la salute e condividere l’esigenza di adottare le misure ulteriormente restrittive, informando da subito che ci sarebbe stata l’attivazione di vie di contatto alternative, con il telefono cellulare e in video, intensificandone la frequenza.
Penso che se si fosse adottato questo semplice comportamento incentrato a una sicurezza “dolce” si sarebbero con molta probabilità evitate o fortemente limitate le rivolte e la strage collegata.
In altri tempi come minimo si sarebbero invocate le dimissioni dei responsabili istituzionali… Invece al contrario le goffe risposte ufficiali hanno spostato tutta l’attenzione sullo stigma del detenuto violento e pericoloso e non è un caso che per le morti si utilizza il “rinforzo” dello stigma del tossicodipendente in modo ancora più goffo.
Provo a ragionare. Si dice che i detenuti hanno “svaligiato” l’infermeria e hanno fatto incetta di psicofarmaci e metadone. Ora è vero che l’abuso di psicofarmaci è diffusissimo nelle carceri italiane e si configura come un tentativo estremo di autocura che i servizi di salute mentale stentano a governare. È probabile che la custodia degli psicofarmaci non sia particolarmente soggetta a protezioni se non quelle tipiche per i farmaci tutti, per cui i detenuti hanno potuto prelevarli senza grandi difficoltà. Ma il metadone è un farmaco stupefacente e quindi viene custodito in cassaforte e mi sembra quanto meno difficile, in un momento di casino come una rivolta, che tredici persone abbiano avuto il tempo e trovato gli strumenti per aprire una cassaforte. O il metadone non era custodito in cassaforte? Sarebbe una grave mancanza! E poi perché forzare una cassaforte per il metadone? Se, come si dice, i detenuti non erano tossicodipendenti, perché avrebbero dovuto compiere una operazione così impegnativa se avevano già a disposizione i più appetibili psicofarmaci? Il metadone non è un farmaco ricercato per sentirne l’effetto, in genere, almeno nella preparazione per via orale, unica permessa in Italia.
Il metadone, ad esempio, in diversi casi viene acquistato nel mercato “grigio” da persone che per motivi diversi non si rivolgono ai servizi, ma prevalentemente per gestire l’astinenza, in mancanza dell’eroina. Inoltre, nei servizi per le dipendenze rivolti ai cittadini cosiddetti liberi il metadone funziona all’opposto, e cioè per evitare le overdosi da eroina, e come componente importante del recupero di funzionalità sociale.
Certo si potrebbe obiettare che proprio perché i detenuti non erano tossicodipendenti e quindi non avevano sviluppato una tolleranza al metadone sia bastato un quantitativo anche basso per procurare una overdose. Possibile. Ma ripropongo la domanda. Che attrattiva avrebbe avuto il metadone per detenuti non tossicodipendenti? E pensiamo che i detenuti siano, in generale, così sprovveduti da usare un farmaco che si sa che è pericoloso avendo la possibilità di usare in alternativa psicofarmaci magari meglio conosciuti e gestibili?
Gli interrogativi sono molti e l’eventuale rilievo di metaboliti del metadone dovrà essere ben documentato e in particolare riportando i dosaggi ritrovati, perché di per sé dice poco, se non si risponde a tutti gli interrogativi esposti. Certo è possibile anche l’ipotesi della intossicazione da combinazione da farmaci.
Ma allora si dovrà spiegare come mai non si aveva a disposizione il narcan e l’anexate che evitano l’uno le morti da overdose da oppioidi e l’altro da intossicazione acuta da benzodiazepine!
Non sono ancora disponibili i risultati delle autopsie e fidiamo sul ruolo del Garante Nazionale dei Detenuti per fare chiarezza.
L’idea che mi sto facendo è che l’uso di categorie stigmatizzanti come “detenuto” e “tossicodipendente” sia stato rozzamente utilizzato per nascondere una realtà particolarmente grave di violenze attualmente non ancora emersa e che forse non conosceremo mai…
Noi faremo tutto il possibile perché venga alla luce la verità e si faccia giustizia. Ma nonostante l’emergenza, questo evento doloroso ci darà un nuovo impulso a promuovere un nuovo dibattito pubblico sulla esigenza non più rinviabile per un cambio di rotta radicale nelle politiche sulle droghe e sul carcere.
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