I magistrati leccesi lanciano l’avvertimento: il testo unico sulle sostanze stupefacenti e psicotrope è inadeguato. Aveva già scatenato le note polemiche la legge 49/2006, ma il convegno organizzato dalla Corte d’appello tenutosi ieri pomeriggio all’hotel President, nel capoluogo salentino, ha ribadito i limiti della normativa senza i polveroni sollevati dalle contrapposizioni parlamentari. Ha parlato insomma chi con la legge Fini-Giovanardi ci lavora. "Taccia la politica, parola alla scienza" il monito lanciato dal professor Vittorio Manes, docente di diritto penale presso l’Università del Salento, il quale ha criticato la normativa della tolleranza zero perchè "si piega a esigenze politiche elettorali" e perchè influenzata da moralismi. Una legge che, secondo il docente, è risultata una operazione di marketing. Invece, ha esortato Manes, l’argomento deve essere depurato da contenuti emotivi e utilitaristici. Quindi la disciplina deve comprendere anche alcol e tabacco fra le sostanze pericolose.
Manes ha riconosciuto il difficile equilibrio fra scienza e diritto, che è stato condizionato dal mutare delle maggioranze politiche finchè la recente sentenza del Tar del Lazio non ha annullato il decreto del ministro Livia Turco, sortendo la deriva della discrezionalità tecnica in discrezionalità politica. La materia, passata nelle mani dei politici, ha prodotto effetti dirompenti. Ma il problema viene trattato solo sul piano giuridico. Il diritto penale è fortemente inadeguato, sconta la contraddizione fra due direttrici che perseguono scopi antinomici. Da una parte infatti si batte la strada del progressivo inasprimento delle sanzioni, della ridotta discrezionalità del giudice, dall’altra si tende a misure alternative al carcere. Entrambi gli obiettivi sono falliti: non si flessibilizza il trattamento punitivo aumentando la rigidità delle pene. Meglio allora rivedere complessivamente la scelta proibizionista, perchè questa, ha fatto notare Manes, comporta costi ed effetti collaterali enormi. Intanto lo scenario è incerto, come fosse dipendente dalla umoralità del magistrato.
La normativa del 2006 crea problemi di interpretazione giurisprudenziale. Un soggetto sorpreso in possesso di una quantità di droga superiore a quella ammessa per il consumo personale è considerato spacciatore. E se quell’individuo fosse un tossicodipendente, non potrebbe essersi assicurato una scorta di stupefacente per uso personale? Giuseppe Amato, sostituto presso la Procura di Roma, ha sottolineato che il criterio della quantità della droga posseduta non è sufficiente a porre chiarezza, come si evince anche nel caso della coltivazione domestica della marijuana: due piantine possono essere destinate a soddisfare il fabbisogno individuale, quindi si configura la detenzione, una piantagione presuppone lo spaccio. Nel mirino del magistrato quindi la normativizzazione dei criteri indiziari. Che sono insufficienti a chiarire la fattispecie completa del reato. Per riconoscere una ipotesi di spaccio occorrerebbe anche valutare la qualità del soggetto. Parametro vincente sul criterio della quantità. Non è sottovalutabile infatti la posizione economica del soggetto, il benestante potrebbe acquistare molta sostanza per uso personale. L’accusa quindi deve provare con argomenti non considerati dalla legge lo spaccio. E poi, ha ricordato Amato, il parametro introdotto dalla legge si fonda sul principio attivo della sostanza stupefacente, ma la polizia non può subito verificarlo.
Nel Salento circolano oppiacei, ecstasy, lsd, funghi allucinogeni, ketamina, in calo oppiacei e metadone, in aumento cocaina, buprenorfina e cannabis. Il tossicologo Fernando Daga ha illustrato, diapositive alla mano, effetti e controindicazioni di sostanze stupefacenti note e meno note, e ha messo in guardia sul pericolo skunk.
Droghe in diffusione, ma limiti anche nella disciplina delle operazioni e delle altre tecniche speciali nella repressione del traffico di stupefacenti. Il sostituto aggiunto alla Procura di Lecce, Cataldo Motta, ha sottolineato l’importanza delle azioni sottocopertura ad opera delle forze di polizia, che però pone problemi di rapporto fra queste e l’autorità giudiziaria. L’incertezza ha convinto la polizia ricorrere alle attività di sottocopertura solo in casi eccezionali e residuali. La sottocopertura è prevista quindi solo a indagine già avviata e a sostegno di altri elementi di prova già altrimenti acquisiti o da acquisire, comunque quando sia già instaurato un rapporto con il pubblico ministero. E’ tuttavia vero che la sottocopertura, adatta al contrasto di fenomeni di grave allarme sociale, è strumento che importa cautela e da considerare quando non sia possibile il ricorso ad altri strumenti di ricerca della prova.
I magistrati di Lecce, nel convegno coordinato dal professor Manes e da Pietro Silvestri, magistrato referente per la formazione del distretto penale di Lecce, hanno lanciato un segnale per una chiara e tempestiva azione legislativa in materia di stupefacenti, i politici locali drizzino le antenne.