ROMA, 23 marzo 2007 – Eccolo, finalmente. Dopo una settimana di polemiche fondate sul nulla, possiamo leggere l’articolo contenuto nell’ultimo numero di The Lancet che, secondo quanto anticipato dall’Independent, dovrebbe riportare delle rivelazioni scientifiche tali da indurre quest’ultimo a cancellare la sua campagna di richiesta di depenalizzazione dell’uso della cannabis. Motivo: “numeri record di adolescenti necessitano di terapie antidroga perchè fumano ‘skunk’, il potente tipo di cannabis che è 25 volte più forte della resina che si vendeva dieci anni fa”.
Ebbene, a leggere con attenzione la ricerca presentata sulla prestigiosa rivista medica, non si evince nulla di tutto ciò. Il dato più significativo, semmai, è quello che evidenzia come tabacco e alcol siano molto più pericolosi dell’LSD e della cannabis. Nulla che già non si sapesse, intendiamoci, al punto che a corredo dello studio viene riportato addirittura un grafico analogo a quello già utilizzato a luglio scorso per illustrare il risultato del lavoro della commissione parlamentare britannica, la quale aveva proposto di rivedere il sistema di classificazione delle sostanze stupefacenti in modo da tenere conto della loro pericolosità reale.
Della skunk poi, proprio non se ne parla. La “potente varietà di cannabis” che secondo l’Independent sarebbe “25 volte più potente” di quella “tradizionale”, non viene mai menzionata, mentre si fa notare come una parte consistente dei danni che la cannabis può causare sono da addebitarsi al fatto che, di norma, viene fumata insieme al tabacco.
Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Lo stesso Independent riporta queste considerazioni nella sua edizione di oggi, insieme al parere del Prof. Leslie Iversen, dell’Università di Oxford, il quale fa notare come si sia recentemente diffuso il mito che la skunk fosse addirittura 20 o 30 volte più potente della cannabis disponibile 30 anni fa, ma questo «semplicemente non è vero. L’Advisory Council on the Misuse of Drugs – continua il professore – ha esaminato la questione con attenzione ed è arrivato alla conclusione che la resina di cannabis (hashish) è cambiata molto poco e il contenuto di principio attivo (THC) generalmente non supera il 5%. La skunk può arrivare a contenerne al massimo il 10-15%. Due o tre volte tanto, quindi e non 20 o 30», come invece è stato detto.
Riguardo al presunto rapporto di causalità esistente tra cannabis e schizofrenia, gli autori dello studio sostengono chiaramente come ciò non sia riscontrabile. Seppure ci fosse, le evidenze scientifiche mostrano come non più del 7% dei casi possano essere attribuibili all’uso di questa sostanza.
A questo punto, sarebbe utile che tutti coloro – “proibizionisti” e “antiproibizionisti” da strapazzo – che in questi giorni, pur di legittimare se stessi nei rispettivi ruoli, hanno parlato a vanvera (nel Regno Unito come in Italia), si mettessero a leggere e la finissero, una volta tanto, di agitare false argomentazioni per sostenere tesi insostenibili che possono rivelarsi anche molto pericolose.
C’è un preoccupante dato di disinformazione in questo Paese e ancor più preoccupante è che questa sia alimentata proprio da coloro che ricoprono o hanno ricoperto ruoli chiave nell’amministrazione delle politiche che intervengono sul fenomeno.
Personalmente, sottoscrivo in pieno quanto il Prof. David Nutt (responsabile dello studio in questione, nonché membro anziano della commissione consultiva del governo britannico sulla classificazione delle droghe) ha dichiarato al Guardian: «Il messaggio della riduzione del danno sparisce completamente perché la gente dice “Stanno mentendo”. Trattiamo le persone da adulti, diciamo loro la verità e lavoriamo con fiducia insieme a loro».