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Aggiornamento

Tangaraju Suppiah è stato impiccato nella prigione di Changi all’alba di mercoledì 26 aprile 2023.


È annunciata per il 26 Aprile, nella prigione di Changi, l’esecuzione tramite impiccagione di Tangaraju Suppiah, 46 anni, arrestato nel 2015 e condannato a morte nell’Ottobre del 2018 con l’accusa di concorso nel traffico di un chilo di Cannabis.

Singapore, nel novero degli Stati che nel 2022 hanno fatto ricorso alla pena capitale a seguito di condanne per reati droga–correlati, rientra fra quelli ad alta applicazione: nell’ultimo anno le esecuzioni per questo tipo di crimine sono state infatti undici. Quella di Suppiah, cittadino tamil di quarantasei anni, rappresenterebbe dunque la prima esecuzione del 2023, a seguito di una pausa di circa sei mesi.

Alla sproporzionalità della pena si uniscono le riserve espresse dai familiari circa la fondatezza della condanna: la pena è stata comminata in base all’assunto per il quale Suppiah sarebbe stato il titolare dei due numeri di telefono contattati per la consegna del carico di Cannabis, sebbene le prove abbiano dimostrato l’estraneità ai fatti di Suppiah, il quale non avrebbe neanche mai materialmente maneggiato la Cannabis in oggetto. In aggiunta, l’interrogatorio si sarebbe svolto in assenza di un legale e senza la possibilità di usufruire di un interprete, nonostante Suppiah ne avesse fatto richiesta. Al momento della lettura della dichiarazione, l’uomo ha sostenuto di non aver compreso appieno il contenuto del documento sottoscritto, ossia le motivazioni alla base della sua condanna.

Una ricostruzione che deve fare i conti con la legislazione di Singapore, che inquadra il tentativo e/o favoreggiamento un crimine al pari del traffico stesso, punendolo alla medesima maniera.

In tutto questo tempo, Sappiah ha continuato a dichiararsi innocente. La privazione della possibilità di assistenza legale ha portato l’uomo, nel Dicembre 2022, ad avanzare una mozione di riesame della condanna, respinta nello scorso Febbraio dalla Corte d’Appello, secondo la quale Sappiah non è stato in grado di dimostrare l’errore giudiziario.

La storia di Suppiah, entrato in carcere per la prima volta a quattordici anni, è esemplare della brutalità delle politiche sulle droghe vigenti a Singapore. È riassunta nelle parole della sorella maggiore Leela, per la quale gli unici ricordi legati al fratello sono costituiti dalle visite svolte con cadenza settimanale per ventisette anni all’interno di innumerevoli istituti penitenziari. Quelli in cui Suppiah ha continuato a essere inserito, rimosso e trasferito senza soluzione di continuità, sempre e solo per condanne relative alla Cannabis, in molti casi per semplice consumo personale, all’insegna di una criminalizzazione violenta e alienante, di fronte alla quale è quanto mai necessario alzare voci di opposizione.

Le reazioni a livello internazionale non si sono fatte attendere. Nelle scorse ore, il network International Drug Policy Consortium (IDPC), attivo nella promozione di politiche sulle droghe rispettose di giustizia sociale e diritti umani, ha indetto una mobilitazione globale invocando azioni urgenti da parte delle agenzie delle Nazioni Unite. La campagna non è finalizzata al coinvolgimento delle sole istituzioni, ma anche a quello da parte della società civile, invitata a esprimersi sui social utilizzando hashtag come #SupportDontPunish e #StrenghtInSolidarity, taggando direttamente il governo di Singapore (@govsingapore) e mettendosi in contatto con i principali riferimenti istituzionali.

Harm Reduction International, in un comunicato, ha esortato Singapore a “fermare immediatamente l’esecuzione di Suppiah, e ad imporre una moratoria su tutte le esecuzioni, comprese quelle per reati legati alla droga”, sottolineando come violazioni simili rappresentino elementi ostativi all’abolizione dello strumento pena di morte.