La scorsa settimana la FDA (Food & Drug Administration) ha formalmente respinto la richiesta per l’approvazione della terapia coadiuvata dall’MDMA (anche nota come Ecstasy o Molly) per il trattamento del PTSD (disturbo da stress post-traumatico). Ne dà notizia la stessa entità da tempo promotrice della richiesta, MAPS/Lykos, in un comunicato in cui si legge fra l’altro: “Dopo aver completato la revisione della richiesta, la FDA ha stabilito che non poteva essere approvata sulla base dei dati presentati fino ad oggi. La FDA ha chiesto a Lykos di condurre un ulteriore studio di Fase 3 per approfondire la sicurezza e l’efficacia della midomafetamina. Lykos intende richiedere un incontro con la FDA per chiedere di riconsiderare la decisione e discutere ulteriormente le raccomandazioni dell’agenzia per la ripresentazione della richiesta di approvazione”.
In attesa dunque di prossimi sviluppi, appare una decisione corretta e in fondo prevista da qualche settimana, soprattutto in base all’analogo parere negativo del comitato consultivo della stessa FDA. In generale, si ritiene che i dati forniti dal lungo processo dei test clinici non abbiano dimostrato l’efficacia concreta e definitiva dell’MDMA, mentre ne restano elevati i possibili rischi e rimane problematica l’inedita combinazione tra sostanza e psicoterapia, anche perché l’agenzia federale può autorizzare o meno soltanto l’uso di medicinali in base a specifiche circostanze, ma non interviene né regola in alcun modo la psicoterapia, in questo caso invece elemento cruciale dell’intero percorso.
Da notare altresì l’assenza di dati sulla salute cardiaca ed epatica dei partecipanti dopo la terapia con MDMA e il silenzio su certe controversie relative alle pratiche e alle responsabilità dei terapeuti, inclusi alcuni casi di abuso sessuale e soprattutto psicologico emersi nel corso dei test clinici, e soprattutto di come prevenirli in maniera efficace, considerata l’estrema vulnerabilità dei soggetti sotto l’effetto di sostanze psicotrope.
Negli Stati Uniti, l’attesa decisione ha trovato immediata eco su numerose testate mainstream (qui un elenco in aggiornamento) ed è stata finanche citata nei telegiornali serali dei maggiori network nazionali. Ne emerge una certa delusione generale ma al contempo l’imprescindibilità del rigore scientifico e l’urgenza di condurre ulteriori studi. Più interessanti le reazioni a caldo di esperti e addetti, pazienti e attivisti soprattutto via Twitter/X. Dove c’è chi chiarisce, ad esempio: “È possibile ritenere che l’MDMA abbia un enorme potenziale terapeutico e che non debba mandarti in galera, e allo stesso tempo credere che Lykos possa aver minimizzato gli esiti negativi e sopravvalutato l’affidabilità del trattamento standardizzato”. E ancora: “Questo è un pugno allo stomaco per quanti avevano riposto speranze in questo utile trattamento per il PTSD…Eppure non possono essere ignorati i problemi dei dati non affidabili né quelli legati agli sponsor”.
In sostanza i vari interventi sottolineano che la decisione della FDA si pone come una drastica battuta d’arresto per il movimento psichedelico nel suo complesso, poiché da qualche tempo si dava per certa – anche al di fuori degli Stati Uniti – la conquista di una maggiore accettazione pubblica e di nuovi spazi legali quantomeno per le terapie psichedeliche. E che soprattutto abbia inferto un duro colpo a Lykos Therapeutics, l’entità imprenditoriale di recente formazione derivata dalla non-profit MAPS (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies), che ha sponsorizzato e gestito la proposta di sperimentazione, raccogliendo centinaia di milioni di dollari fin dal 1996.
Le critiche vanno dalla scarsa trasparenza alle carenze di vari studi, da qualche metodologia lacunosa a una sorta di “therapy cult” vigente nella stessa organizzazione, fino al training e alla supervisione approssimativi degli stessi psicoterapeuti. Lacune dettagliate anche in un’ampia analisi di Slate, concludendo così: “le critiche della FDA riguardano in gran parte Lykos e i dati forniti, non la sostanza in quanto tale”.
Senza dimenticare le ovvie esagerazioni delle potenzialità terapeutiche (il tipico “hype”) dell’MDMA e altri psichedelici emersi recentemente, tra la pressione di gruppi d’interesse e la valanga di pubblicazioni, mega-eventi, corsi e ritiri d’ogni tipo – portando così a spinte più politiche che scientifiche e al fiume di capitali già investiti in vista di grossi potenziali ritorni e/o di opportunità per guadagni facili. E quando la scienza (psichedelica o meno) diventa troppo politicizzata o monetizzata, cessa di essere tale.
Che fare a questo punto? Intanto, l’impasse attuale va visto in primis come un’opportunità per motivare ulteriormente il confronto generale e dare spazio alle tante anime che compongono a buon diritto all’arcobaleno psichedelico. E capire che questa specie di “medicalizzazione estrema e standardizzata” non è affatto l’unico modo per superare lo stigma sociale e promuoverne l’accettazione di queste sostanze e della loro variegata cultura. Né la terapia psichedelica può essere ridotta a “pillola magica” capace di risolvere rapidamente pesanti traumi o altri problemi mentali, promettendo una sorta di utopia attraverso l’assunzione di un qualsivoglia “farmaco”. Come suggerisce un’articolata analisi di due esperti apparsa su The Guardian, occorre “adottare un approccio più innovativo e meno conformista. L’attuale crisi nella ricerca di una cura miracolosa per i traumi da parte dei medici potrebbe liberarne le menti su ciò che aiuta veramente le persone a cambiare: un approccio che considera la sofferenza di ogni individuo come meritevole di una risposta unica caso per caso”.
Nello specifico, al di là del fatto se MAPS/Lykos riuscirà o meno a mettere una pezza all’intera facenda e soprattutto alla sua reputazione ormai compromessa, rimane l’assoluta necessità di superare le attuali norme proibizioniste, punto su cui vige accordo universale. Pratica che potrebbe (e dovrebbe) applicare ulteriori istanze diversificate, quali la depenalizzazione a uso personale, come avvenuto in alcune città sempre in USA, oppure le pressioni squisitamente politiche per “declassificare” certi psichedelici, come accaduto da inizio luglio in Australia, fino ad azioni analoghe alla disobbedienza civile come nel caso di ClusterBusters o ad altre iniziative che vanno maturando nei giri underground. Continuando pur sempre a fare informazione corretta e diffusa, ad allargare l’area della partecipazione e a denunciare eventuali pressioni o abusi da parte di chicchessia. Ciò vale ancor più nell’attuale situazione iper-fluida vigente in USA, ma non solo, come si addice a una vera e propria esperienza psichedelica. Sperando che quella che per ora è solo una bad news non diventi un bad trip di indefinita durata.
[Foto: immagine realizzata da IA]