L’Italia è davvero un bel Paese. Mentre il Parlamento introduceva il reato di tortura, chiudendo in modo francamente inadeguato una pagina imbarazzante per la patria di Cesare Beccaria, sembra si debba registrare una grave vicenda rilevante per i diritti delle persone private della libertà. Negli stessi giorni infatti, un convegno pubblico svoltosi a Bologna ha fatto emergere il lavorio, di alcune burocrazie e di alcuni esponenti locali del PD, per procedere ad un ‘riordino’ degli organismi di tutela nati nell’ambito dei Consigli regionali. Si è trattato di un vero e proprio lancio della “campagna d’autunno” che dirigenti di spicco del PD del Consiglio regionale dell’Emilia Romagna hanno presentato come una “rivoluzione”. Sotto l’inevitabile etichetta del risparmio, il progetto emiliano-romagnolo e la copia riveduta e scorretta dell’Ufficio di Presidenza della Toscana, con l’obiettivo di costituire un “organismo unico” fra difensore civico, garante dell’infanzia e garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà, finiscono necessariamente per ipotizzare la messa in liquidazione delle esperienze consolidate.
Nello specifico, la proposta appare in evidente controtendenza con la dinamica virtuosa di un processo partito dal basso e giunto, solo nel marzo del 2016, all’attivazione del Garante nazionale delle persone private della libertà a cui il Governo ha anche attribuito compiti, funzioni e ruoli derivanti dalle convenzioni europee e dell’Onu che da anni attendevano (come per la tortura) di essere fatte vivere anche in Italia. Dunque, mentre finalmente si comincia a strutturare istituzionalmente una rete di lavoro fra i garanti delle persone private della libertà, partendo proprio dalla significativa realtà delle figure regionali attive da oltre una dozzina d’anni e dai garanti comunali presenti nelle principali città ed in molti comuni, si propone il superamento del quadro esistente. In questi giorni il Garante nazionale ha formalizzato la richiesta ai Garanti regionali di partecipare al NPM, il meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e delle pene inumane e degradanti, in una fase storica dove il sovraffollamento penitenziario torna a mordere le carni delle persone detenute, senza che si siano registrate significative modifiche strutturali dell’esecuzione penale. Nel contempo si sta attrezzando una risposta coordinata alle richieste europee di efficace monitoraggio dei rimpatri forzati verso paesi non EU e il decreto “Minniti”, fra le tante discusse novità, ha riconosciuto ai Garanti il potere di visita e di controllo nei nuovi CPR, che si dovranno creare in ogni regione. Uguale situazione per le REMS che hanno archiviato gli OPG “regionalizzando” la presa in carico dei soggetti autori di reato prosciolti per incapacità di intendere e volere.
Pensare proprio ora alla costituzione di un soggetto unico (monocratico o collegiale, articolato con osservatori tematici o con funzionari dedicati) appare non solo non tenere in conto le decisioni nazionali per corrispondere alle tante risoluzioni sottoscritte a livello internazionale, ma assume il sapore di oltraggio verso le esperienze maturate con successo nell’ambito regionale. Una rete di tutela delle libertà individuali che ha saputo dimostrare che la capacità d’intervento e di risoluzione dei problemi stia essenzialmente nell’autonomia ed indipendenza delle figure, nella specializzazione delle competenze, nella costruzione di una rete di relazioni, nella definizione di collaborazioni fra organismi paralleli nell’attività ma spesso confliggenti negli interessi da tutelare.
E’ ora di una riflessione tra Garanti e Regioni per evitare decisioni improvvisate.