Nel nostro Paese, nel 2022, gli accessi al pronto soccorso per patologie riconducibili al consumo di droghe sono stati 8.152 su 17.183.763, ovvero lo 0,05% dei casi. Ripeto: l’incidenza degli accessi in pronto soccorso per droghe rappresenta lo 0,05% del totale; di questi, solo il 12,4% ha avuto come esito un ricovero ospedaliero (1.010). Va inoltre sottolineato che nella quasi totalità dei casi (94%) si è trattato di un episodio isolato, non avendo ulteriori accessi nel corso dell’anno.
Eppure, nell’ultimo spot prodotto dal Dipartimento per le politiche antidroga, si afferma in maniera enfatica: “Ogni anno migliaia di persone vanno al pronto soccorso per patologie direttamente legate all’uso di droghe, circa 1 su 10 è minorenne”.
Ma, al di là dei numeri, è interessante riportare la sceneggiatura dello spot, che vede come protagonista un ragazzino, presumibilmente tra i 13 e i 14 anni e, come comprimario, un altro giovane poggiato al muro di un plesso scolastico della Capitale, intento a “rollare”: il protagonista si avvicina al comprimario e lo ammonisce con le seguenti, inedite frasi: “Ti stai facendo una canna…guarda che ti fa male, poi è un attimo che passi ad altre droghe”. Il comprimario gli risponde sorridendo: “se…e te che ne sai?” Giusto, che ne sa un ragazzino di 13 anni? Ma il protagonista risponde, con sicumera: “L’ho visto con i miei occhi, tutte le droghe fanno male, mentre una voce fuori campo ripete: “Ogni anno migliaia di persone vanno al pronto soccorso per patologie direttamente legate all’uso di droghe, circa 1 su 10 è minorenne”. Lo spot si conclude con il claim finale, il ragazzino che, guardando in camera, declama: “Butta via la droga, non la vita!”.
Un capolavoro. Mettere insieme tante affermazioni false con una esausta sceneggiatura anni ’80, richiede una notevole fantasia, un alto livello di impegno e di sapienza comunicativa. O forse no, occorre solo ripetere vecchi slogan della “guerra alla droga”: da “se ti droghi ti spegni”, i famosi occhi bianchi del 1991, al “Non ti fare, fatti la tua vita”, breve video ideato (sembra) da Giovanardi in persona.
Quello di cui parliamo è il secondo spot “antidroga” del Governo Meloni, che riesce nell’arduo compito di far impallidire il primo, quello che fa pronunciare all’ex CT Roberto Mancini, in procinto di abbandonare la Nazionale per andare in Arabia Saudita, la frase “fatelo girare”: il testimonial faceva riferimento allo spot, nei tanti meme prodotti sui social, il protagonista del “fatelo girare” diviene lo spinello. Fantastico.
Insomma, queste campagne presentano tanti rischi di effetto boomerang e scarsissimi risultati in termini di efficacia nella tutela della salute. E allora, a cosa servono? Funziona come rassicurazione al mondo adulto (dei non consumatori) in merito alla determinazione del governo a combattere la «droga» (in tutto il globo terracqueo, come gli scafisti); funziona come diffusione di una opinione stereotipata spacciata come informazione; serve per ammonire su rischi non specificati (tutte le droghe fanno male) e rassicurare se si fa quello che si afferma: «…ma se ne può uscire» (se ti penti e vai dove ti dico).
Inoltre, è una comunicazione che si basa in larga parte sull’emotivo (le emozioni, quelle vere), come nelle migliori tradizioni della propaganda; non tiene conto che il «target» non è un contenitore da riempire, quanto piuttosto generazioni nate in un sociale dove il consumo, la vendita e le culture in merito alle sostanze sono presenti e conosciute; e infine, dove il grado di fiducia verso la fonte (il governo) rasenta la zero. Si tratta di una comunicazione che, quando va bene si basa su «esperti» non riconosciuti come tali da parte significativa del «target»; quando va male è incentrata su testimonial che poi vanno in Arabia Saudita a vivere l’emozione vera di 90 milioni di Euro esentasse.
E allora, cosa sarebbe utili fare? Finanziare e realizzare progetti di ricerca con il protagonismo e l’attivo coinvolgimento dei giovani (consumatori e astinenti), comunicandone i risultati per promuovere un dibattito pubblico costante, con la partecipazione e il confronto tra esperti accreditati e riconosciuti nazionali e internazionali e le PUD (le persone che usano droghe, acronimo non stigmatizzante usato nell’Unione Europea); fare della scuola il motore del dibattito pubblico sulle droghe, secondo un approccio dialogico, in grado di far incontrare diverse “verità”, ovvero gestendo il malinteso, il dissidio e il conflitto, accettando l’idea che in tema di droghe siamo, da centinaia di anni, dentro una “disputa infinita”. Infine, piuttosto che far ripetere stancamente, da testimonial sempre più giovani (si arriverà ai bambini?) esauste parole ammonitrici, rendersi conto che il nostro Paese necessita che siano finanziati adeguatamente i servizi pubblici e della cooperazione, e in particolare le attività presenti nei luoghi dove accadono i consumi, il drug checking, le unità di strada nei luoghi del loisir notturno, le politiche di riduzione del danno.
[Articolo di Claudio Cippitelli pubblicato su l’Unità del 24 novembre 2023]