Più di 136.000 persone uccise in sei anni: una media di 53 morti al giorno, 1.620 al mese, 19.442 all’anno. In Messico muore chi indaga, chi combatte, chi tradisce; muore chi si ribella alle estorsioni, chi denuncia, chi non paga riscatti per gli ostaggi. Tutti vittime di guerre silenziose. Quella tra cartelli rivali, tra bande in lotta per la supremazia del territorio e degli affari, contro la polizia, i testimoni, i civili inermi, i giornalisti. Contro lo Stato e il suo potere corrotto. Cifre, storie e affari sporchi, oggetto dell’ultimo dossier di Libera, pubblicato in occasione del lancio dell’iniziativa “Pace per il Messico – Mexico por la paz”.
Circa l’80% dei comuni del Messico sono sotto scacco della criminalità organizzata. Sono dieci i cartelli della droga (Los Arellano Félix, Cártel del Pacifico Sur, Los Zetas, Cártel de Sinaloa, Carrillo Fuentes, Cártel del Golfo, Familia Michoacana, Caballeros Templarios, Cártel de Jalisco – Nueva Generación, Facción de “La Barbie”) che operano nel paese e si spartiscono uno dei commerci più floridi del mondo: cocaina in primis, ma anche marijuana, anfetamina, ketamina e da un paio d’anni eroina.
Arruolano ‘ninis’, ragazzini e giovani senza futuro, li comprano con mille pesos (60 euro). E’ questo il compenso per chi spara.
Che poi, spesso, coincide con chi rimane ucciso: dal 2006 al 2010 sono 1.685 i ragazzi da 0 a 14 anni uccisi dal crimine organizzato, di cui 354 quelli minori di un anno di età, mentre sono circa 30.000 i bambini che collaborano con i gruppi criminali in varie forme.
Una guerra che non conosce sosta né pietà, solo affari. Secondo il quotidiano messicano Excelsior, che ha avuto accesso agli archivi segreti della polizia, tra gennaio 2008 e dicembre 2011 le persone scomparse senza lasciare alcuna traccia sono state 15.000. E si tratta solo delle sparizioni denunciate alle forze di sicurezza. Uomini, donne e bambini che diventano numeri, un elenco triste e senza speranza in qualche archivio impolverato della procura. Tutto in nome di un tesoro di circa 280 miliardi di dollari da produrre, gestire e trasferire dove viene richiesto e pagato. Un lavoro che i narcos conducono dalle loro basi operative, stabilite nei comuni dove meglio possono controllare e dominare il territorio. Ciudad Juárez è uno di questi, è considerata la città più pericolosa e aggressiva al mondo, con poco meno di un milione e mezzo di persone e oltre 9.000 sicari.
E non c’è alcuno spazio per la denuncia, la protesta, la ribellione.
Fare i giornalisti in Messico – ricorda l’associazione Libera – è un mestiere molto pericoloso. Secondo la Relazione sulla libertà di opinione e di espressione delle Nazioni Unite, il Messico è considerato il quinto paese più pericoloso per praticare il giornalismo nel mondo e il primo in tutto il continente americano. Dal 2006 sono stati uccisi 56 giornalisti (49 uomini e 7 donne) a cui si aggiungono 16 giornalisti scomparsi e un numero non quantificabile di reporter sfollati e obbligati all’esilio con la minaccia. Il 62% di questi lavorava per la carta stampata, il 17,2% in radio e il 13,7% per giornali online.
Tutto ciò ha un riflesso anche per il nostro paese. Sono ormai documentati i rapporti tra i cartelli dei narcos messicani e i clan della ‘ndrangheta, in particolare con Los Zetas. La ‘ndrangheta è un partner perfetto: la sua rete capillare per smerciare la droga garantisce sbocchi sicuri e piazze redditizie, ricorda Libera. I legami sono stati dimostrati da due operazioni della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria: nel 2008 con l’Operazione Solare, sono state arrestate 166 persone tra Italia, Messico e Stati Uniti, è stata smantellata una rete che aveva come obiettivo di introdurre coca in Italia attraverso il porto di Gioia Tauro; tre anni dopo, l’operazione Crimine 3 ha documentato nei dettagli il patto tra ‘ndrangheta e Los Zetas.
“Chiediamo che le istituzioni italiane ed europee attivino tutti gli strumenti a loro disposizione nei confronti del nuovo governo messicano affinché si ponga fine alla spirale di morte e alla corruzione dilagante, tuteli i diritti umani, protegga le fasce più esposte alla violenza dei narcotrafficanti e applichi con efficacia tutte le convenzioni internazionali ratificate”, è l’appello di Libera, che chiede alle “realtà associative italiane ed europee” di farsi portavoce di quanto sta accadendo in Messico”. Dal 22 aprile al 1 maggio 2013, una delegazione di Libera si recherà in Messico per incontrare e intensificare il rapporto di collaborazione con realtà sociali e movimenti impegnati nella realtà messicana nella tutela dei diritti umani e della lotta al narcotraffico. Una delegazione dei familiari delle vittime delle mafie aderenti alla rete di Libera incontrerà i familiari di vittime della guerra al narcotraffico.