Giovanni Serpelloni in questi anni di guida del Dipartimento Antidroga non si è certo trattenuto dal fare dichiarazioni stupefacenti. Fra queste una delle più frequenti era agitare lo spauracchio della supercannabis. Secondo l’ex capo del DPA oggi il THC nelle piante di cannabis arriva intorno al 60%, contro il 5% degli anni 70. Ma gli studi e i dati ufficiali sui sequestri dicono altro, vediamoli nel dettaglio.
Nelle varie dichiarazioni a ridosso della sentenza della Corte Costituzionale sulla legge Fini-Giovanardi Giovanni Serpelloni è più volte tornato sulla supercannabis, spesso smentendo se stesso. Ecco alcune dichiarazioni dell’ultimo anno:
“Gli adolescenti hanno diminuito la percezione del rischio di pericolosità di questa sostanza e di conseguenza aumenta l’uso. Invece, attualmente è molto più nociva rispetto al passato perché le piante geneticamente modificate hanno raggiunto un principio attivo, thc, pari al 46%” (fonte Oggi SIP, 8 maggio 2013) [1]
“Basti pensare che il principio attivo, il Thc, è incrementato nelle piante fino al 45% rispetto alla presenza in passato di Thc che era del 5-7%” (fonte La Stampa, 5 dicembre 2013) [2]
“La legge Iervolino-Vassalli è stata fatta in un periodo in cui c’erano certi tipi di droga che non esistono praticamente più, in cui la percentuale di Thc nella cannabis era del 5% mentre ora siamo arrivati fino al 55%” (fonte AdnKronos, 12 febbraio 2014). [3]
“La cannabis attualmente sul mercato ha percentuali di THC molto alte, anche del 10-15% contro il 5-8% disponibile nelle piante in natura” (fonte Huffington Post, 18 febbraio 2014) [4]
“Ma poi quali sono le droghe ”leggere”? La quantità di principio attivo (THC) presente nella cannabis è notevolmente aumentata, infatti ci sono piante appositamente modificate e coltivate con tecniche violente di coltura intensiva che arrivano anche al 60% di principio attivo, riportando peraltro una perdita dei principi attivi proteggenti (CBD). Non esistono quindi droghe “leggere”” (fonte RealPost 10 marzo 2014) [5]
“Occorre in prima battuta fare delle precisazioni. Esistono due tipi di cannabis: quella naturale che contiene dal 2,5% (per il fogliame) fino al 10-12% (per le resine) di principio attivo. E questo è un prodotto coltivato naturalmente e non modificato. Poi ve n’è un altro tipo: la Super cannabis, modificata con altre sostanze che contiene percentuali di Thc maggiori del 12,5% e che possono arrivare anche in alcune resine fino al 60%” (fonte Quotidiano Sanità, 2 aprile 2014) [6]
Si tratta in fondo di un creativo recupero della “Teoria del 16%” ovvero del filone proibizionista di fine anni ’80 che motivava l’accanimento nei confronti della cannabis con “l’incredibile aumento” della presenza di THC rispetto a quella dei mitici anni 60 e 70. E’ una teoria figlia della War on Drugs di Nixon e Reagan, quella stessa che spinse Craxi ad introdurre la la Jervolino-Vassalli (che, ricordiamocelo, puniva anche il consumo prima del referendum del 1993). Peccato che sia un assunto campato per aria, e smentito da tutte le statistiche sui sequestri delle forze dell’ordine, nonchè dagli studi sull’effettiva qualità, sottostimata, dei cannabinoidi in circolazione negli anni dei figli dei fiori.
La pervicacia di Serpelloni di riproporcela continuamente, sparando ogni volta più in alto, è stata però davvero stupefacente. Pensate: solo 13 mesi fa (maggio 2013) per l’allora capo del DPA il thc nella cannabis era al 46%, il 5 dicembre 2013 la percentuale era scesa improvvidamente al 45% (arrotondamento?) e casualmente il giorno della bocciatura della legge Fini-Giovanardi è salito incredibilmente al 55% per poi arrivare, in sede di audizione sul Decreto Lorenzin alla Camera dei Deputati al 60,6% [7]. In questo ultimo testo, per la verità riusciamo a scoprire perchè le cifre ballano così tanto. Evidentemente i giornalisti fanno confusione quando Serpelloni comincia a sparare percentuali, e confondono infiorescenze, foglie, hashish e oli. O forse è Serpelloni che non chiarisce bene ai suoi interlocutori la differenza fra la presenza di Thc nell’intera pianta (foglie comprese), nelle infiorescenze e negli estratti vari (resine e oli), ovviamente e naturalmente diversa. Forse non scopriremo mai la verità, ma almeno andando a riguardare studi e dati ufficiali scopriamo invece che se mai un incremento c’è stato, per gli stessi studi citati dal Dipartimento Antidroga (tabella 1), il dato del thc nella pianta non ha mai superato il 20% [8] mentre la media non si è mai allontanata di molto da quel 10% che ritornerà anche successivamente.
Tabella 1 Contenuto di THC nelle piante di marijuana
Fonte: Fidelia Cascini, Carola Aiello and GianLuca Di Tanna, Increasing Delta-9-Tetrahydrocannabinol (Δ-9-THC) Content in Herbal Cannabis Over Time: Systematic Review and Meta-Analysis
Certamente sono numeri ben superiori a quelli rilevati negli anni 70, ma la meta-analisi citata si riferisce per quegli anni ad un numero talmente esiguo di campioni, 28 nel 1970, 15 nel 1971 contro i 2752 del 2008 (peraltro stoccati e analizzati con le metodologie di allora) da rendere difficile il confronto. Fra l’altro nessuno vuole negare un aumento della quantità di THC nella cannabis, soprattutto quella di alta qualità: è evidente come le metodologie di coltivazione (la separazione maschi-femmine e soprattutto la coltivazione indoor che sta sostituendo quella outdoor) ma anche di essicazione, stoccaggio e trasporto di oggi abbiano sicuramente influito sulla qualità del prodotto. Probabilmente ancor più, come confermato anche dagli addetti ai lavori di Amsterdam [9], delle tecniche di incrocio fra diverse genetiche di marijuana (peraltro utilizzando normali tecniche agronomiche ben lontane dalle manipolazioni genetiche evocate da Serpelloni e Giovanardi).
Ma è lo stesso Serpelloni che smentisce se stesso: nel suo “fondamentale” testo “Cannabis e danni alla salute” viene citato un altro studio (Di Forti, 2009) che fissa al 12-18% la percentuale massima di THC presente nella pianta. Se poi andiamo a vedere i dati sui sequestri di sostanze da parte delle forze dell’ordine presentati nella sua stessa relazione annuale (2013, con dati 2012), troviamo la conferma che la supercannabis non esiste, o quantomeno non circola sulle strade del nostro paese. Al massimo si arriva al 27% di THC (probabilmente un derivato di buona qualità), mentre la media si attesta intorno al 10%.
Come vediamo poi dalla successiva figura non vi è alcuna impennata “recente” nella cannabis che circola nel nostro paese, e la qualità dei cannabinoidi è rimasta più o meno costante, a livelli paragonabili anche quelli di alcuni studi degli anni 70 (dal 1% al 14% intorno al 1975 [10]).
Insomma, la supercannabis al 60% nelle strade italiane non esiste: se esiste è tutta nei giardini di Serpelloni e Giovanardi.