“L’estensione complessiva della coltivazione della canapa in Italia è attualmente da valutare attorno ai 90.000-100.000 ettari.
Al primo posto è decisamente l’Emilia, in particolare la provincia di Ferrara, dove circa il 12% di tutta la superficie è lavorato a canapa. Nelle vicine province di Bologna e Modena questa coltivazione raggiunge solamente il 4,5% e il 2% circa della superficie”
(Relazione sulla coltivazione e la lavorazione della canapa in Italia, pubblicata dall’Ufficio per l’Interno del Reich, Berlino 1913).
Che la si chiami cannabis, canapa, indica, sativa, bhanga, vijaya, ganjika, ganja o marihuana si tratta di una pianta che da secoli fa parte di colture, culture, tradizioni e riti presenti in tutto il mondo; una pianta che però da oltre mezzo secolo è vittima di proibizioni di ogni genere e specie, una pianta che fa tanto bene alla salute quanto paura a chi disprezza la libertà di scelta individuale.
Nel 1940 l’Italia dedicava alla coltura della canapa oltre 90mila ettari producendo più canapa di quanta se ne produca oggi in tutto il mondo. L’adozione della Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961 delle Nazioni Unite e l’arrivo delle più economiche fibre sintetiche dagli Stati Uniti, come il nylon, portarono ad abbandonare la coltivazione della canapa da fibra. La normazione cosiddetta “antidroga” ha finito per far dimenticare questa risorsa naturale contribuendo a far di tutta l’erba un fascio.
Da una decina d’anni l’atteggiamento della politica, e non solo in Italia, nei confronti della cannabis sembra essere mutato progressivamente in positivo. Sebbene periodicamente si torni a toni da guerra alla droga di craxiana memoria, nessuno dei sette governi che si sono succeduti dal 2006, quando è stata regolamentata la prescrivibilità di prodotti a base di cannabis per fini terapeutici, ha tentato di cancellare le norme che hanno consentito l’avvio dell’impiego della pianta per fini medico-scientifici, o ha confermato l’impianto sanzionatorio pre esistente la sentenza della Consulta che nel febbraio del 2014 ha dichiarato incostituzionale parte della legge Fini-Giovanardi. In aggiunta a non aver rispettato i criteri di “necessità e urgenza” previsti per l’adozione di un Decreto Legge – nel caso di specie un provvedimento per finanziare le Olimpiadi invernali di Torino nel 2006 – le modifiche che furono apportate al Testo Unico 309/90 avevano annullato la differenza di pene tra sostanze tornando a imporre pesanti sanzioni penali e amministrative concorrendo, tra le altre cose, all’aumento di detenuti in Italia denunciato dalla Sentenza Pilota cosiddetta Torreggiani che ha accusato il nostro paese di praticare trattamenti inumani e degradanti in virtù della sovrappopolazione carceraria.
Nel settembre del 2014, l’Italia ha avviato la produzione di cannabis per uso medico presso lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, grazie a un memorandum tra il Ministero della Salute, il Ministero della Difesa e quello delle Politiche Agricole, con l’obiettivo di garantire l’accesso ai prodotti previsti per i piani terapeutici consentiti in italia a costi adeguati e fissi.
Il progetto pilota di produzione ha risposto alle esigenze fissate dal Governo e dal 2016 è in produzione la FM-2 (contenente THC 5% – 8% e CBD 7,5% – 12%) preparata in conformità con le direttive europee in materia di medicinali con modalità produttive autorizzata dall’AIFA e la cui distribuzione è autorizzata dall’Organismo statale per la cannabis presso il Ministero della salute. Dal luglio 2018 è disponibile anche la varietà FM-1 (contenente THC 13,0-20,0%; CBD<1%). A maggio 2019, sebbene sollecitato da alcune interrogazioni parlamentari, il Ministero della Salute non ha reso noto il numero di ricette, la quantità e di tipologie di prodotti prescritti né il numero di effetti avversi registrati dai medici prescrittori.
Con gli anni sono state chiarite le finalità dell’uso medico della Cannabis nel nostro paese e comprendono: il dolore cronico e quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; lo stimolo dell’appetito nella cachessia, anoressia in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa; l’effetto ipotensivo nel glaucoma; la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette. Le prescrizioni si effettuano quando le terapie convenzionali o standard risultano inefficaci.
Prima dell’avvio delle produzione nazionale per la realizzazione delle preparazioni magistrali a base di cannabis venivano importati prodotti commercializzati dall’Office of Medicinal cannabis (organismo olandese per la cannabis) del Ministero olandese della Salute. Nel 2018 è stata disposta un’ulteriore importazione dalla Germania a seguito di una gara d’appalto internazionale prevista dalla Legge Finanziaria dell’anno precedente.
A metà giugno 2019 l’Agenzia Industrie Difesa ha indetto una prima gara a procedura aperta accelerata (importo presunto 1.520.000,00 Euro al netto di IVA) per la fornitura di 400 Kg. di cannabis (320 Kg contenenti THC, 30 misto THC e CBD e 30 prevalentemente CBD) per le esigenze dello Stabilimento Chimico Farmaceutico di Firenze e una seconda per dei macchinari (importo presunto 230.000,00 Euro al netto di IVA) per rafforzare la produzione Made in Italy nel capoluogo toscano.
Nel dicembre 2016, all’unanimità, il Parlamento ha rimesso indietro gli orologi della libertà di coltivazione all’inizio del secolo, quando l‘Italia era nota, tra le altre cose, per produrre filati greggi e candeggiati di canapa per tessitura, tappeti, spaghi e corde, vele e sacchi, filati per cucire suole e per la pesca, cordame per marina e per ponteggi, gru, montacarichi, trasmissioni, cordicelle per tende, tende. Con un escamotage all’italiana per cui in assenza di un divieto espresso al momento è consentita per “uso tecnico o per collezione” anche la vendita di infiorescenze, oltre che la produzione e commercio di quanto sopra.
Il 30 maggio, la Cassazione ha adottato una sentenza pilatesca che illustriamo nella seconda parte di questo libro bianco.
Infine, a oltre settant’anni dalla sua fondazione, il 24 gennaio 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha raccomandato alla Commissione Droghe delle Nazioni Unite che la cannabis venga rimossa dalla quarta tabella (quella riservata alle sostanze considerate più pericolose come eroina e cocaina) della Convenzione del 1961 e che il principio attivo del THC venga tolto dalla Convenzione del 1971, e classificato nella prima tabella di quella del 1961, rendendo più semplice la produzione e prescrizione della cannabis.
Le preparazioni a base di CBD (cannabidiolo) contenenti meno dello 0.2% di THC verrebbero escluse dalle convenzioni, mentre ai farmaci contenenti THC verrebbe riconosciuta la scarsa probabilità di abuso.
Le motivazioni dell’Oms derivano dalla radicale differenza di eventuali effetti negativi dall’uso della pianta e suoi derivati non paragonabili alle altre sostanze presenti nella quarta tabella. I membri del gruppo di esperti che da anni studia la questione hanno sottolineato l’importante potenzialità terapeutica per curare e alleviare sintomi di varie patologie sottolineando come il THC abbia effetti simili alla cannabis e alla resina di cannabis, motivo per cui queste sostanze hanno la stessa classificazione.
Il THC e il CBD sono due cannabinoidi che si trovano nella cannabis sativa, ed entrambi hanno effetti sui recettori del corpo e del cervello umano. Il THC è il principale componente psicoattivo della cannabis, responsabile per la sensazione di «high» ottenuta. I suoi effetti possono includere rilassatezza, alterazioni dei sensi, fame, fatica e aggressività ridotta. Il THC può aiutare nel contrastare gli effetti negativi della chemioterapia e della sclerosi multipla, fra gli altri.
L’Oms ha inoltre dichiarato che non si conoscono effetti negativi del cannabidiolo (CBD), che può invece essere usato a scopo medico – ne è infatti già stato riconosciuto l’uso negli Stati Uniti come trattamento per l’epilessia infantile: il prodotto si chiama Epidiolex. Il calendario delle Nazioni Unite ha fissato per marzo 2020 il dibattito relativo alla raccomandazione dell’Oms.
Durante un incontro pubblico organizzato dal gruppo di esperti sulle droghe e le dipendenze dell’Oms a Ginevra fu chiaramente segnalato come nel mondo, nonostante non sia esplicitamente previsto dalle convenzioni internazionali, un numero crescente di legislazioni a livello statuale negli Usa e in paesi come Uruguay, Canada, Messico e Jamaica abbia iniziato a regolamentare la cannabis per usi non medico-scientifici. Nel luglio 2016, lo stesso parlamento italiano tenne un dibattito in Aula sulla possibilità di legalizzare la produzione, consumo e commercio della cannabis e suoi derivati, frutto della presentazione di una quarantina di disegni di leggi, ai quali a novembre di quell’anno sarebbe stata aggiunta la proposta di legge d’iniziativa popolare “Legalizziamo!” (nel corso della XVIII Legislatura sono state presentate alcune proposte di legge ma non è stato ricostituito l’inter-gruppo parlamentare ‘cannabis legale’ che era stato strumentale nel raccordare tutte le proposte e arrivare a un testo di compromesso).
Non è dato sapere quale sia la posizione dell’Italia in risposta alla raccomandazione dell’Oms, va ricordato che nel 2014 il Parlamento ha riclassificato la cannabis durante l’approvazione degli adeguamenti alle decisioni della Consulta sulla Fini-Giovanardi della normativa nazionale. In previsione di quell’importante passaggio internazionale, sarebbe opportuno un dibattito parlamentare basato sulle più recenti evidenze scientifiche piuttosto che rincorrere i vari editoriali che a cadenza crescente terrorizzano i lettori citando documenti senza alcuna prova scientifica come per esempio il super-citato, ma poco letto, Tell your children: the truth about marijuana, mental illness and violence (Ditelo ai vostri figli: la verità sulla marijuana, la malattia mentale e la violenza) di Alex Berenson. Per non parlare della necessità di una chiara definizione delle priorità generali frutto di un ampio confronto inclusivo a seguito della tenuta della della sesta Conferenza nazionale sulle droghe in ritardo di 10 anni rispetto agli obblighi di legge.