BRUXELLES — Nell’anno di grazia 1349, alla fine dell’inverno, una nave brulicante di topi salpò dalla Gran Bretagna, puntando a Nord. E così, poche settimane dopo, sulle zampe dei topi la peste nera sbarcò a Bergen e in tutta la Norvegia. Anche a Oppdal, ricco borgo fra le montagne, che fu devastato dal contagio: da 2200 che erano, gli abitanti calarono a 300, e ancora la memoria si tramanda. Ma non è per questo che lassù, in quel centro sciistico che oggi ha 6.500 abitanti bipedi e 45.000 quadrupedi (cioè pecore: primato comunale della popolazione ovina in Norvegia) il color nero sembra fare ancora paura. E’ per il volto di Joseph Moiba, sacerdote africano, nato nella torrida Sierra Leone 37 anni fa e da 8 trapiantato fra le nevi, il primo prete nero nella storia della Norvegia, laurea in teologia, cittadinanza in regola, e probabilmente un gran magone nel cuore: più volte, ai funerali dei suoi parrocchiani, varie famiglie l’hanno scacciato, impedendogli di celebrare i riti. Sarebbero echeggiate frasi come «per gente come te non c’è posto in Norvegia», e sarebbe partito anche qualche calcio all’auto del prete. Che alla fine, è stato convocato dal suo vescovo: stretta di mano, soluzione «diplomatica», l’invito a non celebrare più funerali e a riposare per un pò.
Ma altri vescovi del paese si sono ribellati, accusando quel presule di razzismo, e il caso ha finito per coinvolgere tutta la Chiesa di Norvegia, cioè la chiesa protestante di Stato. «Abbiamo molta strada da fare — ha detto il capo dei vescovi — prima di poter dire che ci siamo sbarazzati di tutti i pregiudizi». Come sempre avviene in questi casi, l’episodio isolato può aprire finestre indesiderate sul passato. E anche qui, sottotraccia, forse serpeggiano memorie scomode: quelle legate ai collaborazionisti norvegesi che sostennero il governo di Vidkun Quisling, figlio di un pastore protestante e fondatore del partito nazista norvegese; fra i sogni che lo legavano al suo mentore, Adolf Hitler, c’era anche quello del «Nord ariano», razzialmente «puro», tanto che nel 1942 modificò la Costituzione con un paragrafo che proibiva la residenza in Norvegia agli ebrei. Pure lui, Quisling, trovò chi lo ascoltò: anche se la grande maggioranza dei norvegesi lo disprezzò e lo derise (come in fondo fece Hitler). E anche se la resistenza norvegese fu una delle più combattive in Europa.
Ma queste sono tutte storie passate, che non riguardano naturalmente padre Joseph. Lui, che viene da una famiglia cristiana da 3 generazioni e ha una laurea con il massimo dei voti corroborata dalla specializzazione presa ad Oslo, non ha fatto comizi, come pure qualcuno gli aveva suggerito: si è chiuso in casa, con il pretesto di un malore, e aspetta le decisioni dei vescovi. Ma intanto la storia ha camminato con le sue gambe ed è finita in politica, perché il Kristelig Folkeparti, il partito cristiano-popolare, ha preso le parti del sacerdote. E anche perché è sceso in campo un nome importante: Kjell Rokke, pescatore in Alaska da ragazzo e oggi settimo nella classifica dei norvegesi più ricchi (patrimonio stimato sui due miliardi di euro).
Poi, dai giornali locali, la storia è rimbalzata sulle onde di Internet oltre l’Atlantico, e là ha provocato un altro genere di reazione. Quelli di «Stormfront-Orgoglio Bianco», un movimento di Memphis nel Tennessee che sembra aver raccolto il testimone del Ku Klux Klan, dal loro fiammeggiante sito web hanno indicato i parrocchiani di Oppdal all’ammirazione del mondo: «Bravi, basta con il mantra del multiculturalismo diffuso dalla chiesa in Europa! Hanno detto a quel tipo “non c’è posto per gente come te in Norvegia”, e noi non potremmo essere più d’accordo». E ancora: «Woo, bel goal per la Norvegia». E l’invito a tutti gli europei: «Minate i vostri confini». Fra i firmatari degli appelli, «Walhalla» o «Fiero Prussiano». Ma ogni tanto, si affaccia fra loro anche qualche nome italico. Come uno che saluta «Heil, camerati!» e dice di abitare nell’«Unione Socialista Sovietica Giudaica Massonica Europea», testuale.