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Un piccolo numero di Stati sta utilizzando il nostro processo decisionale basato sul consenso per tenere in ostaggio la CND mettendo i propri interessi nazionali al di sopra degli obiettivi collettivi di questa Commissione.” Queste le parole del vice Capo Missione degli USA a Vienna, Howard Solomon, poco prima che la Commission on Narcotic Drugs dell’ONU (CND) lo scorso marzo votasse la risoluzione che per la prima volta ha introdotto la riduzione del danno nel linguaggio ufficiale utilizzato a Vienna dalle delegazioni degli stati membri delle tre convenzioni sulle droghe.

Parlando di politiche sulle droghe a livello internazionale è probabilmente questo il passaggio più deflagrante dell’anno che è passato dall’ultima edizione del Libro Bianco. Non certo per la mediaticità o per gli effetti concreti, visto che stiamo pur sempre parlando di un documento politico in un consesso diplomatico distante anni luce dalle strade e le piazze delle nostre città. Ma è un passaggio fondamentale per comprendere quanto la crepa nell’unanimismo proibizionista alla Nazioni Unite, resa evidente all’UNGASS del 2016, si stia allargando. Certamente non fa passare in secondo piano passaggi altrettanto importanti, come la regolamentazione legale della cannabis in Germania o la depenalizzazione in Sud Africa. Diventa però sempre più chiaro che sotto la pressione dell’evidenza del fallimento delle politiche proibizioniste e delle crisi sanitarie (in primis l’epidemia di overdose negli USA), stanno cambiando anche gli approcci da parte degli Stati al sistema di controllo globale degli stupefacenti. A questo processo contribuiscono dal basso, in modo decisivo, le sollecitazioni della Società Civile, che in questi ultimi anni ha guadagnato capacità di advocacy grazie alla costruzione di reti internazionali sempre più autorevoli. Uno dei più grandi successi di questo lavoro delle ONG è stato riuscire a sollecitare il coinvolgimento degli organismi e delle agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di diritti umani, a partire dall’OHCHR per finire al CESCR(1). Finalmente le politiche globali sulle droghe non sono più un compartimento stagno, ma vengono valutate anche per le loro implicazioni, in particolare rispetto alle convenzioni sui diritti umani (2).

Il consenso di Vienna è rotto, per il momento

La risoluzione sulla riduzione del danno, presentata alla 67esima sessione della CND da 21 paesi, aveva al centro il dramma delle overdose, in particolare da oppioidi sintetici, e le risposte in termini di politiche sulle droghe. Gli Stati Uniti nella fase preparatoria avevano accettato – su richiesta pressante di Cina e Russia – di portare le citazioni della riduzione del danno dalle iniziali 9 ad una sola, oltre che rimosso l’esplicito riferimento al drug checking (il servizio che permette alle persone di conoscere cosa stanno realmente usando). Di fronte ai 650.000 morti in 10 anni per overdose, la stragrande parte dei quali per oppioidi sintetici, gli USA questa volta hanno deciso di tenere duro, costringendo la Russia a chiedere il voto. Il risultato è stato netto: 38 paesi a favore, 6 astenuti e solo 2 contrari: la Russia e la Cina appunto.

Il “consensus” si è quindi rotto. A partire dagli anni ’80 lo “spirito di Vienna” (3) voleva che di fronte al “problema mondiale della droga” si dovesse andare avanti tutti insieme per sconfiggere il flagello della droga che corrompe la società. La sua strenua ricerca ha causato lo stallo del dibattito in quello che è il massimo organo politico delle convenzioni sulle droghe, la CND. Un dibattito istituzionale fuori dalla realtà, pieno di ipocrisia e dogmi, che veniva svuotato di ogni contenuto innovativo con mediazioni puntualmente al ribasso. Una “Chiesa della proibizione”, come l’ha definita Peter Cohen, che non ammetteva le evidenze scientifiche perché eretiche rispetto ai principi ideologici con cui venivano interpretate le convenzioni. Per questo per il sociologo olandese “la politica sulle droghe, quella vera, non è fatta né sviluppata a Vienna”. In effetti, almeno negli ultimi 40 anni, è stata fatta altrove, prima di tutto nelle città. In Europa sono state le municipalità ad essere protagoniste nell’affrontare la scena aperta dell’eroina introducendo interventi di riduzione del danno: dallo scambio siringhe alle stanze del consumo, sino alla somministrazione controllata. Poi, più recentemente, gli stati hanno cominciato a riprendersi il diritto di interpretare le convenzioni al di fuori dei dogmi proibizionisti. Così prima depenalizzando il consumo (come in Portogallo), poi addirittura avviando sistemi di regolamentazione legale della sostanza più diffusa, la cannabis. L’aria sembra cambiata: finalmente anche alla CND si può parlare il linguaggio pragmatico dell’oggi.

Rotte le catene del “consensus” c’è grande attesa per la prossima CND, nonostante le nubi sul futuro della presidenza USA e l’affermazione sempre più netta delle forze nazionaliste e populiste in Europa che potrebbero influire sugli equilibri anche nei consessi internazionali.

Droghe e Diritti Umani, un capitolo aperto

Come ulteriore tassello di quel processo di sgretolamento delle monolitiche certezze proibizioniste del sistema di controllo globale delle sostanze stupefacenti è certamente necessario segnalare il rapporto reso pubblico a metà settembre del 2023 dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR). Il rapporto come prima raccomandazione invita gli Stati ad “adottare alternative alla criminalizzazione, alla “tolleranza zero” e all’eliminazione delle droghe, prendendo in considerazione la depenalizzazione dell’uso; assumere il controllo dei mercati illegali delle droghe attraverso una regolamentazione responsabile, per eliminare i profitti del traffico illegale, della criminalità e della violenza”.

È stato un intervento storico anche perché l’OHCHR per la prima volta ha interloquito, presentando un suo rapporto, nel processo di revisione intermedia delle politiche globali sulle droghe, prevista durante il Segmento Ministeriale ad Alto Livello della Commissione Droghe ONU di Vienna, nel marzo 2024. Come, sempre per la prima volta, l’OHCHR è poi intervenuto della plenaria della CND, presentando le proprie conclusioni.

Quel processo di convergenza fra organismi delle Nazioni Unite è quindi in pieno sviluppo, tenendo conto anche dell’impegno sul “commento generale” sulle implicazioni delle politiche sulle droghe sui diritti umani da parte del Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite, del quale ha scritto Giulia Perrone su questo stesso volume.

Le regolamentazioni legali si consolidano

“Il cambiamento verrà quando i governi ignoreranno selettivamente parti delle Convenzioni”. Così Cindy Fazey, criminologa, già membro dell’UNODC aveva, a inizio secolo, in qualche modo previsto ciò che successo poi a partire dalla seconda decade di questo secolo. È innegabile che senza il coraggio politico di alcuni stati nel contestare prima e poi ignorare, o più diplomaticamente interpretare, le convenzioni non si sarebbe oggi in una situazione internazionale così aperta. Si pensi alla Bolivia ed al suo processo di legalizzazione della masticazione della foglia di coca, passato prima per una revisione costituzionale interna e poi per l’uscita dalla convenzione del 1961 ed il successivo ritorno al suo interno con l’eccezione dell’uso tradizionale della foglia di coca. E poi la convocazione anticipata nel 2016 dell’assemblea Generale dell’ONU sulle droghe, voluta a gran voce dai paesi latinoamericani, dove la war on drugs ha mostrato il suol lato più sanguinoso. Infine, i paesi che hanno deciso di regolamentare legalmente la cannabis, che sono sempre di più.

I 10 anni in Uruguay

L’Uruguay festeggia quest’anno i 10 anni di vita dell’Instituto de Regulación y Control del Cannabis (IRCCA), l’ente chiamato a regolare il sistema di produzione, distribuzione e vendita della cannabis. Al momento in cui scriviamo sono censiti 69.789 consumatori registrati per l’acquisto in farmacia, 12.611 per la coltivazione domestica e 13.128 membri dei 373 cannabis social club. Sono 39 le farmacie in cui è possibile acquistare legalmente la cannabis, prodotta oggi in tre tipologie con differenti percentuali di principio attivo. Il sistema di distribuzione, centralizzato a livello statale e con l’ostacolo all’accesso della registrazione del consumatore, e la scarsa scelta per il consumatore ha sin dall’inizio reso molto lenta l’aggressione al mercato illegale. Secondo il report al 30 giugno 2023 (4), quando complessivamente 86.207 persone erano accreditate ad accedere alla cannabis legale (oggi sono 10.000 in più), il 34% dei 250.000 consumatori stimati di cannabis in Uruguay (5) era servito direttamente dal mercato regolato. L’IRCCA allora scriveva che, tenendo conto delle “pratiche consolidate di consumo condiviso… [omissis] …Si può affermare che nell’ultimo anno il mercato reale ha raggiunto il 51%.” L’incremento del ritmo di crescita delle registrazioni, triplicato a partire dal 2023 è facilmente spiegato con l’introduzione di una nuova varietà di cannabis che è riuscita a concorrere con i prodotti illegali, drenando persone verso il mercato legale.

In Canada la legge fa il tagliando

Il Cannabis Act del 2018 sta affrontando il suo primo processo di revisione, che si concluderà l’8 luglio 2024 con la produzione di una serie di raccomandazioni per il miglioramento della normativa. Queste, ora nella fase di consultazione pubblica, mirano principalmente a proteggere la salute e la sicurezza pubblica chiedendo maggiore attenzione e finanziamento delle campagne di prevenzione, in particolare rispetto ai più giovani. Dal lato industriale invece, le proposte di modifica vogliono ridurre l’onere normativo e amministrativo imposto alle imprese che operano nel settore, promuovendo la diversity (6) all’interno del mercato.

Per quello che riguarda gli effetti della legalizzazione, il Canada Cannabis Survey 2023 conferma il buon andamento del processo di sostituzione del mercato illegale. Il 73% dei consumatori acquista usualmente la cannabis nel mercato legale (il 69% esclusivamente), a questi vanno aggiunti coloro che la coltivano in autonomia (6%). Se si considera che il 15% la ottiene dal mercato sociale (da amici, parenti e conoscenti) e il 2% da altre fonti non meglio precisate, rimane solo un 3% che oggi in Canada si rivolge usualmente al mercato illegale per le proprie necessità d’uso. Un successo, dopo un inizio complicato da scarsa quantità e reperibilità. Va notato che il prezzo è il fattore predominante rispetto alla scelta se acquistare legalmente oppure no. La spesa media cala rispetto all’anno precedente, a 63 dollari canadesi al mese. Dal punto di vista della prevalenza s’uso si conferma una stabilizzazione dei consumi in Canada, stabili al 26% della popolazione generale (era 22% nel 2018). Aumenta l’uso saltuario e diminuisce l’uso quotidiano, mentre continua ad aumentare l’età media di inizio uso, 20.8 anni (erano 18.9 nel 2018). Solo il 5% dei consumatori ha riportato di aver avuto necessità di aiuto o trattamenti per via del proprio uso. Si conferma infine che sono calati i comportamenti a rischio, come guidare dopo aver assunto cannabinoidi: lo ha fatto il 17% del campione, contro il 27% del 2018 (-37%).

Per metà degli statunitensi la cannabis è legale

Oggi sono 25 gli Stati federati che hanno legalizzato la cannabis per tutti gli usi. Metà della popolazione americana vive quindi in un regime legale per la cannabis, la cui industria produce ricchezza e lavoro per quasi 450.000 lavoratori a tempo pieno. Ad ogni tornata elettorale i referendum per introdurre il mercato legale della cannabis ottengono successi, cominciando anche ad insinuarsi nell’America profonda, quella più restia ai cambiamenti ma che comincia a vacillare di fronte al successo della regolamentazione (7). Gli spauracchi proibizionisti (dall’aumento del consumo giovanile a quello degli incidenti stradali) vengono puntualmente smentiti dai dati e dalle rilevazioni sui consumi, mentre nessuno stato ha mai preso in considerazione di tornare indietro dalla legalizzazione della cannabis.

In questo quadro locale che guarda al futuro con una certa fiducia, il Presidente Biden ha graziato i detenuti nelle carceri federali per possesso di cannabis, invitando i Governatori a fare altrettanto. Ultimo a seguirlo il Governatore del Maryland, che ha legalizzato la cannabis per referendum nel 2023, che ha concesso il perdono a oltre 175.000 persone. Il gesto del democratico Wes Moore arriva dopo quelli dei governatori di Massachusetts, Colorado, Nevada, Oregon, Illinois e Washington che hanno concesso la grazia a oltre 100.000 mila persone con condanne per reati minori legati alla cannabis. Secondo NORML dal 2018 i tribunali statali hanno espunto o secretato i precedenti penali in oltre due milioni di casi.
Biden ha poi dato il via al processo amministrativo per rivedere la classificazione della cannabis che ha portato, dopo una revisione scientifica, alla proposta di rimuoverla dalla Tabella I della legge federale sugli stupefacenti, che raccoglie le sostanze ad alto rischio d’abuso e senza possibilità d’uso, anche terapeutico. La cannabis verrà quindi spostata alla Tabella III, ovvero quella delle sostanze con un potenziale di abuso inferiore e che possono portare a una dipendenza fisica moderata o bassa o a un’elevata dipendenza psicologica. Dal punto di vista pratico questa riclassificazione ha pochi effetti pratici sulle regolamentazioni dei 25 stati che hanno legalizzato la cannabis. Permetterebbe giusto di rendere più facile la ricerca e di avere una tassazione federale più vantaggiosa per le imprese. Sono quindi in tanti a vedere il bicchiere mezzo vuoto: la speranza che il processo di revisione portasse alla declassificazione completa è stata delusa. Vista da fuori i confini statunitensi, si tratta comunque di un passaggio storico: anche gli USA si discostano formalmente dalla classificazione delle convenzioni internazionali (dove la cannabis è nella stessa tabella di eroina e cocaina). Questo già succede in molti paesi, Italia compresa, ma ripensando al ruolo guida degli Stati Uniti nella stesura di quei testi nel secondo dopoguerra, è l’ennesima prova di un inarrestabile processo di rottura del monolite proibizionista.

Il Sud Africa apre e la Thailandia torna indietro

Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha firmato a fine maggio il Cannabis for Private Purposes Bill, che depenalizza il possesso, la coltivazione e l’uso di cannabis per scopi privati. Secondo la legge la fedina penale di chiunque sia stato condannato per possesso o uso di cannabis in violazione di una legge che criminalizza l’uso e il possesso di cannabis dovrà essere cancellata automaticamente dal Criminal Record Centre del South African Police Service. L’approvazione della legge arriva alcuni anni dopo che nel 2018 l’Alta Corte Sudafricana aveva stabilito che l’uso privato di cannabis da parte di adulti è un comportamento costituzionalmente protetto. Circa il 13% degli arresti in Sud Africa era sinora correlato a reati inerenti la cannabis.

In Thailandia invece, una riforma confusionaria che aveva rimosso la cannabis dalle tabelle delle droghe, senza prevedere un qualsiasi sistema regolatorio ha fatto diventare uno dei paesi più proibizionisti dell’area – dove il 75% dei detenuti è in carcere per droghe – meta privilegiata del turismo della cannabis, con un mercato stimato per il 2025 in crescita a 12 miliardi di dollari. L’assenza di una qualsiasi regolamentazione rende la cannabis disponibile ovunque, senza alcun possibile controllo. Il nuovo governo, sfruttando il caos derivante da una vera e propria liberalizzazione, ha già annunciato di voler tornare indietro entro la fine del 2024. Vorrebbe autorizzare l’uso di cannabis solo per motivi terapeutici, ma le richieste di implementare un più ragionevole sistema regolamentato ci sono, bisognerà capire quanto saranno ascoltate.

In Europa avanza l’onda verde

Dopo che Malta e Lussemburgo, che hanno regolamentato per primi la coltivazione e l ’uso personale di cannabis – Malta prevedendo anche la coltivazione associata nei Cannabis Social Club – nel vecchio continente continuano ad aprirsi nuovi fronti rispetto alle politiche sulla sostanza più utilizzata dai cittadini europei.
Dal 1° aprile in Germania è in vigore il primo pilastro di un progetto di riforma complessiva del regime legale della cannabis: in questa prima fase sarà depenalizzato il possesso di un massimo di 25 g di cannabis (50 g a casa), consentita la coltivazione privata di un massimo di tre piante di cannabis per uso personale e stabilito un quadro di riferimento per i Cannabis Social Club. Da luglio, quando sarà possibile aprirli, potranno avere al massimo 500 membri ai quali potranno cedere 30 grammi al giorno e massimo 50 al mese (30 grammi al mese, con THC massimo al 10%, per i più giovani). Inquadrati come enti non profit, i club saranno per il momento l’unico canale legale di distribuzione della cannabis. Oltre a questo, è prevista la cancellazione dei precedenti penali legati alle condotte ora legali.
Il secondo pilastro, quello della sperimentazione di mercato regolato a tutto tondo, prevederebbe l’apertura di sperimentazioni sotto controllo scientifico in alcuni Land e Città per studiare se e come la regolamentazione permette di affrontare meglio il tema del consumo di cannabis, in termini di miglior prevenzione degli usi problematici, migliore qualità delle sostanze e maggior sicurezza nelle città. Nonostante questo sembri ancora lontano dall’essere incardinato, anche per le evidenti difficoltà di tenuta elettorale del governo del “semaforo” tedesco (Socialdemocratici, Liberali e Verdi) e del Cancelliere Scholz, si tratta di una pietra miliare del processo di riforma delle politiche sulle droghe nel mondo. Sia per il numero di cittadini coinvolti (il doppio del Canada) ma anche per il ruolo politico ed economico della Germania nel vecchio continente.
La Slovenia ha appena approvato due referendum: uno per la produzione di cannabis terapeutica, a larga maggioranza. Con il secondo, passato con un margine più stretto (52% di favorevoli), il governo sloveno ha invece chiesto se i cittadini erano d’accordo sulla depenalizzazione dell’uso personale di cannabis.
In attesa di conoscere la proposta slovena nei suoi termini applicativi, è evidente che l’onda verde continua ad avanzare. Anche perché la Repubblica Ceca ha già aperto a primavera il dibattito sulla prima bozza di nuova legge sulle droghe. Una legge che regolamenterà le sostanze a seconda del loro effettivo livello di nocività, e che prevede per la cannabis un regime di completa decriminalizzazione dell’uso personale e della sua coltivazione, anche associata.

Lo scoglio del quadro giuridico europeo

L’approccio non commerciale del primo pilastro tedesco e delle regolamentazioni di Malta e Lussemburgo permette di rispettare tutte le disposizioni sovranazionali, a partire dai Trattati europei, Schengen compreso, fino alle tre Convenzioni internazionali sulle droghe. Se per le condotte volte all’uso personale vi è esplicita esclusione dalla punibilità penale nelle normative di coordinamento europeo, nelle convenzioni internazionali vi è ampio margine di discrezionalità.
La possibilità poi di utilizzo delle sostanze controllate per sperimentazioni scientifiche è esplicitamente ammessa dalle convenzioni internazionali alle norme europee, fino alla stragrande maggioranza delle leggi di applicazione nazionale. È questa, non a caso, la strada ipotizzata dal secondo pilastro tedesco, e già intrapresa da alcune città svizzere. Il Cantone e la città di Zurigo e poi Basilea, Berna, Bienne, Lucerna, Ginevra, Liestal, Allschwil, Losanna (8) hanno sperimentazioni di fornitura di cannabis legale all’interno di studi affidati a Università e Centri di Ricerca, per verificarne poi l’impatto sull’uso della sostanza.

Diverso è il discorso per l’apertura al mercato regolato: qui la decisione GAI del 2004 pone alcuni ostacoli, che possono essere certo superati con un’interpretazione larga del concetto di “autorizzazione”, estendendola ai mercati regolati con licenze, ma che per ovvie ragioni sarebbe meglio sciogliere dal punto di vista politico. Il governo tedesco ha quindi chiesto e ottenuto che quest’anno si ridiscutano le norme dell’unione in materia di stupefacenti.
Il nuovo assetto di Commissione e Consiglio sarà quindi determinante per conoscere l’esito di questo processo, con l’augurio che l’affermazione politica delle destre sovraniste e conservatrici non sia un ostacolo all’allargamento delle maglie di discrezionalità dei singoli paesi.
Del resto, se guardiamo al passato l’Olanda tollera da ormai 50 anni la vendita al dettaglio, senza conseguenze sul piano internazionale o comunitario e ha avviato proprio a fine 2023 un progetto sperimentale per legalizzare l’approvvigionamento dei coffeeshop in 10 città, fra queste simbolicamente anche Maastricht.
Volendo cercare il lato positivo delle rigide norme europee, questo è l’indirizzamento – assolutamente incidentale – verso sistemi di distribuzione sociale. Come dimostrano gli studi di Forum Droghe sull’autoregolazione nel consumo di cannabis(9), i cannabis social club rappresentano un modello molto interessante perché, escludendo il profitto, delineano un impianto che predilige il controllo sociale, assicura la qualità della sostanza, favorisce l’autoregolazione permettendo il passaggio delle competenze fra utilizzatori più e meno esperti. Tutte cose che in un mercato, pur regolamentato, vanno invece “imposte” e monitorate sin dall’inizio del processo.

Conclusioni

Risulta evidente che il processo generale di riforma delle politiche sulle droghe a livello globale è ineludibile. Il fallimento conclamato della repressione, le crepe dell’unanimismo proibizionista a livello del sistema di controllo internazionale, l’emergere con forza inedita delle istanze di rispetto dei diritti umani, le legalizzazioni proposte e attuate nei singoli stati rendono non più solo possibile, ma ormai necessaria una riflessione sul cambiamento necessario. Parafrasando Ethan Nadelmann, già direttore esecutivo della Drug Policy Alliance, il tema del dibattito non è più il se, ma il quando… e il come.

Note

  1. Vedi contributo di Giulia Perrone in questo stesso volume
  2. Vedi IDPC, Converging universes: 20 years of human rights and drug policy at the United Nations, www.fuoriluogo.it/mappamondo/diritti-umani-e-droghe-universi-convergenti/
  3. A Vienna hanno sede organismi e agenzie che sovrintengono il sistema di controllo delle droghe dell’ONU: Commission on Narcotic Drugs (CND), United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), International Narcotics Control Board (INCB)
  4. Instituto de Regulación y Control del Cannabis, Observatorio Uruguayo de Drogas, Mercado regulado del Cannabis – INFORME XVI, 30/06/2023 ircca.gub.uy/wp-content/uploads/2023/10/Informe-Mercado-Regulado-30.06.2023.pdf
  5. OUD/Junta Nacional de Drogas 2001, 2006, 2011, 2014, 2018.
  6. Per diversity si intende il pluralismo in termini di età, etnia, sesso, genere, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità, religione e status socio-economico, credo politico, livello culturale, modi di vivere e di pensare all’interno delle aziende coinvolte nel mercato della cannabis, dai proprietari ai dipendenti.
  7. Fiorentini, L., Marijuana legale negli Usa, l’onda verde avanza e sfonda per la prima volta nel midwest, il manifesto, 10 novembre 2022 www.fuoriluogo.it/mappamondo/marijuana-legale-negli-usa-londa-verde-avanza-e-sfonda-per-la-prima-volta-nel-midwest/
  8. Ufficio federale della sanità pubblica, Panoramica delle sperimentazioni pilota autorizzate – www.bag.admin.ch/bag/it/home/gesund-leben/sucht-und-gesundheit/cannabis/pilotprojekte/bewilligte-pilotversuche.html
  9. Lo studio su fuoriluogo.it/nahrpp