Parlare alla politica di Riduzione del danno e Limitazione dei Rischi (RdD) in Italia è stato impossibile a decorrere dal 2009, la stessa espressione è stata espunta dal vocabolario ad opera dell’allora neonato Dipartimento Politiche Antidroga (DPA), per il semplice motivo – apertamente dichiarato nero su bianco – che nulla avrebbe dovuto rischiare di mettere in discussione l’obiettivo unico dell’astinenza: l’approccio di RdD “rischiava” infatti di evidenziare, pratiche e dati alla mano, che esisteva un governo possibile del fenomeno, a minor rischio, minor danno, minor costo, e privo degli effetti perversi e dei costi umani e sociali che il sistema unico della proibizione e dell’astinenza-per-legge continuava a produrre. Un’espulsione politica, sancita da una Conferenza Nazionale sulle droghe – l’ultima, nel 2009 – zoppa, autoreferenziale, priva della grande parte degli attori della società civile, e da un Piano d’azione 2010-2013 (anche questo, l’ultimo) tarato sugli obiettivi della war on drugs nostrana. E tuttavia, la vecchia talpa della RdD non ha mai smesso di scavare, dai primi anni ’90 ad oggi: certo in modo disuguale, precario e intermittente, ma laddove ha agito, efficace; è riuscita addirittura a produrre ricerca e innovazione, facendo salti mortali o lavorando gratis, mentre risorse anche ingenti prendevano altre strade.
Oggi ci troviamo di fronte a un attrito non più sostenibile tra il sempre cangiante scenario dei consumi e le sue sfide, e la colpevole svalorizzazione, se non l’ostracismo, all’approccio che più ha dimostrato di sapere offrire a queste sfide risposte insieme efficaci e umanitarie, basate cioè e sulle evidenze e sul rispetto dei diritti. È urgente uscire dal paradosso di un approccio e di un sistema di intervento costantemente messi nella condizione di non poter produrre tutta la loro potenzialità a causa della indifferenza della politica. Le evidenze ci sono, ormai, il nodo è tutto politico. Operiamo senza alcuna cornice di indirizzo, questo oltre ad esporre il sistema RdD a precarietà e discontinuità, ne mina l’equa diffusione sul territorio, esponendo i consumatori a una lotteria che li priva di diritti fondamentali inerenti la loro salute. Questa invisibilità politica si porta poi dietro la mancanza di un sistema di monitoraggio, di valutazione, e di ricerca che impedisce evoluzione e crescita. È urgente un passo deciso anche perché, grazie all’azione di operatori e associazioni, la RdD è entrata nei LEA, una conquista importante su cui però nessuno sembra sapere bene cosa fare: non ci sono linee guida a indicare cosa sia, la RdD, e quali siano servizi e prestazioni necessari. Dunque, è tempo di avviare una road map che includa con chiarezza la RdD nelle politiche sulle droghe italiane. Nella Relazione al Parlamento 2016, a fianco della mappatura indipendente condotta dal CNCA, è stata inclusa e fatta propria dall’allora direzione del DPA una proposta di obiettivi urgenti per la RdD, promossa da Forum Droghe sulla base di linee guida europee e costruita nel confronto dal 2014 con le realtà del Cartello di Genova.
Da questa road map ha voluto partire anche l’iniziativa della partnership italiana del progetto europeo Civil Society Involvement in Drug Policy (CSI-DP) che, in linea con quanto prevede il Piano d’azione europeo 2017-2020, spinge per un ruolo attivo della società civile nei processi politici decisionali. La premessa necessaria per una road map è, sembra assurdo, il ripristino della legalità: una Conferenza nazionale sulle droghe, che è il luogo dell’analisi dell’impatto e di indirizzo delle politiche, luogo chiamato a includere tutte le voci esperte e coinvolte, che non si tiene dal 2009 (tanto che come associazioni si è stati costretti a presentare una diffida contro il Governo, dopo anni di richieste inascoltate); e un nuovo Piano d’azione nazionale, in cui la RdD arrivi infine ad avere una sua cornice di indirizzo, degli obiettivi e un sistema. Questa legalità potrebbe anche, almeno in parte, rappresentare la soluzione alla totale mancanza, dal 2008, di luoghi di partecipazione della società civile, pensando a Conferenza e Piano come processi partecipati. Quattro possono essere i passaggi di questa road map in grado di rispondere alle sfide del presente. Primo, Linee guida nazionali RdD che offrano definizioni, evidenze, indicazioni metodologiche e standard. Passaggio necessario anche alla elaborazione dei LEA, compito questo all’ordine del giorno, che deve includere il DPA e i Ministeri competenti, vedere protagoniste le Regioni, e coinvolgere la società civile. Secondo, su questa base una adeguata definizione dei LEA e la loro copertura finanziaria. Terzo, sviluppo e copertura finanziaria di progetti di ricerca finalizzata alla conoscenza dei fenomeni nella prospettiva della RdD, almeno in tre direzioni: analisi degli stili di consumo che consenta l’individuazione di adeguate strategie di intervento per un uso meno rischioso; valutazione di impatto delle politiche pubbliche (penali, sociali e sanitarie), da condurre con approccio basato sia sulle evidenze che sui diritti umani, area di ricerca ad oggi inesistente, con i limiti che questo comporta sul piano dell’innovazione; monitoraggio e valutazione degli interventi di RdD, ad oggi non inclusi nel sistema di rilevazione nazionale.
Questo percorso deve essere accompagnato da un dialogo aperto tra politica e società civile (associazioni, ricercatori, professionisti, consumatori) in sedi a questo dedicate: non solo perché la partecipazione è una indicazione della Strategia europea e un fatto di democrazia, ma anche perché è funzionale a un sistema di conoscenza e di intervento più efficace ed efficiente, grazie a risorse, competenze, pluralità di sguardi e di fonti, e alla produzione, grazie a questa molteplicità, di un approccio alle droghe basato sulla complessità.