Nelle scorse settimane, le maggiori agenzie d’informazione internazionale hanno diffuso la notizia che, per vincere la guerra contro la produzione di oppio in Afghanistan, gli Usa hanno preso esempio da ciò che sono riusciti a fare in Colombia nella “guerra” contro la cocaina. Con l’evidente intento di esportare questo successo, il governo americano ha trasferito a Kabul l’ambasciatore che per diversi anni aveva operato a Bogotà. Di solito, sono le autorità statunitensi a dare i dati sui traffici illegali e a dettare gli indirizzi delle politiche internazionali antidroga. A seguire, lo Unodc – l’ufficio Onu per la lotta alla droga – li avalla e in qualche modo li “certifica”, con studi e statistiche ad hoc, ammantandosi di un’autonomia che non ha. Tutto si è puntualmente ripetuto anche stavolta. All’unisono con le dichiarazioni americane, lo Unodc ha fatto sapere che la produzione afgana 2008 di oppio è scesa del 10% rispetto all’anno precedente, mentre la produzione colombiana di cocaina è addirittura crollata dalle 600 tonnellate del 2007 alle 430 tonnellate nel 2008: secondo questi dati, tutto comincia ad andare nel verso giusto!
In effetti, la situazione parrebbe in miglioramento, se si prendono i numeri senza riflettere (caratteristica che contraddistingue gran parte dei media). Se invece ci si sofferma a pensare, allora proprio quelle informazioni e quelle cifre grossolanamente confezionate scoprono la realtà opposta.
Per prima cosa, affermare che la produzione colombiana annua di cocaina sia di sole 430 tonnellate è un grave inganno, visto che già i 311 laboratori illegali per la produzione di cocaina scoperti nel corso del 2008 erano in grado di produrre almeno 800 tonnellate al mese: alle quali bisogna poi aggiungere la produzione dello sconosciuto numero di laboratori che non sono stati scoperti. Per di più, è assurdo e irresponsabile prospettare una diminuzione della produzione colombiana quando invece tutti gli altri indici ad essa collegati sono in vertiginoso aumento: in sette anni il numero dei laboratori clandestini scoperti è passato da 1.400 a 3.600, la cocaina sequestrata (in Colombia) è aumentata da 75 a 257 tonnellate, le superfici coltivate eradicate dalle autorità sono aumentate da 2.700 a 95.000 ettari, i sequestri delle sostanze chimiche necessarie per produrre la cocaina si sono quintuplicati! Ancora più sconsiderate sono le cifre della produzione mondiale di cocaina, concentrata in Colombia, Perù e Bolivia: le 800 tonnellate stimate dallo Unodc appaiono grottesche se rapportate ai sequestri che superano le 750 tonnellate…
Recentemente Sebastiano Vitali, Direttore del Dipartimento Antidroga della Dcsa – l’organismo nazionale interforze che coordina in Italia il contrasto alle droghe – ha precisato che le polizie dei diversi Paesi riescono a sequestrare, nella migliore delle ipotesi, il 15% della cocaina circolante: alla luce di questa valutazione, non resta che moltiplicare per 7 le 750 tonnellate sequestrate per giungere ad una produzione mondiale pari a circa 5.000 tonnellate: sei volte di più di quanto affermato dall’agenzia Onu antidroga.
Tre mesi fa il direttore dello Unodc, Antonio Costa, ha presentato a Roma, insieme al sottosegretario Giovanardi, il Report mondiale sulla droga 2008. Messo di fronte alle critiche, Costa ha risposto in maniera debole e generica, dichiarandosi comunque disponibile ad un confronto. Siamo disponibili anche noi, a condizione che l’incontro si svolga in pubblico, possibilmente alla presenza di esperti. In passato, abbiamo avuto diversi confronti presso la sede Onu di Vienna, anche alla presenza dell’allora ministro Paolo Ferrero. Incalzati dalle evidenze, gli esperti Unodc hanno ammesso parecchie “incongruenze”. Poi il governo Prodi è caduto, Antonio Costa deve aver tirato un sospiro di sollievo e tutto è rimasto come prima. Chissà se il ministro Maroni, che ha le competenze nella lotta al traffico di droga, ha avuto tempo e modo di riflettere sul problema; e se il ministro Frattini – che da Commissario europeo condivise e rilanciò lo studio e la denuncia di Libera – ha oggi il coraggio e l’autonomia necessari per affrontare la questione. Magari per riconsiderare i finanziamenti che il Ministero degli Affari Esteri elargisce annualmente all’Unodc.