Lo schema di disegno di legge in tema di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio e ordinamento penitenziario, approvato di recente dal Consiglio dei Ministri è un condensato di propaganda e populismo istituzionale diretto più a dare risposte emergenziali di ordine pubblico che non ad affrontare il tema della sicurezza come questione sociale a cui vanno date risposte di carattere politico, dirette a superare le diseguaglianze presenti nel Paese, dalla povertà alla crisi alloggiativa, dalla tutela degli operatori delle forze di polizia ai temi dell’accoglienza degli immigrati. Anche la questione carcere viene affrontata con una impostazione panpenalista, giustizialista. Una ulteriore conferma di quanto questo Governo, tutto, compattamente, pensa in tema di giustizia sicurezza e carcere.
Lo spirito e le iniziative che sono messe in campo in questo disegno di legge sono le stesse del decreto Caivano, del decreto rave. Le soluzioni proposte vanno come sempre verso un inasprimento delle pene e nella codificazione di nuovi reati e sono pericolosissime non solo per le libertà individuali ma anche per la tenuta democratica del Paese laddove si riducono gli spazi di protesta trasformando alcune azioni da soggette a sanzione amministrativa a veri e propri reati. Si pensa di rispondere ad ogni problema soltanto con il diritto penale, e con pene sempre più severe, nonostante tutte le evidenze dimostrino che non è così che si prevengono i reati. Nonostante da tempo giuristi, studiosi, organizzazioni della società civile, la stessa CGIL, stiano chiedendo, invece, la depenalizzazione di alcuni reati minori e l’ampliamento del ricorso alle misure alternative.
Mentre da una parte con la legge Nordio è abolito il reato di abuso di ufficio, limitato l’uso delle intercettazioni e introdotto l’interrogatorio preventivo che limita il controllo del giudice sull’iniziativa cautelare, si allungano i tempi del processo e si limita il potere del pubblico ministero, previsioni legislative a tutela di alcune specifiche categorie sociali, dall’altra si colpiscono, inasprendo le pene, tutti quei comportamenti che nascono e si determinano in ambienti di povertà, di disagio, di marginalità, di degrado sociale che avrebbero bisogno di una più forte presenza dei servizi sociali e di una rete di sostegno. Siamo di fronte ad un pacchetto di misure che, oltre a introdurre il reato di rivolta in carcere, peraltro già sanzionato da altre norme penali, che non si limita a perseguire, com’è ovvio, gli atti di violenza, ma qualsiasi forma di protesta, persino la resistenza passiva, e quindi, rende impossibile qualsiasi forma pacifica di dissenso: siamo all’assurdo che un detenuto che batte le sbarre per richiamare l’attenzione, rischia fino a ulteriori 8 anni di carcere. In più, si aggravano le pene per chi imbratta beni in uso alle forze di polizia o ad altri soggetti pubblici, viene previsto anche il daspo per accattonaggio per i minori. Estremamente afflittiva, populista e demagogica, la previsione di istituire, per finanziare il fondo di solidarietà per le vittime di reati di stampo mafioso, un contributo obbligatorio a carico dei detenuti che lavorano, che devono destinare a quello il 2% della loro retribuzione. In questo modo si attribuiscono obblighi che sono dello Stato, della finanza pubblica a persone che, oltretutto, hanno scarse possibilità di accesso al lavoro, spesso saltuario, con basse retribuzioni.
In particolare, in tema di esecuzione penale rilevante è la previsione del carcere nei confronti di donne incinte eseguita anche in presenza di figlio minori di tre anni. Si elimina l’obbligo di rinvio dell’esecuzione della pena per le donne incinte e per le madri di bambini fino a tre anni, con l’obbligatorietà della reclusione per le madri con bambini di età superiore a tre anni.
Una norma questa che non avrà alcun effetto di deterrenza ma che contribuirà all’affollamento delle carceri e alla presenza di minori all’interno degli istituti.
Abbiamo sostenuto, anche con iniziative pubbliche, che nessun bambino deve varcare la soglia del carcere, che anche gli ICAM sono strutture da superare, perché sempre di carcere si tratta, e la necessità di istituire finalmente le case famiglia per le madri con bambini, già previste per legge e mai realizzate.
La pena è la privazione della libertà, e deve sempre avere il fine rieducativo che viene ad essa riconosciuto dalla Costituzione, sono i regimi reazionari, storicamente, che ritengono il carcere e l’inasprimento delle pene un deterrente, ma fin dai tempi di Beccaria sappiamo che così non è.
Nell’ambito delle tutele al personale delle forze di polizia assistiamo a un esercizio di propaganda che solletica l’aspetto corporativo di alcuni sindacati di polizia. Nei giorni scorsi il governo ha incontrato i rappresentanti delle forze di polizia e delle forze armate e aldilà della retorica sull’ importanza del ruolo, l’appuntamento si è rivelato solo uno spunto di promozione del provvedimento sulla sicurezza come strumento di tutela degli operatori.
La propaganda sul miliardo e mezzo di euro per la sicurezza e il soccorso per il rinnovo dei contratti, si scontra con la concretezza di risorse che sono solo in parte stanziate e che comunque sarebbero inferiori a quelle complessivamente disponibili nel triennio precedente con inflazione molto più bassa. E con l’idea di finanziare l’aumento dell’ora di lavoro straordinario con gli appostamenti contrattuali e ciò comporterà una ulteriore riduzione degli incrementi stipendiali previsti. Dopo due anni senza contratto, si parla di un aumento lordo a regime del 5,80 per cento che non permette un recupero reale del tasso inflattivo che tra 2022 e 2023 si è attestato su numeri a due cifre.
Inoltre, non sono stati previsti investimenti nella formazione, nelle assunzioni, nella previdenza pubblica e complementare per assicurare il giusto tenore di vita al termine dell’attività lavorativa, nel potenziamento di mezzi e strutture al di là delle risorse ordinarie.
Il concetto di tutela non si esprime tramite le giuste risorse per i contratti per la formazione, per il benessere organizzativo, per le assunzioni ma, invece, nell’inasprimento delle pene per i reati connessi alla resistenza a pubblico ufficiale anche per quanto riguarda gli istituti penitenziari e i centri di trattenimento e accoglienza per i migranti. Inasprimento che si estende anche agli immobili e ai mezzi in uso alle forze di polizia.
In questo contesto riteniamo gravissima l’autorizzazione alla detenzione di una seconda arma senza licenza per gli operatori di polizia che suona come un riconoscimento a un esercizio della sicurezza quasi in forma privata non compatibile con il nostro ordinamento costituzionale.
Anche in merito alla tutela dei lavoratori della polizia penitenziaria negli istituti di detenzione riteniamo che così come definita nello schema di disegno di legge, la disposizione non garantisce i diritti del personale.
La sicurezza intesa solo come atto repressivo anche all’interno delle carceri rischia di generare ancora più tensioni e conflittualità.
Il tema della sicurezza viene declinato solo come azione repressiva dei conflitti sociali quando servirebbe una formazione e valorizzazione dei lavoratori delle forze di polizia e non una difesa corporativa, i lavoratori in divisa meritano invece ben altro riconoscimento e rispetto, attraverso un piano straordinario di assunzioni per superare le gravi carenze d’organico, un piano di formazione finalizzato alla gestione più adeguata degli eventi critici, la valorizzazione e crescita professionale attraverso un contratto collettivo nazionale di lavoro più moderno e innovativo.
L’intero schema di disegno di legge interviene sulla costituzione materiale del Paese, anticipando i temi della riforma costituzionale che il governo intende portare avanti, con disposizioni che preparano il terreno per l’azione di una riforma in senso autoritario.
Percorrere la “Via Maestra” per la difesa della Costituzione significa mettere al centro i diritti di tutti, persone libere e persone ristrette, e soprattutto di tutte le persone che più hanno bisogno di supporto e sostegno. Non è con pene sempre più severe che si risponde al bisogno di sicurezza, d’inclusione e giustizia sociale.
Il DDL sicurezza deve essere ritirato, perché è inaccettabile tutta l’ideologia che lo ispira, che è quella che i Padri Costituenti hanno voluto superare, quando hanno disegnato un sistema inclusivo, dove i diritti di tutti sono garantiti, a partire dalla loro piena esigibilità per le persone più fragili, più deboli, riconoscendo i diritti inviolabili dell’uomo, richiedendo l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Roma, 23 Novembre 2023