L’anno scorso utilizzammo per il titolo del Nono Libro Bianco i versi di una canzone di Sergio Endrigo, assai affascinante ed evocativa rispetto alla situazione politica e sociale: Si pensava a qualcosa di meglio. Quest’anno possiamo riprendere un’altra sua frase: dove abbiamo sbagliato, non so.
Questo anno riproponiamo il Libro Bianco, il Decimo, in coincidenza con i trenta anni e più dell’inizio della War on drugs in Italia. Tanti anni sono passati da quando Bettino Craxi reduce da un viaggio negli Stati Uniti, alzò il vessillo della tolleranza zero contro la droga e fece compiere ai socialisti italiani una torsione inconcepibile per il partito che fu di Loris Fortuna, scegliendo il proibizionismo e la repressione contro i giovani consumatori di sostanze stupefacenti.
Nel novembre del 1989 furono presentate in Senato le relazioni di minoranza in contrapposizione al disegno di legge Iervolino-Vassalli, che sarebbe diventato il Dpr 309/90. La polemica fu molto accesa e l’obiettivo polemico del segretario del PSI divenne la cosiddetta “modica quantità”, prevista dalla legge n. 685 come condizione di non punibilità del piccolo possesso di sostanze stupefacenti a fini di consumo personale. Fummo indicati al pubblico ludibrio come il “club della modica quantità”. L’altra parola d’ordine era questa: ”Se è vietato vendere dev’essere vietato comprare”. Così fu scelta la strada della criminalizzazione di massa e della incarcerazione di migliaia di persone per un reato senza vittima. Il cartello “Educare, non punire”, capitanato da Luigi Ciotti, si battè strenuamente contro quella svolta ideologica, prefigurandone le conseguenze nefaste.
Frutto di quella legge fu l’esplosione delle presenze in carcere di tossicodipendenti e per violazione dell’art. 73 della legge antidroga, in relazione al reato di detenzione o piccolo spaccio; si passò rapidamente da un numero di 35.000 detenuti agli oltre 60.000 degli ultimi anni.
Dato che non c’è limite al peggio, nel 2006 fu approvata con un colpo di mano la cosiddetta legge Fini-Giovanardi, che stringeva ancora di più la visione punitiva scegliendo la equiparazione di tutte le sostanze, leggere e pesanti, prevedendo la stessa pena, da sei a venti anni di carcere. Questa volta lo slogan era ancora più banale: “la droga è droga”, senza distinzione.
A capo del Dipartimento antidroga fu scelto Giovanni Serpelloni, proveniente dal Sert di Verona, che gli impresse una caratterizzazione scientista con il finanziamento ricerche che avvaloravano le teorie legate alle neuroscienze e che venivano tradotte in campagne soprattutto contro la cannabis il cui uso avrebbe provocato addirittura buchi nel cervello.
La legge poneva l’Italia fuori dal contesto europeo e in stretta alleanza con i paesi più reazionari e illiberali. Le associazioni impegnate sui diritti, sulla riduzione del danno, sulla centralità della persona fecero assidue campagne di informazione sui danni della repressione e di contestazione serrata della scelta ideologica e disumana.
La politica non raccolse i richiami al rispetto dei principi della Costituzione e si dovette aspettare la decisione della Corte Costituzionale che nel 2014 smantellò gli aspetti più duri della legge.
Dal 2009 la Società della Ragione, il Cnca, Antigone e Forum Droghe con l’adesione di altre associazioni hanno curato la redazione di un Libro Bianco per monitorare gli effetti della legge antidroga sul carcere e sulla giustizia.
Quest’anno il Libro Bianco oltre a presentare i dati assai eloquenti sugli ingressi in carcere e sulle presenze negli istituti penitenziari per violazione dell’art. 73 della legge antidroga che confermano il ritorno assai significativo della repressione sulle droghe, si caratterizza soprattutto per il capitolo di ricostruzione storica della politica sulle droghe lungo un trentennio.
Anche quest’anno la presentazione dei dati è dovuta a Maurizio Cianchella. La parte dedicata all’impatto dell’applicazione della legge penale sulle droghe è arricchita dal contributo di Hassan Bassi sul monitoraggio degli incidenti stradali alcol e droga correlati e dall’approfondimento sulle novità normative di Elia De Caro.
Il centro del Libro Bianco è rappresentato dalla ricostruzione compiuta da Grazia Zuffa attraverso le tappe delle Conferenze nazionali, delle Relazioni e delle scelte dettate da manipolazioni della scienza. L’excursus storico ha come riferimento la storia presente nei numeri del mensile Fuoriluogo. E’ un lavoro che anticipa una analisi che sarà fatta in un volume che sarà presentato in occasione della Conferenza non governativa in occasione dell’anniversario della lunga guerra contro la droga in Italia.
Da segnalare anche la parte sull’Innovazione nella ricerca e nella riduzione del danno con i contributi di Susanna Ronconi, Patrizia Meringolo, Denise Amerini.
Infine il Libro Bianco si chiude con un capitolo sul dibattito su Cannabis e legalizzazione, dall’uso terapeutico all’uso ricreativo con gli interventi di Marco Perduca, Leonardo Fiorentini e Leopoldo Grosso.
Torniamo ai dati che ancora una volta sono assai eloquenti. Come sappiamo dalla Relazione al Parlamento del Garante nazionale delle persone private della libertà, nel 2018 gli ingressi negli istituti penitenziari sono leggermente diminuiti, ma quelli per violazione del divieto di detenzione di sostanze stupefacenti sono rimasti sostanzialmente stabili, aumentando percentualmente di circa mezzo punto rispetto al 2017.
D’altro canto, se le presenze in carcere aumentano di circa duemila unità, 1300 in più, in un solo anno, sono le persone detenute per violazione della legge sulla droga, che così raggiungono il 35,21% del totale della popolazione detenuta.
Anche la condizione di tossicodipendenza è in crescita, sia tra gli ingressi in carcere che tra le presenze (quasi 2000 tossicodipendenti in più, tra il 31 dicembre 2017 e il 31 dicembre 2018, fino alla soglia record di 16.669 tossicodipendenti, pari al 27,94% dei detenuti, quanti non ce ne sono mai stati dall’approvazione della Fini-Giovanardi a oggi).
Se sommassimo ciò che non è sommabile, perché vi è una zona di sovrapposizione tra i due gruppi, i detenuti tossicodipendenti e quelli che hanno violato la legge sulle droghe, arriveremmo al traguardo di quasi 38mila detenuti, oltre il 60%. Con sufficiente approssimazione possiamo affermare però che almeno il 50% dei detenuti, in Italia, ha una relazione con le scelte determinate dalla politica sulle droghe. Allo stesso modo è evidente che una grossolana simulazione ci dice che senza tossicodipendenti e senza soggetti che hanno violato l’art. 73 del Dpr 309/90 nelle carceri non solo non si soffrirebbe il sovraffollamento, ma addirittura si potrebbe immaginare una diminuzione della necessità di istituti penitenziari.
Anche i tribunali soffrono le conseguenze della legislazione antidroga con un aumento dei procedimenti pendenti. Nel 2018 è ancora aumentato il numero delle persone sottoposte a procedimenti penali per violazione dell’art. 73 del Dpr 309/90, superando abbondantemente la soglia delle 178mila unità, come prima della condanna europea per il sovraffolamento sistematico delle carceri italiane.
Veniamo al capitolo più scabroso, quello della punizione per via amministrativa del semplice consumo di sostanze illegali. Nel 2018 sono state quasi 40mila le persone segnalate ai prefetti per uso di sostanze stupefacenti illegali, e tra queste l’80% sono legate al consumo di cannabinoidi.
Rispetto al 2015, l’anno successivo alla sentenza della Consulta, quando l’intero sistema era orientato a calmierare la repressione penale e le incarcerazioni, le segnalazioni per l’art. 75 del Dpr 309/90 aumentano di 9mila unità, quadruplicano i minori segnalati e aumentano le sanzioni amministrative, mentre sembrano estinguersi le richieste di programma terapeutico, a dimostrazione del contenuto meramente vessatorio del sistema sanzionatorio per i consumatori di sostanze stupefacenti.
Dal 1990 al 2018 le segnalazioni ai prefetti per consumo di sostanze stupefacenti sono state 1.267.183. Ripetiamo: un milione e duecentosessantasettemila persone, in gran parte giovani o giovanissimi, sono stati stigmatizzate e molte migliaia colpite dal ritiro del passaporto e della patente o da prescrizioni di esclusione dal consorzio civile. Sono cifre che dovrebbero scandalizzare per il livello di massa che la guerra alla droga ha raggiunto nello spazio di una generazione.
L’esempio più eclatante per confermare che i fatti sono piegati per l’uso propagandistico è quello relativo agli incidenti stradali. Nel 2017 sono stati 59.096 e solo 728 le violazioni per gli articoli 187 e 186 (alcol e droghe), 1,23%. Per le tragedie mortali, constatiamo il dimezzamento dei morti dal 1990 al 2017 (da 6.661 a 3.360). Solo in 30 incidenti mortali è stata contestata la violazione dell’articolo 187, eppure si è descritta una emergenza e si è creata una nuova fattispecie penale, quella dell’omicidio stradale.
Il crollo del numero dei morti per overdose negli ultimi anni non è sufficiente per placare l’isteria da astinenza dell’emergenza strumentale.
In questi ultimi mesi è accaduto qualcosa di strano nel mondo dell’informazione in Italia. E’ bastata la pubblicazione negli Stati Uniti di un libretto contro la marijuana di tale Alex Berenson, ex reporter e dal 2010 dedito alla fiction, per fare impazzire tanti insospettabili. Pagine su Repubblica, sul supplemento il Venerdì, sul Sole 24 Ore, per non parlare della campagna di Antonio Polito sul Corriere della Sera, caratterizzate dall’anatema contro le canne e lo spinello che non sarebbe più leggero, come quello di una volta. Fandonie che erano state propalate al tempo di Giovanardi, che avevamo smontato e che ora vengono riciclate.
E’ ovvio che non ci si può dunque stupire delle proposte del ministro Fontana e del ministro dell’Interno Salvini, che propone di aumentare le pene per i fatti di lieve entità. La conseguenza sarebbe quella di affollare ancora di più le nostre carceri e di intasare i tribunali, ma questo non preoccupa chi disprezza lo stato di diritto e intende distruggere la giustizia fondata sulla Costituzione. Per fortuna la Corte Costituzionale ha decretato che il minimo della pena prevista per il reato di detenzione e spaccio è troppo alto e sproporzionato e quindi da otto anni è stato portato a sei anni.
La contraddizione presente nel Governo è lampante. Mentre nel mondo si sperimentano strade nuove e in Uruguay, in Canada e in dieci Stati degli Usa, dal Colorado alla California, si legalizza sia la canapa terapeutica che quella ricreativa, in Italia si fa sfoggio di ignoranza lamentando gli effetti della modica quantità che non esiste più e si propone la tolleranza zero che ha fallito clamorosamente.
Per fortuna a Vienna, in occasione della 62esima riunione della Commission on Narcotic Drugs (Cnd) svoltasi nel mese di marzo e che ha confermato la flessibilità della Convenzioni internazionali e quindi la liceità di sperimentare politiche pragmatiche, l’Italia è stata rappresentata dalla Ambasciatrice presso l’Onu, in assenza dei ministri e del Presidente del Consiglio.
Resta lo scandalo della inadempienza del Governo rispetto al dovere previsto dal comma 15 dell’articolo 1 del Dpr 309/90 sulla convocazione di una Conferenza nazionale ogni tre anni, allo scopo anche di suggerire al Parlamento le necessarie modifiche alla legislazione. L’ultima conferenza, per altro blindata e senza contradditorio risale al 2009, l’ultima di reale confronto al 2000 a Genova.
In Parlamento sono state depositate le proposte di riforma del Dpr 309/90 (Senato n. 937 – Camera 865) e di legalizzazione della canapa, ma il rischio concreto è la paralisi. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno emesso una sentenza tautologica scambiando la cannabis con la canapa tessile e fomentando confusione e richieste di repressione di una attività economica lecita.
Siamo convinti che una discussione libera e intelligente non sarà realizzata da questo Governo. Per questo ci impegniamo a rilanciare una Conferenza autoconvocata e l’inizio della riflessione è affidata in questo Libro bianco a Dettori, De Facci, Gonnella e Vecchio.
Il Libro Bianco rappresenta ancora di più quest’anno uno strumento di lotta politica e culturale, con un appuntamento di mobilitazione che veda protagonisti i giovani, i consumatori, gli avvocati, i magistrati democratici, gli operatori del pubblico e del privato sociale.
Tutti uniti nel respingere la deriva proibizionista e punitiva, per conquistare diritti e responsabilità.
Articolo di Stefano Anastasia e Franco Corleone
Introduzione al decimo Libro Bianco sulle droghe, edizione 2019 sui dati 2018.