Dal 1990, l’anno della approvazione della prima legge compiutamente incentrata sul modello penale per le persone che usano droghe (PUD) – etichettate come tossicodipendenti – le carceri italiane si sono sempre più riempite di queste, sia per effetto di un articolo che sovrappone lo spaccio al consumo, sia a causa di reati minori collegati con lo stigma, l’illegalità del mercato e l’annichilimento del welfare.
Forum Droghe insieme alle reti di associazioni impegnate da circa trent’anni per cambiare le politiche sulle droghe, hanno elaborato proposte di legge per la depenalizzazione e decriminalizzazione di tutti i comportamenti connessi con l’uso di droghe e per la regolazione legale della cannabis. Tali proposte di legge miravano a cambiare radicalmente il contesto dell’uso delle droghe liberando le PUD dalla criminalizzazione creando le condizioni per un cambiamento della rappresentazione sociale e percezione sociale stigmatizzata del fenomeno.
Ma fino ad oggi non si è costituita una coalizione ampia di forze politiche e sociali in grado di farne una battaglia di civiltà a partire dalle leggi e dalle culture che le informano. E questo vuoto rinforza la rappresentazione sociale del fenomeno tra i cittadini, con il forte sostegno dei media, che rimane costruita in modo pervasivo su modelli di giudizio morale che si rifanno alla logica penale e patologica che sostanzialmente modellano lo sguardo collettivo su qualunque realtà di consumo di sostanze psicoattive, da quelle più marginali a quelle più socialmente integrate.
La forza della rappresentazione sociale, influenza trasversalmente anche gli orientamenti del mondo della politica che, con le dovute eccezioni, sembra avere, in questo momento, particolare dinamismo prevalentemente nelle compagini più conservatrici e di destra inebriate dal modello penale.
In Italia l’attuale governo di destra, pur consapevole probabilmente che un repentino inasprimento della legge sulle droghe farebbe saltare l’attuale sistema carcerario, sta introducendo progressivamente misure legislative di ulteriore criminalizzazione delle PUD. Esempi sono la legge antirave che contiene principi contrari alla nostra costituzione, e il nuovo codice della strada. Quest’ultimo rappresenta un esempio clamoroso di come il nuovo sistema di sanzioni e di pene previsto non sia legato alle reali cause degli incidenti, ma alla posizione ideologica e stigmatizzante delle forze politiche della maggioranza attuale al governo. Infatti, nonostante le rilevazioni ufficiali realizzate dall’ISTAT indicano che le cause prevalenti degli incidenti siano prevalentemente legate all’uso del cellulare e alla inosservanza del codice della strada, le sanzioni e le pene più gravi riguardano l’uso di alcol e droghe.
Delmastro e la proposta di comunità-carcere
In questo quadro si è inserita la proposta del sottosegretario Delmastro che lo scorso anno lanciò l’idea di “coinvolgere il terzo settore, quelle comunità chiuse in stile Muccioli per costruire un percorso alternativo alla detenzione”. La proposta insidiosa e pericolosa del sottosegretario, mira, in realtà, a istituire nuove strutture carcerarie parallele stravolgendo la mission delle comunità, sul modello di San Patrignano cioè delle istituzioni totali, annullando ogni diritto alle cure e i diritti civili. Il punto è che questa proposta esprime un punto di vista politico più ampio del governo e probabilmente non solo, che prefigura un orientamento politico contro il quale sarebbe necessario che si esprimessero in modo forte le opposizioni ma anche che si promuovessero iniziative e idee alternative in grado di aprire contraddizioni e mettere allo scoperto le insidie e i peggioramenti sul piano del diritto, della sofferenza e della conflittualità sociale di questa prospettiva.
Come avemmo modo di dire nella Conferenza stampa che seguì quelle proposta, insieme al CNCA, il più grande circuito italiano di Comunità di Accoglienza, l’attuale situazione critica delle carceri caratterizzata da un sovraffollamento in buona parte determinato dalla legge antidroga, richiede, al contrario l’elaborazione di un Piano Nazionale per Misure Alternative alla Detenzione che si ponga come obiettivo la decarcerizzazione e la deistituzionalizzazione progressiva delle PUD, configurando appunto un processo di reale alternativa al carcere, sul solco delle indicazioni di M. Gozzini e A. Margara.
Da Alessandro Margara a noi: come impostare il piano delle misure alternative
Margara identificava due modelli per le misure alternative (1): “uno è quello USA … che ha sostituito la incapacitazione delle persone alla loro riabilitazione…”. L’altro modello è quello europeo che fa bella mostra di sé nei documenti degli organismi dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa… ma che non viene confermato in molte legislazioni e orientamenti dei paesi europei, come il nostro, che sembrano invece avviarsi sulla strada del modello americano”. Cioè si realizza quanto diceva L. Wacquant che “le aree abbandonate dalle politiche sociali “passano alla “gestione di quelle penali”. Dalle politiche sociali e di welfare si passa alla guerra alla droga e alla criminalità di strada, e potremmo aggiungere ai poveri e ai migranti “dallo stato sociale allo stato penale” In questo contesto le misure alternative rischiano di diventare “una espansione complessiva del controllo penale sulla popolazione … una sorta di nuova mutazione … come equivalenti al carcere e non alternative” . La posizione di Delmastro e del governo italiano, sintetizzabile con la celebre canzone di Carosone: “tu vuo’ fa’ l’americano “ne è un esempio eclatante.
Si chiede Margara se esista realmente un modello europeo. Egli ricostruisce e indica i principi espressi dal Consiglio d’Europa e dalla stessa Unione Europea secondo i quali “il ricorso alla pena detentiva deve essere la extrema ratio e, comunque in carcere devono essere rispettati i diritti fondamentali della persona, il reinserimento sociale dei condannati deve essere la finalità sociale della esecuzione penale, ampio spazio deve essere dato alle misure alternative alla detenzione “ principi in sintonia con l’art 27 della nostra Costituzione: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” . In Italia a partire dall’art 27 della Costituzione vi sono state diversi pronunciamenti della Corte costituzionale le misure alternative si presentano “come lo strumento più idoneo alla risocializzazione del condannato”.
Nonostante i diversi limiti nella gestione della misure alternative questo sistema, continua Margara, “ha prodotto modifiche importanti della situazione penitenziaria … (minore recidiva documentata dallo stesso Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria)…” potrebbe migliorare la sua efficacia se si curasse l’evoluzione organizzativa e operativa di cui ha bisogno e non di quella ideologica di cui non ha bisogno”. Margara, inoltre, mette il dito sulla piaga rilevando che i casi di affidamenti in prova per i tossicodipendenti sono una percentuale molto bassa dell’insieme delle misure emesse. E aggiungo nei confronti delle PUD non solo non viene rispettata la Costituzione, ma non vengono riconosciuti i diritti civili, visto che viene sottoposto al sistema penale un comportamento che viene equiparato a un reato, una norma che diverse risoluzioni sia dell’ONU che in sede europea hanno messo in evidenza, come ben documentato da S. Ronconi.
Principi e obiettivi per un Piano Nazionale per le Misure Alternative
Chiarisco che la prospettiva che sto provando a delineare non esprime una rinuncia a rilanciare le nostre proposte di legge. Al contrario queste rappresentano il quadro di riferimento per ogni azione politica intermedia che deve essere considerata parte di una strategia volta a creare le condizioni sociali, culturali e politiche per rilanciare le leggi nell’ambito di un rinnovamento radicale nel modo di percepire e affrontare i consumi di droghe centrato sul governo e regolazione del fenomeno.
Questa prospettiva aveva già visto una prima elaborazione nella fase finale dell’ultima Conferenza Nazionale sulle Droghe alla fine della quale scrivemmo, come rete delle associazioni della società civile, un documento articolato di proposte, sul quale già ho già scritto, insieme ad altri, un primo commento sul precedente libro bianco (2).
La situazione politica e sociale, visto il decreto sicurezza e il ddl che ridisegna le nostre istituzioni verso una deriva autoritaria e presidenzialistica, unita all’ autonomia differenziata e alle conseguenze di un ulteriore aumento dei divari tra le i cittadini tra Nord e Sud, tende non solo peggiorare le condizioni sociali e politiche all’interno delle quali si riproduce il paradigma penale ma anche a rendere sempre più difficile ogni forma di azione politica e culturale. In questo orizzonte, è necessario elaborare strategie differenziate mirate, per quanto è possibile a aprire criticità e contraddizioni da subito nel sistema penale. La logica che vorrei proporre, riprendendo la proposta centrata sulla decarcerizzazione e deistituzionalizzazione, è quella di “indebolire” il paradigma penale: sia aprendo contraddizioni nel sistema delle pene allargando al massimo l’area delle misure alternative, costruendo un circuito alternativo disteso dal sistema dei servizi e dalle comunità di accoglienza a percorsi differenziati di inclusione sociale, sia intervenendo sulle basi che costruiscono le rappresentazioni sociali stigmatizzate indebolendo i dispositivi che le ricostruiscono e le ricompongono.
In questo senso l’impegno a invertire la rotta: dal penale al sociale. Il processo tende a ridurre il peso della istituzione totale carceraria e a ridurlo al minimo nella fase esterna della decarcerizzazione dei programmi di esecuzione esterna intesa come ridimensionamento del senso della pena.
Per attivare e mettere in atto questa strategia è necessario istituire un insieme di dispositivi interistituzionali in grado di intervenire in tutte le intersezioni del sistema penale creando collegamenti tra diverse istituzioni (penale, sanitaria, comunale) il terzo settore (dalla RdD alle CT) sia nelle sue componenti operative e organizzative di servizi si nella sua dimensione di cooperazione sociale, fino al mondo degli imprenditori, commercianti etc…
Si tratta di passare, quindi, a un processo di sperimentazione concreta iniziando ad approfondire le diverse componenti del piano elaborando le modalità di attuazione.
Alcuni elementi culturali e funzionali che rendono alternative le misure
È opportuno chiarire alcuni principi che negli ultimi anni si sono espressi nel mondo dei servizi e del lavoro sociale utili a chiarire gli elementi culturali ai quali far riferimento in modo aperto e innovativo.
Allargare e riorganizzare il circuito delle misure alternative. Le esperienze più significative condotte fino a oggi indicano che la finalità non può essere una concezione astratta e patologizzante della terapia centrata sull’astinenza intesa come punizione, ma una concezione della cura e dell’accompagnamento integrate con aree di inclusione sociale e lavorativa.
Bisogna modificare la logica dei programmi della esecuzione penale: accoglienza a bassa soglia (senza discriminazioni o regole rigide) cura e non “terapia”. La cura nelle tre declinazioni: interessarsi a … (R. Coleman), aver cura, prendersi cura. In carcere si ripropone un’analoga realtà per le PUD: solo una percentuale limitata presenta forti criticità, e richiedono programmi orientati al “prendersi cura” più intensi.
La logica generale delle misure alternative dovrebbe essere quella di sostenere e valorizzare le risorse e le competenze personali e sociali, le strategie di autoregolazione e le competenze sull’uso non rischioso di droghe (come l’overdose), l’autoefficacia, in modo da apprendere come evitate nuove esperienze detentive, e sapersi difendere e liberarsi dagli stigmi.
Includere significa un primo luogo questo e nello stesso tempo fornire, soprattutto per i più marginali, opportunità di abitazione e lavoro.
ùImportante è la denominazione del CNCA di Comunità di Accoglienza che supera il modello patologico. La funzione delle Comunità è di accogliere, e proporrei di estendere la bassa soglia anche a questi contesti, privilegiando l’accompagnamento e l’empowerment , con il coinvolgimento attivo della persona.
Le CT di accoglienza non devono essere dedicate interamente alle misure alternative, vale la pena riaffermarlo, per evitare di creare carceri paralleli, ma è opportuno individuare un numero di posti ad hoc, secondo la logica esposta. La contaminazione, l’equiparazione con le altre attività dei cosiddetti “liberi” rende i programmi più efficaci, e quindi normalizzando il contesto si creano le condizioni per una “normalizzazione” delle persone dallo stigma del criminale/tossicodipendente.
Le esperienze innovative sul campo
Il processo fin qui delineato richiedebbe che si attivasse una ricognizione delle esperienze più significative realizzate secondo questa logica sia per sostenerle che per recuperare indicazioni utili a rendere più attuabili gli obiettivi individuati.
Cito due esperienze come esempi a cui far riferimento per recuperare idee e indicazioni concrete sia dei processi positivi attivati che delle criticità incontrate.
L’esperienza del P. IV Piano realizzata a Napoli
Il P. IV Piano è l’espressione di una strategia innovativa condivisa e integrata tra il sistema pubblico (Dipartimento Dipendenze), le organizzazioni del Terzo settore della cooperazione sociale (GESCO), una rete nazionale di Comunità di Accoglienza costituita ad hoc, d’intesa con la direzione della CC di Poggioreale (3). Le attività del P. IV Piano prevedono la aggregazione delle PUD, diagnosticate/etichettate come tossicodipendenti, seguite dal SerD dell’Area Penale che collabora col IV Piano, in un Reparto comune. In questo spazio comune lo svolgimento di diverse attività di laboratori di animazione, ricreativi, culturali, di apprendimento di competenze linguistiche sono finalizzati a ridurre la realtà dolorosa della detenzione, una sorta di resilienza al carcere, ma anche a iniziare un lavoro di sostegno alle competenze e all’autoefficacia con tutti i limiti post dall’istituzione totale carceraria. Il P. IV Piano promuove incontri di socializzazione con i familiari e organizza eventi con artisti nel corso dei quali dipendenti del carcere e detenuti si confondono. Nello stesso tempo il P. IV Piano offre uno sportello per le misure alternative alla detenzione, che coinvolge in modo attivo i detenuti, che si avvale, come già detto, di un circuito di comunità terapeutiche e di accoglienza nazionale, che consente di personalizzare i programmi e di concordare, per quanto possibile con l’attuale sistema, di evitare una deportazione o anche un invio spersonalizzato. Ogni anno l’equipe, costituta da operatori della cooperazione sociale integrata con operatori pubblici, invia tra le 100 e 130 persone nelle strutture accreditate di accoglienza. La mission del P. IV Piano è quella di attivare un dispositivo di deistituzionalizzazione e decarcerizzazione attivo che fornisce indicazioni importanti per la costruzione di una strategia più ampia che coinvolga anche gli altri soggetti istituzionali quali la Magistratura Ordinaria e di Sorveglianza e operatori economici diversi. Le due attività, dentro e fuori dal carcere, sono realizzate con una logica comune: ridurre la sofferenza nella fase detentiva e incentivare l’accompagnamento verso l’uscita dal carcere con una misura alternativa personalizzata.
L’esperienza del Tribunale di Milano e del Reparto Amici della Nave del carcere di San Vittore
Nel tribunale di Milano da diversi anni è stato costituito una collaborazione tra magistratura ordinaria e di sorveglianza con i sevizi pubblici e del terzo settore. Le PUD con procedimenti di urgenza e le PUD con condanne definitive incontrano gli operatori dei servizi per individuare un percorso di misura alternativa, con l’obiettivo di ridurre il ricorso al carcere. Una esperienza interessante che indica la possibilità di una intesa tra le diverse istituzioni (sanitaria e magistratura con il terzo settore) per gestire le misure alternative in modo più ampio.
Nel carcere di San Vittore, dal 2002, è stato organizzato un reparto dedicato alle PUD con le celle aperte denominato “La Nave” (4) con la partecipazione attiva dell’associazione” Amici della Nave” che organizzano una serie di attività e iniziative di tipo culturale, ricreative e diverse che consentono a questi detenuti di vivere esperienze di socializzazione all’interno anche con la partecipazione di cittadini dall’esterno.
Le città uno spazio per promuovere e regolarizzare politiche di deistituzionalizzazione, decarcerizzazione e destigmatizzazione delle PUD.
Uno spazio politico e istituzionale importante per attuare questo processo complesso e articolato può essere quello delle città e in particolare le città che hanno fondato e che aderiscono alla rete ELIDE, per innovare le politiche sulle droghe. La rete ha inserito, non a caso, tra le sperimentazioni quella di una strategia per le misure alternative alla detenzione. L’impegno delle rete ELIDE può rappresentare una straordinaria occasione per attivare e sperimentare nei diversi contesti cittadini piani locali per le misure alternative in modo da estendere il modello a un livello nazionale più ampio.
La discesa in campo delle città conferisce una dimensione rinnovata politica e culturale ai principi e agli obiettivi che abbiamo elaborato aprendo prospettive nuove alla loro attuazione.
Ricordo schematicamente questi principi e obiettivi:
1. L’ organizzazione all’interno delle carceri aree dedicate per le PUD detenute, “a bassa intensità carceraria” mirate a e rendere meno afflittiva la permanenza e a velocizzare l’esecuzione delle misure alternative senza logiche selettive personalizzandole e con il coinvolgimento delle persone detenute.
2. L’ istituzione di Uffici integrati tra Magistratura Ordinaria e Magistratura di Sorveglianza, con gli operatori pubblici e del terzo settore, prevedendo una interlocuzione con le rappresentanze delle PUD, ove presenti, per razionalizzare e velocizzare i programmi personalizzati. “Si tratta di predisporre “un percorso politico-istituzionale e sociale per liberare le PUD dalla detenzione e ridurre drasticamente nuovi ingressi in carcere, accompagnandole verso circuiti alternativi e non sostitutivi, un corto circuito istituzionale che mira invertire la rotta dal penale al sociale” (LB 2023).
3. L’ attivazione progressiva di un circuito di Comunità di Accoglienza accreditate con programmi flessibili e nella logica della cura e dell’accompagnamento, evitando di istituire strutture dedicate esclusivamente o anche prevalentemente alle misure alternative alla detenzione;
4. La configurazione di un’area articolata per l’esecuzione delle misure alternative con programmi di inclusione sociale, accesso alla casa, housing first, seguendo la logica dell’empowerment e del sostegno all’autoregolazione anche per evitate le recidive, maggiori competenze nel mercato del lavoro e maggiori opportunità di welfare .
5. La istituzione di un’area sociale per le misure alternative richiede un impegno in primo delle aree del terzo settore impegnate in senso lato: dalle organizzazioni di settore alle cooperative sociali in generale come soggetti che dovrebbero assumersi il compito di attivare e governare il processo. Insieme a queste bisognerà coinvolgere il mondo articolato delle attività lavorative: dagli artigiani, ai commercianti, agli imprenditori disponibili a cooperare alla realizzazione e alla tenuta nel tempo della strategia verso una normalizzazione del circuito alternativo che nel tempo dovrebbe assumere una funzione sostitutiva definitiva al carcere.
6. La costituzione di Agenzie di accompagnamento sociale e di sostegno alle competenze, alle risorse familiari e sociali, per apprendere strategie utili a evitare le recidive e altri rischi legati alla marginalità e all’uso di droghe .
A questi si potrebbero aggiungere esperienze di “Case territoriali di reinserimento sociali” così come prefigurate nella proposta di legge di alcuni parlamentari e recentemente recepito da 27 Paesi dell’UE, col sostegno del Movimento RESCALED, di cui fa parte l’associazione Antigone. Potrebbero essere delle sperimentazioni che prefigurano esperienze di comune abitare che alla conclusione della pena potrebbero continuare sia in programmi di coabitazione sociale che di housing first.
Il circuito da costruire funziona nel senso di limitare al minimo l’ingresso nelle carceri delle PUD, attraverso un corto circuito istituzionale che mira invertire la rotta dal penale al sociale. Nello stesso tempo prevede un lavoro di fuoriuscita di massa dal carcere delle PUD detenute, ricollocandole nel sociale.
Un processo che richiede che vengano coinvolte nuove competenze, come le organizzazioni della magistratura e dell’avvocatura per allargare il campo dei soggetti e per approfondire tutti gli aspetti specifici delle relazioni tra le diverse istituzioni in campo e i limiti e le opportunità delle leggi stesse.
Si configura un ruolo strategico centrale delle città della rete ELIDE, con il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile che già collaborano attivamente, per rendere attuabile questa strategia e questo processo di de istituzionalizzazione diffuso di restituzione dei diritti civili alle PUD, agendo come soggetti promotori e di mediazione tra i diversi livelli istituzionali coinvolti.
“Se esiste il senso della necessità deve esistere il senso della possibilità” (R. Musil)
Note
- cfr. A. Margara: Area penitenziaria interna ed esterna, carcere e misure alternative, in ConCatenAzioni, Fondazione Michelucci, 2008)
- cfr. D. Amerini, R. De Facci, S. Vecchio, M. Stagnitta e G. Zuffa nel Libro Bianco sulle droghe 2023, La Traversata nel Deserto. Il documento della rete dal titolo: proposte su carcere e misure alternative alla detenzione è consultabile sul sito di Fuoriluogo.it)
- cfr. Il Progetto IV Piano: percorrendo strade alternative. Ristretti orizzonti,10-02-2023; Il Progetto IV Piano: una piccola comunità nel carcere di Poggioreale, Napoli Solidale, 24-01-2018.
- cfr. La nave di san Vittore, Ristretti Orizzonti, 18-11 2018; Milano: Cecere di S. Vittore, reparto la Nave “i nostri detenuti pazienti” Ristretti orizzonti, 3-05-2023. L’esperienza del Tribunale di Milano mi è stata raccontata da Francesco Maisto che ha attivato la collaborazione interisitituzionale come Presidente del Tribunale di Sorveglianza a Milano)