La legalizzazione della cannabis in ormai 10 stati USA (più il Distretto della Capitale Washington) ha fatto di più contro il narcotraffico dal Messico che le centinaia di chilometri di recinzione di confine costruiti tra il 2003 e il 2009 o il raddoppio della polizia di frontiera al confine messicano. E’ questo il succo del rapporto del CATO Institute pubblicato qualche giorno fa a cura di David Bier.
La ricerca evidenzia come i sequestri di cannabis al confine messicano siano diminuti nel 2018 del 78% rispetto al 2013, ultimo anno antecedente alle prime legalizzazioni della cannabis ricreativa negli stati USA. Questo successo, secondo il ricercatore, fornisce anche un modello per affrontare l’immigrazione clandestina. Proprio come la legalizzazione ha ridotto il contrabbando di marijuana illegale, maggiori opportunità di migrazione legale minano l’incentivo ad entrare illegalmente. Negli ultimi 70 anni infatti all’aumento del numero dei visti per lavoro è correlata una diminuzione delle entrate illegali dai confini.
Il deputato Repubblicano Matt Gaetz (Florida) ha raccolto l’idea in una recente audizione del Congresso la scorsa settimana, sollecitando l’Homeland Security Kirstjen Nielsen ad ammettere che porre fine al divieto federale della marijuana avrebbe reso più facile il lavoro suo e dei suoi agenti. La responsabile della sicurezza nazionale si è nascosta dietro un diplomatico “sarò felice di guardare il rapporto e di venirne a parlare con voi. Mi scuso, non mi è familiare“. Per finire poi con un classico e incommentabile “dobbiamo abbattere la droga“.
Nelle conclusioni dello studio si invita il Congresso ad agevolare le politiche di regolazione della cannabis degli stati anche in funzione della diminuzione del narcotraffico. Al contempo il rapporto del Cato Institute si spinge a proporre anche di valutare anche “modeste riforme all’immigrazione legale” che potrebbero “avere forti effetti sul confine“.