Sono trascorsi oltre dieci anni da quando i giudici della Corte costituzionale furono chiamati ad affrontare il tema del diritto per i detenuti di svolgere colloqui riservati, su sollecitazione del Tribunale di sorveglianza di Firenze.
La Consulta, con la sentenza n.301 del 2012, aveva riconosciuto il tema come “una esigenza reale e fortemente avvertita…che merita ogni attenzione da parte del legislatore”. Una pronuncia conclusasi con un’inammissibilità per mancata indicazione della rilevanza della questione nell’ambito del procedimento, da un lato; per il pericolo che un intervento puramente demolitivo non fosse in grado di garantire il diritto in oggetto, dall’altro. L’eliminazione del solo controllo visivo non sarebbe stato sufficiente a garantire quell’intimità negata; serviva individuare presupposti, destinatari, spazi e tempi adeguati che solo il legislatore poteva determinare. La Corte, in quella circostanza, decise di “ritrarre la penna” anziché ricorrere ad uno degli interventi para-legislativi utilizzati successivamente.
Tante cose sono accadute da quella pronuncia. Diverse sono le proposte di legge sul diritto all’affettività e alla sessualità, che si sono susseguite in questi anni. Particolarmente significativi i disegni di legge presentati da due consigli regionali, quelli della Toscana, nel 2021, e del Lazio, nel 2022. Due proposte volte ad introdurre il “diritto di visita”, stabilendone soggetti legittimati (tutti gli “autorizzati” all’accesso senza distinzioni tra familiari, conviventi e “terze persone”), modalità di tempo (dalle 6 alle 24 ore) e di spazio (locali preferibilmente in prossimità dell’istituto). Due iniziative promosse da La Società della Ragione e che per la redazione dell’articolato ha visto impegnati Stefano Anastasia e Franco Corleone.
Nonostante questi richiami e l’esplicito monito della Corte del 2012, il nostro legislatore è rimasto fermo, schiacciato da quel populismo penale che soffia sul consueto fuoco delle paure e soffoca il decollo di riforme organiche nel nostro sistema.
Nuovamente un Magistrato di Sorveglianza, stavolta quello di Spoleto, ha posto la questione.
Con l’ordinanza n. 23 del 12 gennaio 2023, il giudice Fabio Gianfilippi ha sollevato l’illegittimità dell’art. 18 dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia.
Un’ordinanza articolata, che menziona molti di quegli “elementi di novità” che forniscono ai giudici della Consulta un quadro indubbiamente diverso rispetto al 2012. Elementi che i giudici costituzionali non potranno ignorare; così come non potrà essere ignorata la latitanza di un legislatore che, sul tema della sessualità in carcere, ha reso il nostro Paese, oramai, quasi un unicum nel contesto europeo. Un “tempo specialmente lungo”, sottolinea l’ordinanza, “senza che sia giunto a maturazione un progetto legislativo idoneo a superare…una criticità concernente un diritto fondamentale della persona”.
L’ordinanza Gianfilippi è coraggiosa. Sottolinea anche che, dietro l’escalation intollerabile di suicidi in carcere, si celi anche un sistema incapace di garantire spazi, tempi e luoghi adeguati per coltivare relazioni ed affetti.
Una questione che, davanti ad un “mondo penitenziario… particolarmente in sofferenza” – sempre citando le parole del Magistrato di Spoleto – non appare più rinviabile; neppure nell’ottica di quella “collaborazione tra istituzioni” che ha segnato alcune recenti pronunce della Corte, lasciando al Parlamento ancora una chance per un intervento legislativo.
Questa volta non c’è spazio per tergiversazioni o rinvii.