La sera del 28 novembre 1953 Frank Olson, ricercatore scientifico al servizio della Cia, si sfracella sul marciapiede dalla finestra di una stanza al 13.mo piano dell’Hotel Statler a Manhattan. Il caso viene rapidamente archiviato come suicidio, conseguenza del forte stress occupazionale. La famiglia (che lo crede un impiegato dell’esercito) non riesce a spiegarsi l’accaduto, e negli anni successivi il figlio Eric s’impegna al massimo per comporre i tasselli di un puzzle intricatissimo, fino a ipotizzare che in realtà il padre sia stato fatto fuori dalla stessa Cia perché a “rischio sicurezza”. Improvvisamente vittima di turbe psichiche e crisi esitenziali, avrebbe potuto rivelare i dettagli degli esperimenti segreti in cui era coinvolto. Soprattutto la somministrazione di Lsd a soggetti ignari per verificarne la “resistenza psicologica” nel contesto della Guerra Fredda – come era accaduto a lui stesso 10 giorni prima della tragedia.
Questa la trama cha fa da sfondo a una miniserie Tv in sei puntate prodotta nel dicembre scorso da Netflix, a breve raccolta in un film per il circuito Usa. Wormwood (titolo ripreso da una scena dell’Amleto di Shakespeare riproposta qua e là nel video-racconto) segue soprattutto le riflessioni e le congetture di Eric Olson nella sua pervicace ricerca della verità, integrate da interviste con esperti e giornalisti, spezzoni di eventi storici dell’epoca, rifacimenti dei possibili scenari sulla morte del padre. Si tratta di un “documentario-fiction” strutturato come un thriller, nel miglior stile investigativo di Errol Morris, noto soprattutto per il film del 1988 The Thin Blue Line, centrato sulla storia di Randall Dale Adams, condannato a morte per un delitto che non aveva commesso e rimesso in libertà l’anno successivo grazie proprio al successo della pellicola.
Pur con certe ripetizioni e lungaggini, anche stavolta il suo è il mix perfetto per illustrare una vicenda complessa e poco nota, accaduta oltre 60 anni fa in un periodo caotico e controverso della storia americana, ricorrendo per lo più a documenti governativi declassificati e ai ricordi dei protagonisti ancora in vita. Ovvero: a fronte delle prove circostanziate e delle congetture sulla vita e la morte Frank Olson, esistono molti altri dettagli a tutt’oggi secretati e solo qualche settore dell’Intelligence Usa sa come sono andate davvero le cose.
La vicenda venne allo scoperto nel 1975, quando emersero i dettagli del progetto illegale avviato dalla Cia per “controllare la mente dei nemici” tramite torture, sostanze psicotiche e pressioni psicologiche. Si tratta del programma MK-Ultra, avviato in piena Guerra Fredda come risposta ad analoghi test presumibilmente condotti dalla controparte sovietica. Dove si sperimentava casualmente anche una nuova sostanza, l’Lsd, somministrato a gruppi di volontari ma anche a ignari cittadini statunitensi e canadesi, oltre che allo stesso personale della Cia per verificarne la “resistenza psicologica”. È quanto accade a Frank Olson in un ritiro segreto in Maryland, quando sorseggia un bicchiere di Cointreau “allungato” a sua insaputa con Lsd. Da allora non sarà più lo stesso, affetto da turbe psichiche, angoscia e depressione. Finché i colleghi gli impongono una valutazione psichiatrica a New York, dove però la sera prima accade la tragedia irreparabile.
In base a quanto emerso nel 1975, la famiglia di Olson querelò il Governo Usa per sapere la verità, e come risposta ricevette un indennizzo di 750.000 dollari, insieme alle scuse pubbliche del presidente Gerald Ford, firmando al contempo un documento che sanciva la chiusura definitiva del caso. La stessa Cia dichiarò poi che quei test non avevano alcuna base scientifica e non erano stati condotti da ricercatori qualificati. Confermando comunque il suicidio come causa della morte di Olson, pur se “indotto dalla droga” anziché dall’esaurimento nervoso.
Due anni dopo, oltre 20.000 documenti segreti, resi pubblici grazie al Freedom of Information Act, portarono alle deposizioni dei dirigenti della Cia davanti alle commissioni parlamentari e al conseguente battage mediatico. Nel 1985 il libro Acid Dreams. The Complete Social History of Lsd: The Cia, the Sixties, and Beyond, divenuto un classico del giornalismo investigativo, chiarì ulteriormente all’opinione pubblica l’ampio contesto e gli inquietanti dettagli del programma MK-Ultra, destando molte polemiche riguardo alla legittimità di quegli esperimenti e rimarcando gli imprevisti danni collaterali dell’approccio proibizionista (anche) sulle sostanze allucinogene. E cinque anni fa un’edizione in tre volumi super-documentati ma a circolazione ridotta (A Terrible Mistake: The Murder of Frank Olson and the Cia’s Secret Cold War) provò a far luce sulla vicenda di Olson, riproponendo con forza la tesi dell’omicidio e in parte ripreso dalla mini-serie di Morris.
È proprio in questo filone di rigorosa ricostruzione storica che si colloca a pieno titolo Woodworm, pur non lesinando i colpi di scena, i momenti di suspense e gli effetti cinematografici (senza entrare nei dettagli per non rovinarne la visione). Elementi sempre però ancorati a dati di fatto, come pure le testimonianze di esperti, volti noti e protagonisti diretti, oltre a quella che per Eric Olson è diventata (a ragione) una vera e propria ossessione: scoprire la verità sulla morte del padre. Verità che, al di là di quanto suggerito nella serie di Morris, a tutt’oggi rimane coperta dal top-secret assoluto.
Nell’era post-Snowden la trasparenza sarebbe invece di rigore, su queste e analoghe manovre segrete della Cia e, più in generale, dei cosiddetti “apparati di sicurezza” dei governi, ancor più quando portano a tragedie inutili ed evitabili come quella di Frank Olson. Manovre che in realtà rivelano l’approccio repressivo e il cinismo politico che, nello specifico, portarono a formalizzare il proibizionismo sulle droghe con il Controlled Substances Act nel maggio 1971 in Usa, poi ripreso in un apposito trattato delle Nazioni Unite e replicato nelle normative dei singoli Paesi. Bloccando così sul nascere le promettenti sperimentazioni scientifiche sull’Lsd, sintetizzato per la prima volta nel 1938 dal chimico svizzero Albert Hofmann, e diffuso ufficialmente cinque anni dopo per la sperimentazione terapeutica nel campo della psichiatria e della psicologia clinica. Tutt’altro che un’arma per “controllare la mente dei nemici” come si prefiggeva invece il progetto Mk-Ultra, che fra l’altro coinvolgeva a vario titolo 80 istituzioni pubbliche, tra cui 44 università più vari ospedali, carceri e aziende farmaceutiche, oltre a 185 ricercatori privati.
Fortunatamente da allora il clima generale è mutato, e fa facendosi sempre più positiva la percezione dell’opinione pubblica americana nei confronti degli allucinogeni (un po’ come accaduto per la marijuana). Negli ultimi 25 anni le pressioni dei ricercatori e dei pazienti hanno riaperto man mano la porta alle indagini scientifiche e ai test clinici, dando un ulteriore strappo al regime probizionista che ormai fa acqua da tutte le parti – come documentato nell’ebook Rinascimento psichedelico. Un quadro in divenire dove va riaffermato il pieno diritto di tutti gli esseri umani alla conoscenza scientifica e a trarre vantaggio dai benefici del progresso scientifico e dalle sue applicazioni. Inclusa la libertà di portare avanti la ricerca medico-scientifica anche sulle sostanze psicotrope attualmente bandite dalle normative internazionali.