Non c’è modo migliore di commemorare la dichiarazione dell’avvio della War on Drugs da parte di Richard Nixon, 50 anni fa, se non annunciandone il fallimento colossale e fare il primo passo per concretizzare la necessaria riforma a livello federale. È quanto hanno fatto deputate democratiche Bonnie Watson Coleman (New Jersey) e Cori Bush (Missouri), presentando un disegno di legge finalizzato a depenalizzare il possesso personale di qualsiasi droga.
Si tratta anzi di svoltare finalmente pagina, come suggerisce il titolo stesso della proposta: The Drug Policy Reform Act. Il cui testo riprende molte delle proposte stilate dalla storica non-profit Drug Policy Alliance, sintetizzate la scorsa estate in un documentato intitolato Dismantling the Federal Drug War: A Comprehensive Drug Decriminalization Framework.
«Crescendo a St. Louis (Missouri), ho visto l’epidemia del crack rubare così tante vite alla mia comunità», si legge nel comunicato diffuso da Cori Bush. «Ho vissuto gli anni della dannosa guerra alla marijuana dove gli arresti degli afro-americani superavano di tre volte quelli delle controparti bianche, pur se con un’analoga percentuale d’uso. E ora, nelle vesti di deputata al Congresso, vedo ripetersi lo stesso trend con il fentanyl, mentre la DEA preme per criminalizzarne possesso e uso come unica soluzione. Quest’approccio punitivo crea sempre più dolore e problemi, fa aumentare l’uso e costringe milioni di persone a vivere nella vergogna e nell’isolamento con quasi nessun sostegno per aiutarli a guarire».
Oltre a depenalizzare il possesso, la bozza di legge prevede infatti ben altro: cancellare le precedenti condanne e rivedere le sentenze passate in giudicato, trasferire le competenze giudiziarie dal Procuratore Generale al Dipartimento della salute e dei servizi sociali, investire in strategie sanitarie, porre fine alle conseguenze associate con la criminalizzazione di chi usa, compreso il diniego dell’assistenza federale, della patente di guida e del diritto di voto, come pure l’accesso alle procedure per l’immigrazione. Si tratta insomma di una vera e propria riforma delle attuali politiche nazionali sulle droghe.
D’altronde questo passo è in sintonia con le posizioni della gran parte dei cittadini. L’ennesimo sondaggio diffuso dalla stessa DPA (Drug Policy Alliance) e dall’ACLU (American Civil Liberties Union) alla vigilia di questo 50.mo anniversario, rivela che il 66 per cento dei votanti approva e vorrebbe policy mirate a sostituire le sanzioni penali per chi fa uso di sostanze illegali con un approccio basato sulla scienza e sulla salute.
Per non parlare dei passi in tal senso compiuti negli ultimi anni a livello locale, in particolare rispetto alla regolamentazione della sostanza illegale più consumata al mondo, la cannabis: 18 gli Stati che prevedono varie normative per quella ricreativa e 36 per quella terapeutica, oltre alla legalizzazione totale nel limitrofo Canada (e in Uruguay).
Ancora: il sostegno popolare alla fine della War on Drugs è stato confermato lo scorso novembre in Oregon, con un referendum che depenalizza il possesso personale di qualsiasi sostanza. Lo stesso dicasi per gli psichedelici naturali: oltre ad analoghe misure in alcune città, recentemente il Senato della California ha approvato la depenalizzazione statale, in attesa del Sì anche alla Camera.
Mentre al Congresso il fronte democratico sta lavorando anche per la legalizzazione federale della cannabis, resta da vedere quanta strada potrà fare questo Drug Policy Reform Act . Quel che è certo è che la sua presentazione ha ricevuto ampia eco mediatica e molta attenzione sui social, imponendosi come una data storica verso la fine totale del proibizionismo.