Il documento (scritto in politichese e firmato da venti consiglieri comunali) è lungo quattro cartelle. Ma la notizia – che nella lotta all’uso di stupefacenti sistema Torino sullo stesso piano di Amsterdam, Sydney, Vancouver e Barcellona – arriva alla fine della mozione: «In accordo con la Regione Piemonte e le Asl, s’impegna il sindaco a promuovere la sperimentazione di “Sale del Consumo”, rivolte a chi fa uso di sostanze illegali, con l’obiettivo di intercettare i fruitori di sostanze riducendo il consumo in luoghi pubblici».
Traduzione: Torino, prima città d’Italia, chiede al suo sindaco (Chiamparino, che tra l’altro fu il primo ad auspicare l’arrivo delle narcosale, già nell’inverno scorso) di realizzare le «stanze del buco», anche se il termine non piace quasi a nessuno all’interno della maggioranza di centrosinistra. «E’ una definizione dura, che racchiude in sé un senso di squallore e abbandono – sostiene il primo firmatario della mozione, Marco Grimaldi, di Sinistra Democratica – e poi stravolge il vero obiettivo del nostro progetto: non solo togliere i drogati dalla strada fornendo loro assistenza medica e psicologica, ma cercare di coinvolgerli in un percorso di recupero».
E se la Sinistra democratica chiarisce che si tratterà di una struttura completa, che ha l’obiettivo di «redimere» il tossicodipendente, il capogruppo dell’Ulivo Andrea Giorgis sottolinea (forse per venire incontro anche alle richieste dell’ala cattolica della Margherita) che questo recupero rappresenterà una «conditio sine qua non»: «O il tossicodipendente accetterà di cominciare, assieme agli operatori e ai medici, un cammino condiviso, di disintossicazione, oppure non potrà nemmeno chiedere di farsi la dose».
Una modalità che piacerà anche agli ex democristiani oggi confluiti nel Pd, ma che lascia molto perplessi i professionisti che ogni giorno hanno a che fare con il mondo dei tossicodipendenti: «Se nasce con queste premesse il progetto naufragherà all’istante – spiega Paolo Jarre, direttore del dipartimento di Patologia delle Dipendenze dell’Asl 5 di Torino – perché chi approda alla stanza del buco ha ben altro per la testa che non fornire i propri dati, dichiarare di essere d’accordo nel farsi coinvolgere in un progetto». Incalza: «Scusi il paragone, ma è come se qualcuno proponesse un consulente matrimoniale a un cliente che sta abbordando una prostituta».
Ma il capogruppo dell’Ulivo, determinato almeno quanto i colleghi della sinistra radicale a portare a casa il risultato, è aperto alla discussione: «L’opinione di Jarre è molto interessante. Gli chiederemo di esporla pubblicamente così come faremo con altri tecnici: Torino vuole le narcosale, o “shooting rooms” come le definiscono all’estero, ma siccome siamo una città laboratorio le vogliamo fare al meglio».
Certamente il laboratorio-Torino un primato l’ha già portato a casa: quello di mettere nero su bianco in una mozione firmata da venti consiglieri che vanno da Rifondazione ai Verdi e dall’Italia dei Valori all’Ulivo, la richiesta di un progetto che nessuno in Italia aveva mai sperimentato. Il secondo primato è che buona parte dell’ala cattolica della Margherita è assolutamente d’accordo sul fatto che «qualcosa ormai in questo senso bisogna fare», come conferma il consigliere Gavino Olmeo: «Bisogna sperimentare vie nuove – chiarisce – e anche se non le chiameremo narco-sale, ci rifaremo a modelli già realizzati, con successo, all’estero».
Stamattina la mozione verrà discussa in commissione. L’opposizione promette lotta dura presentando un documento di segno contrario. Ma anche se il centrodestra bocciasse poi compattamente in Consiglio la mozione, le «narco-sale» alla maniera piemontese si faranno.
E saranno le prime d’Italia.