Affossato il mito della cannabis come «droga proibita», anche per le sostanze psichedeliche parte il percorso di depenalizzazione. In California, a fine agosto scorso è stata ufficialmente depositata la richiesta per un quesito referendario, previsto nel novembre 2018, finalizzato a «depenalizzare coltivazione, uso, possesso, vendita o trasporto di funghi contenenti psilocibina per i maggiori di anni 21». È in corso la raccolta delle firme necessarie (almeno 365.880) per includere il quesito sulla scheda elettorale.
Sempre sulla West Coast, la Oregon Psilocybin Society ha lanciato la campagna per presentare un referendum statale nel 2020 per legalizzare l’uso della psilocibina, basato però su proposte più articolate. I pazienti potrebbero farne uso soltanto in centri autorizzati sotto la supervisione di facilitatori certificati e sarebbe disponibile a qualsiasi adulto, dietro autorizzazione medica e salvo controindicazioni di salute, ma senza limitarsi a specifiche diagnosi.
D’altronde da circa vent’anni è proprio la ricerca medico-scientifica il motore primario della diffusa riscoperta delle sostanze psichedeliche a livello mainstream, facendo breccia nel regime proibizionista imposto anche ai ricercatori fin dai primi ’70.
Nel 2006 il team coordinato dal dottor Griffiths ha diffuso i risultati del programma avviato nel 1999, confermando il successo della psilocibina per contrastare la dipendenza da alcol, nicotina ed eroina, per alleviare l’ansia della morte nei malati di cancro terminale e per altri disturbi mentali. Ampia l’eco mediatica suscitata da due test clinici più recenti (2016) tenutisi in parallelo alla Johns Hopkins University di Baltimora e alla New York University. In base ai risultati sugli 80 soggetti coinvolti, una singola dose di psilocibina, assunta sotto controllo medico e con l’ausilio della psicoterapia, può «dare sollievo dall’ansia e dalla depressione associate con il cancro per almeno sei mesi».
Mentre importanti organizzazioni come l’Heffter Research Institute e MAPS, stanno portando avanti indagini più ampie, analoghi risultati positivi sono emersi nel 2010 a Londra sotto l’egida dell’Imperial College e della Beckely Foundation, rispetto a un gruppo ristretto di pazienti affetti da depressione cronica. Tant’è che il David Nutt, coordinatore di queste sperimentazioni, si è lanciato in una previsione coraggiosa: «Sono assolutamente sicuro che entro dieci anni la psilocibina sarà un trattamento prescrivibile per curare la depressione».
Le (potenziali) proposte referendarie in California e Oregon fanno quindi leva sulla ricerca scientifica, su un ritorno di interesse dei media, e su uno scenario socio-culturale decisamente mutato. Quadro confermato da un sondaggio condotto a luglio 2017 dalla società di ricerca YouGov: il 53% degli interpellati vede con favore la ricerca sui potenziali benefici terapeutici degli psichedelici, e nel caso tali benefici vengano confermati, il 63% si dice disposto a considerare personalmente eventuali trattamenti con psilocibina, Ketamina oppure Mdma.
La sincronia tra le sperimentazioni mediche in corso, un rinnovato interesse mediatico e la diffusa attenzione popolare va dunque ponendosi come spinta propulsiva per un ripensamento generale anche rispetto ai «proibitissimi» allucinogeni. Puntando soprattutto sulla volontà dei cittadini per la revisione di normative repressive che, in Usa come nel resto del mondo, si rivelano sempre più anacronistiche.
L’autore cura il sito psichedelia.info. Su Fuoriluogo.it trovate la recensione di Stefano Vecchio del suo libro «Rinascimento Psichedelico» (Stampa Alternativa).