Il dodicesimo Libro Bianco sulle droghe è uno straordinario strumento critico di analisi a disposizione della comunità politica, se mai questa volesse abbandonare quel paradigma perdente che si chiama war on drugs. La profondità di indagine del Libro Bianco ben meriterebbe una Conferenza pubblica ad hoc che la valorizzi. Numeri, storie e commenti presenti nel Libro bianco spiegano perché la sessantennale guerra alla droga sia stata un tragico fallimento da tanti punti di vista: criminale, sociale, economico, di salute pubblica. La nitida ricostruzione presente nelle pagine precedenti ben spiega come siamo da decenni tutti ostaggi di una guerra che non solo non ha colpito le mafie e non ha ridotto i consumi, ma ha finanche prodotto costi umani ed economici enormi. Come ha scritto il Guardian commentando i tanti tavoli del G7 in Cornovaglia, nessuno di questi ha messo in discussione la sessantennale guerra alle droghe dell’Occidente, la quale non è solo miseramente fallita ma ben può essere qualificata come un disastro, sia per ciò che è accaduto nelle Americhe ma anche per quello che abbiamo visto nel vecchio continente. A partire dal 2006, si stima che 200 mila messicani siano morti o scomparsi cercando di soddisfare il mercato degli Stati Uniti. Il tasso di criminalità negli Usa, dopo essere diminuito per due decenni, ha ricominciato a salire vertiginosamente, e il commercio di droga ne è la causa principale. Sempre il Guardian ci ricorda come l’aspettativa di vita media negli Stati Uniti è scesa per la prima volta dal culmine dell’epidemia di AIDS. Dal 1999 al 2019, quasi 500 mila persone sono morte negli Stati Uniti per overdose di oppiacei. Pare che un quarto delle pillole Fentanyl sono sospettate di essere letali. Per comprendere cosa significhi tutto ciò basterebbe leggere i romanzi di Don Winslow.
Mai la repressione di polizia potrà rincorrere i traffici. E’ una guerra a perdere, uno svuotare il mare con un secchio. Scrive causticamente il giornale londinese che un’operazione come quella dell’Fbi, che a fine maggio 2021 si è vantata di essersi infiltrata nel dark web bloccando trecento siti di traffico e riciclaggio e provocando ottocento arresti, non serve praticamente a nulla. Operazioni come queste costituiscono un effimero successo investigativo e mediatico; in realtà sono un totale spreco di denaro, un classico caso di attacco ai sintomi e non alle cause di fenomeni oramai incancreniti. La mera repressione produce solo carcerazione e fa crescere il prezzo al dettaglio delle sostanze. Si può ragionevolmente affermare che l’impatto sul consumo dell’operazione Fbi sarà pari a zero. Fortunatamente il pragmatismo liberale statunitense ha permesso che si andasse oltre la mera risposta para-bellica articolando una pluralità di azioni pubbliche: a quella repressiva dell’Fbi si sono sovrapposte scelte differenziate da parte dei singoli Stati. Così accade che in non pochi Stati la cannabis è stata legalizzata. I cittadini iniziano a riconoscerne gli effetti fiscali anche nelle proprie tasche. In Colorado, le tasse sulla cannabis sono state utilizzate per finanziare le scuole. New York e Washington si stanno muovendo nella stessa direzione. La riforma ha fermato gran parte del flusso di marijuana oltre il confine messicano ed è andata in qualche modo a frenare i cartelli. La legalizzazione della cannabis in alcune parti degli Stati Uniti non ha fatto impennare il consumo. Mentre analogo effetto non è avvenuto con i continui divieti penali. L’Oregon è l’unico Stato che recentemente ha legalizzato le droghe pesanti e quello che accadrà, dal punto di vista dei traffici e dei consumi, andrà osservato con attenzione.
Chiunque, nel mondo politico, non sia afflitto da una mentalità tipica di una società chiusa deve aprirsi alle possibilità diverse di management dei fenomeni complessi. Solo chi è colpito dalla malattia populista non si affida alle scienze sociali e statistiche per orientare le proprie decisioni e va avanti con la testardaggine tipica dell’adolescente che non ammette i propri errori. Nella retorica della guerra, tanto cara ai cultori della repressione, ci dovrebbe essere spazio anche per la tregua, per il cambio di strategia, per la pace. Di solito la pace si costruisce nell’ambito di una conferenza internazionale. La prossima conferenza governativa sulle droghe dovrebbe proporsi come una conferenza di pace, che segue alle tantissime morti provocate dalla guerra. Non, dunque, una passerella di autorità ma un luogo di costruzione di una nuova strategia pluridimensionale e non più bellica.
La pagina facebook di Vasco Rossi piace a oltre 4 milioni e 200 mila persone. Vasco Rossi è amato da giovani e meno giovani. Ha conosciuto sulla sua pelle le follie del proibizionismo e la vita della galera. Nel lontano 1984 fu portato nel vecchio carcere di Pesaro. Fu arrestato di notte, manco fosse un criminale di grande profilo. Lui era in una discoteca bolognese dove il giorno dopo avrebbe dovuto suonare per la trasmissione Blitz, condotta da Gianni Minà. Vasco senza troppe remore consegnò i ventisei grammi di cocaina che deteneva. Rimase chiuso in carcere per ventidue giorni nella cella numero ventidue, dove poco tempo prima si era impiccato un detenuto di origini iraniane. Venne messo in isolamento giudiziario per ben quattro giorni. Andarono a trovarlo, tra gli altri, Fabrizio De André e Dori Ghezzi. I giornali lo chiamarono: il cattivo maestro, il drogato, lo sballato. Due anni dopo Vasco verrà condannato a 2 anni e 8 mesi per detenzione di sostanze stupefacenti. Non tornò in galera grazie alla sospensione condizionale della pena. Una volta uscito dal carcere di Pesaro, nel 1985 incise Cosa c’è nel cui testo scriveva: «Certo sei un bel fenomeno anche tu a farti prendere così…» Vasco si è sempre dichiarato un antiproibizionista. Clementino e Rocco Hunt sono due bravi rapper napoletani ognuno dei quali ha più di un milione di followers su Instagram. Entrambi hanno negli anni scorsi sostenuto una campagna della Coalizione italiana per i diritti e le libertà civili e di alcune organizzazioni che promuovono questo Libro Bianco diretta a superare la follia repressiva della legge sulle droghe. Vasco, Clementino, Rocco Hunt sanno parlare ai giovani. Nella conferenza della Pace sulle droghe vorremmo sentire anche la loro voce. Così come quella dei tanti operatori penitenziari, sociali e delle comunità che vedono migliaia di giovani vite rovinate in galera da risposte punitive senz’anima e senza senso. Oppure vorremmo sentire le opinioni e i racconti di scrittori come Roberto Saviano e Don Winslow i quali sanno ben spiegare come la mafie approfittino della cecità proibizionista. Ma anche vorremmo che si dia la parola ai giovani e agli adolescenti che a centinaia di migliaia sfidano le proibizioni e si affidano a pusher senza scrupoli che vendono sostanze non controllate. E vorremmo che a parlare siano investigatori ed economisti affinchè spieghino come una diversa politica sulle droghe potrebbe determinare danni alle organizzazioni criminali da un lato e vantaggi fiscali per i cittadini liberi dall’altro. Un buon politico deve saper ascoltare. La capacità di ascoltare è parte del campo semantico della pace e non ha nulla a che fare con la retorica e la violenza della guerra.
Articolo di Patrizio Gonnella
La prossima conferenza governativa sulle droghe dovrebbe proporsi come una conferenza di pace, che segue alle tantissime morti provocate dalla guerra.