La campagna Count the cost, di cui Fuoriluogo ha spesso parlato, diffonde periodicamente degli aggiornamenti di notevole utilità.
L’ultimo appena sfornato è dedicato a una lucida analisi delle caratteristiche e dei meccanismi di produzione dello stigma che colpisce i consumatori di sostanze illecite. In questa breve presentazione, tra gli spunti più interessanti si possono citare i seguenti.
- La pubblica opinione tende a giudicare le droghe lecite – alcol, tabacco – altrettanto pericolose o più pericolose di quelle illecite; ma talmente forte è la spinta politico-ideologica alla demonizzazione delle seconde che lo stigma è molto maggiore nei confronti di chi ne fa uso, rispetto ai consumatori a rischio di alcol e tabacco.
- Assai grave è la responsabilità dei media sia per il modo disumanizzante di parlare e scrivere dei consumatori di sostanze illecite, sia per la diversa enfasi sui fatti e fattacci legati alla circolazione e all’uso di tali sostanze rispetto a quelle lecite. Per esempio, il tono con cui si tratta delle morti da overdose e delle patologie legate all’uso di droghe di strada è ben diverso dal tono relativamente asettico col quale si parla e scrive dei molto più numerosi morti e malati per abuso di alcol e tabacco.
- La stigmatizzazione contribuisce in modo determinante sia alla perdita di peso contrattuale dei soggetti nel campo del lavoro e della vita sociale, sospingendo verso la marginalità, sia a una drastica limitazione dell’accesso a varie misure di welfare, a partire dall’assistenza sanitaria. E non solo perchè i soggetti sono spesso riluttanti a richiederla per il timore di incappare in un modo o nell’altro nelle sanzioni previste dalle normative proibizioniste.
- Lo stigma favorisce i maltrattamenti, le botte, al limite le torture sia da parte delle forze dell’ordine, che si sentono legittimate a usare i modi duri, sia – potremmo aggiungere – da parte di altri soggetti che hanno la “vocazione” (per bullismo, per convinzione politico-iedologica,…) a dar la caccia al drogato.
- Infine il rapporto analizza in modo esemplare, anche se sintetico, il ruolo dello stigma nell’aggravare la penalizzazione di soggetti “deboli” – donne, bambini, poveri, minoranze etniche…Un solo esempio: le donne sono in genere meno frequentemente colpite dall’azione penale, mentre le violazioni che compiono sono in genere meno gravi di quelle compiute dagli uomini; ma dato che le normative proibizioniste tendono a far di ogni erba un fascio, penalizzando pesantemente anche le violazioni meno gravi, di fatto esse finiscono per pagare un prezzo più alto rispetto agli uomini. Caso tipico è quello delle donne che si prestano a fare da corrieri della droga e facilmente cadono in quelle reti sempre più fitte ai posti di frontiera in cui restano presi soprattutto i pesci piccoli.
Un’ultima raccomandazione: questo rapido sunto è mirato a incoraggiare la lettura del rapporto, non a sostituirla. Chi non ha familiarità con l’inglese, troverà ben qualcuno che l’aiuti a sfangare per le tredici paginette di questo ottimo documento; e così magari contribuirà anche a far cambiare idea a qualche convinto proibizionista.
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