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L’amministrazione di Barack Obama ha intensificato la guerra contro i narcotrafficanti in Messico, attraverso i raid di confine che vengono portati a termine da agenti messicani ma partendo dal territorio americano.
Quella al confine col Messico è una vera e propria battaglia, all’interno della guerra tra diverse bande di narcotrafficanti e tra i narcos e lo Stato messicano, che ha già fatto 35mila morti.
Da un lato i narcotrafficanti sono impegnati a trasportare la droga verso le metropoli del nord, dall’altro le forze dell’ordine messicane assieme alla Dea americana (Drug Enforcement Administration) cercano di bloccarne i movimenti, utilizzando anche strumenti militari di ultima generazione, come i droni con cui monitorare dall’alto il territorio.
Non è facile reperire informazioni ufficiali a riguardo.
Washington preferisce non far trapelare nulla perché le operazioni oltreconfine, pur con l’approvazione del governo messicano, sono al limite della legalità, e c’è il rischio di scatenare in Messico un’ondata di sdegno nazionalistico contro il vicino del nord.
Il presidente conservatore Felipe Calderón, eletto nel 2006 dopo una battaglia all’ultimo voto contro Manuel Lopez Obrador, si è avvicinato molto agli Stati Uniti in questi ultimi anni, e ha chiesto esplicitamente aiuto per cercare di polverizzare le organizzazioni criminali. E dagli Usa ha avuto contributi militari e logistici come quelli che in Colombia hanno permesso di sconfiggere i cartelli della droga, tra cui il più pericoloso, quello capitanato da Pablo Escobar.