“L’abbiamo bastonato di brutto”, “questo qui è mezzo morto”. Solo dei modi di dire secondo Enzo Pontani. Il capo pattuglia che per primo ingaggiò la colluttazione con Federico Aldrovandi la notte del 25 settembre 2005 giustifica così le parole riferite al telefono alla centrale operativa.
L’agente è stato il primo imputato ad essere sentito ieri, durante la sedicesima udienza del processo che lo vede accusato, insieme ai colleghi Monica Segatto, Paolo Forlani e Luca Pollastri, dell’omicidio colposo del 18enne morto in via Ippodromo. “Erano le 5.55 – inizia così il suo racconto di quelle ore -, la centrale chiamò inviando me e Pollastri (l’equipaggio della volante Alfa 3) sul luogo”. L’orario, scritto dal poliziotto sulla sua agenda personale, non combacia però con quello delle 5.50, quando al 113 arriva la chiamata (quella di Fogli) per una “persona che urla e picchia la testa contro un palo” come indicato nel brogliaccio delle volanti (che in un primo momento riportava le 5.45, poi cancellato a mano). Prima ancora, le 5.47, era stata un’altra residente, Cristina Chiarelli, ad avvisare i carabinieri.
Il resto della storia è quello già ascoltato in altre udienze: l’auto della polizia si avvicina al parchetto, Federico sbuca dal buio, dà un calcio al paraurti e cerca di colpire Pontani. Poi il primo scontro, l’attesa dei rinforzi e la seconda fase della colluttazione. Al termine della quale Federico rimarrà ammanettato, “supino” dice Pollastri, “prono” secondo la testimonianza di Anne Marie Tsegueu resa in incidente probatorio. “Nessuno di noi – assicura l’agente – ha colpito il giovane una volta bloccato. Se avessi visto un mio collega infierire su di lui sarei stato io stesso a reagire”. Poi il 18enne, “a un certo punto smette di divincolarsi, proprio nel momento in cui arrivano i carabinieri”, dice Pontani, che assicura di non essersi preoccupato delle condizioni del giovane (“sembrava tutto normale”, spiega). Fino a 15/20 minuti dopo, quando i sanitari del 118 comunicheranno a lui e ai suoi colleghi che Federico è morto.
Dopo le oltre tre ore di esame di Enzo Pontani è toccato agli altri tre agenti raccontare la propria verità. Il film è lo stesso, tranne ovviamente che per Paolo Forlani e Monica Segatto, intervenuti successivamente come pattuglia Alfa 2 in aiuto di Alfa 3. Prima erano in via Aldighieri, dove si sarebbe portata anche la pattuglia Pontani-Pollastri. Ma di quell’intervento non esiste una relazione di servizio.
Tutti si sono detti sicuri di aver colpito Federico solo dalle ginocchia in giù, per fargli perdere l’equilibrio e riuscire così a bloccarlo. Nessuno però è riuscito a spiegare le lesioni che il ragazzo presentava sul volto e sul capo, ferite ben visibili dalle foto scattate nella sala dell’obitorio. Le due cadute che hanno visto protagonista il 18 enne (la prima, frontale, a cavalcioni della portiera dell’Alfa 3; la seconda di fianco afferrato dal cappuccio da Forlani) non sono congruenti con la dinamica ricostruita in aula.
Secondo i quattro poliziotti, inoltre, Federico non avrebbe proferito parola durante la colluttazione prima e durante l’atterramento poi, ma solo “urla e ghigni”, mentre alcuni testimoni avrebbero sentito il ragazzo gridare “basta” e “aiutatemi”.
Anzi, i quattro non avrebbero avuto “assolutamente nessuna percezione che Federico potesse essere in pericolo di vita”, confermerà Paolo Forlani.
Anche lo scrupolo di chiamare l’ambulanza sarebbe antecedente rispetto a quanto sentito precedentemente in aula e a quanto scritto nelle relazioni di servizio (“sintetiche per definizione”): Enzo Pollastri assicurare di averla richiesta ben tre volte e che per “ausilio” e con la frase “oh, arrivano gli altri?” (come si legge nelle trascrizioni) lui intendeva “rinforzi e personale del 118”. Nell’ultima annotazione della relazione di servizio invece specificherà la richiesta di rinforzi e ambulanza.
Anche Monica Segatto, come gli altri imputati, dice che quando il ragazzo era ammanettato, con la faccia a terra, immobilizzato da sue due colleghi e mentre lei gli teneva le gambe lo aveva visto respirare. Tutti concordano sul fatto che quando i carabinieri sono arrivati, il ragazzo respirava ancora (Pollastri gli toccò anche il polso: “stava benissimo”). Eppure quando furono sentiti in tribunale i militari dissero di non aver visto il ragazzo muoversi.
Prima dell’esame degli imputati sono stati ascoltati perito e consulenti di parte sulle trascrizioni delle telefonate e delle voci che si sentono nel video della scientifica girato dopo il decesso. L’esperta del tribunale traduce la famosa frase tra 112 e 113 con “sicuramente delle pecche ce ne hanno”, mentre per il consulente della difesa si tratta di “pesche”.
Ora toccherà ai periti e ai consulenti medico-legali e tossicologi del pm spiegare in tribunale di cosa è morto Aldrovandi. Per conoscere questo pezzo di verità bisognerà attendere il 15 luglio, l’ultima data prima della pausa estiva.