(sigla K) Promotori: Neutravel, FD, CNCA, Itardd, Kosmicare (PT), EnergyControl (E). Risposte valide: 274; età media: 31 anni; sostanze prevalenti: stimolanti, psichedelici, cannabis; setting prevalente pre-lockdown: party setting. Questionario: on line
(sigla S) Promotori: CNCA, FD, Itardd. Risposte valide 288; età media: 38 anni; sostanze prevalenti: eroina, cocaina, cannabis; setting prevalente pre-lockdown: strada, contesti diversi. Questionario: on line e cartaceo c/o servizi RdD.
(sigla #T) Promotori: ItanPUD, FD, Itardd, Harm Reduction International (HRI): Risposte valide: 105; sostanze prevalenti: cannabis, cocaina, eroina; setting prevalente pre-lockdown: contesti diversi. Questionario: on line.
Apprendere da situazioni extra-ordinarie per meglio comprendere le situazioni ordinarie. Da questo assunto nasce la spinta, registrata nei mesi del lockdown, verso la ricerca anche negli ambiti dei servizi e dell’associazionismo. In Italia in fase di confinamento, da parte di reti e associazioni, sono state avviate tre ricerche che hanno dato la parola ai consumatori, finalizzate a conoscere le eventuali variazioni nei loro modelli di consumo nella fase di lockdown, con una attenzione particolare ai cambiamenti relativi a sostanze, intensità dell’uso, influenza del diverso setting sulle ragioni del consumo, variazioni dovute agli effetti della pandemia sul mercato illegale e, infine, eventuale diverso accesso e utilizzo del sistema dei servizi. A queste ricerche si integra un quarto studio, di tipo qualitativo, condotto da alcune delle stesse realtà attraverso 50 interviste in profondità, attualmente in corso. Le tre ricerche – sostenute solo dal lavoro e dall’impegno delle associazioni promotrici – si sono appena concluse e non hanno ancora prodotto rapporti esaustivi, che saranno disponibili a partire dal mese di luglio. Tuttavia dai dati preliminari è possibile individuare alcune tendenze e spunti per quella riflessione sull’“ordinario” del consumo di droghe illegali che può contribuire a una auspicabile lettura critica non solo di quanto portato dalla crisi, quanto piuttosto di come sia opportuno riorientare il nostro sguardo sui consumi in vista di più adeguati approcci, apprendendo proprio dalle strategie e dai comportamenti adottati da chi consuma durante la crisi, dalle risposte del mercato al lockdown e dalla riorganizzazione dei servizi. Le osservazioni che seguono traggono spunto sia dai dati preliminari delle tre ricerche che dalla riflessione e il confronto su questi avvenuto in un focus group tra ricercatori, operatori e persone che usano sostanze, che in questa riflessione collettiva hanno messo in gioco anche una conoscenza tratta dall’osservazione diretta sul campo, fisico e virtuale.
Variazioni nei pattern di consumo
Le droghe. A una prima lettura dei dati, emerge che, pur nelle eterogeneità dei modelli di consumo considerati dalle tre ricerche, non ci sono variazioni importanti nelle droghe usate, nonostante siano segnalate difficoltà nell’accesso alle sostanze sul mercato illegale e nonostante le variazioni di setting dovute al lockdown. Il fenomeno del viraggio su altre sostanze nel momento in cui quelle di elezione siano meno disponibili non sembra verificato: il dato più elevato è quello fornito dalla ricerca #T, che si attesta sul 19% di consumatori che si sono rivolti ad altra sostanza, in ogni caso meno di un consumatore su 5; nello studio (S), che riguarda i consumi soprattutto di eroina e cocaina di strada, la domanda su quale fosse prima e sia adesso la sostanza prevalente, rivela un leggero spostamento verso l’alcool (per il 6% del campione), verso la cannabis (2%), a discapito di cocaina (-1%) e eroina (-7%). Una minoranza dichiara di essere passata a sostanze prescritte, il 2,4% al metadone, il 2,1% agli psicofarmaci e lo 0,3% al subutex. Appare dunque una sostanziale stabilità per quanto concerne le sostanze, alla cui minor accessibilità i consumatori rispondono più con un relativo decremento della frequenza di uso e/o con una strategia di stoccaggio che con il rivolgersi ad altre sostanze (vedi più avanti). Sotto il profilo dell’autoregolazione del consumo questo suggerisce una sostanziale adesione al proprio stile di consumo e una scarsa propensione ad abbandonarlo, ed è interessante che sia vero non solo per chi consuma principalmente cannabis (#T) ma anche per il gruppo dei consumatori ricreativi (K) e per quello dei consumatori afferenti ai servizi di bassa soglia (S). E’ stato anche osservato che, soprattutto per i consumatori ricreativi, il lockdown non fosse il miglior setting per un viraggio verso sostanze sconosciute o meno conosciute: un contesto collettivo è un luogo protettivo per le sperimentazioni, grazie alle esperienze pregresse di altri consumatori e al controllo in caso di effetti problematici, un consumo in lockdown, magari alla presenza della famiglia, sconsiglierebbe di sondare esperienze inedite. Allo stesso modo, appare plausibile (almeno per la popolazione dei consumi ricreativi) che vi sia stata una minor propensione al rischio della sperimentazione in una fase in cui una eventuale domanda di soccorso in caso di effetti critici sarebbe stata poco praticabile. Si tratta di spunti significativi per rivedere criticamente l’immagine di un consumo da “supermercato”, dove non si va per il sottile circa obiettivi e effetti dell’alterazione ricercata. È stato tuttavia osservato che questa coerenza può essere funzione anche dell’età di tutti gli intervistati, che è superiore ai 30 anni: una verifica in classi di età inferiori potrebbe rivelare una minor capacità di adesione “culturale” alle sostanze, considerato anche che conoscenza, consapevolezza e competenze di autoregolazione sono l’esito di un processo progressivo di apprendimento. A sostegno di questa ipotesi, le osservazioni provenienti da attività di consulenza on line e chat, che parlano della richiesta di informazioni di base, da parte dei consumatori più giovani, circa diverse sostanze e anche su farmaci e psicofarmaci, magari reperibili nella cassetta dei farmaci di casa.
L’intensità del consumo. Le tre ricerche segnalano un relativo decremento nel consumo per alcune tipologie di consumatori e per alcune sostanze, misurato in base alla frequenza, solo genericamente in base al dosaggio (senza quantificazione). Non si tratta di un decremento eclatante: nella ricerca (S), relativa più ai consumatori “di strada”, la percentuale di un minor uso (44%) equivale alla somma di un uso invariato o aumentato (rispettivamente 25% e 20%); tra i consumatori (#T) il 35% dichiara di aver diminuito la quantità acquistata. Tra i consumatori ricreativi (K) i dati sono disaggregati per sostanza e riguardano il solo indicatore della frequenza, le sostanze maggiormente usate, prima e durante la pandemia, sono cannabis e stimolanti: chi “pesa” di più sulla diminuzione del consumo- ed è ovvio – sono i consumatori occasionali o comunque che usavano con bassa frequenza prima del lockdown, che durante il confinamento facilmente rinunciano a una quota del loro consumo. Il calo è più sensibile per sostanze quali mdma, lsd, ketamina, e qui appare significativa la ragione del setting, che nel pre-pandemia era prevalentemente legato a contesti del divertimento e a un uso collettivo, e che nella solitudine del confinamento sembra smarrire almeno in parte la sua funzionalità. Per quanto riguarda l’alcool, la ricerca (K) di contro segnala un relativo aumento, ma rispetto alle dichiarate aspettative degli operatori verso questo mondo del consumo risulta essere molto contenuto: anzi, diminuisce per i bevitori non regolari o sporadici (da una volta al mese a meno di 3 volte la settimana nel pre lockdown) e aumenta, sebbene anche qui non in modo esponenziale, solo per i bevitori giornalieri. Andamento “virtuoso” anche per il binge drinking: le “abbuffate alcoliche” sono in netto calo per i bevitori sporadici e poco intensivi, e registrano un lieve incremento per quelli abituali con uso più che giornaliero. Si sottolinea che nelle culture mediterranee l’ alcool è comunque una sostanza della socializzazione, e il lockdown, soprattutto per chi non sia bevitore regolare, mette in crisi proprio la finalità della socializzazione; inoltre la popolazione più marginale afferente ai servizi a bassa soglia include molti consumatori di fede islamica, che durante il lockdown ha celebrato il ramadan, sospendendo di fatto il consumo diurno, oltre al fatto che per tutti coloro che vivono in strada, nativi e immigrati, le difficoltà a fare colletta e la chiusura dei negozi ha reso più difficile anche l’approvvigionamento di alcool. Una considerazione finale merita anche il fatto che non vi sia stato un incremento dell’intensità dei consumi nonostante gli stati d’animo con cui è stato vissuto il lockdown avrebbero potuto giustificarlo, se consideriamo un uso di autocura: la ricerca (k) – che è iniziata in fase 1 e si è chiusa in fase 2 – segnala che nell’ultimo mese gli stati d’animo più ricorrenti includevano irritabilità, ansia e tristezza, sostanzialmente confermati anche per l’ultima settimana.
Le ragioni del consumo e le variazioni di setting. Una ricerca in particolare (K) ha indagato sugli obiettivi del consumo di droghe illegali, riferendosi in buona parte a consumatori ricreativi. Come prevedibile, le ragioni in fase di lockdown si spostano verso finalità di contenimento di ansia e fronteggiamento della solitudine, a parziale discapito del divertimento, della conoscenza di sé, della sperimentazione (come ricordato sopra per quanto attiene il basso livello di uso di nuove sostanze) e soprattutto della socializzazione, in minor misura a scapito di ragioni prestazionali; tutte ragioni per questo gruppo indubbiamente prevalenti nel pre- lockdown. Tuttavia è interessante leggere questi scarti, perché ancora una volta consentono di osservare come le “buone ragioni“ per consumare siano molteplici e intrecciate, e come una tipizzazione troppo rigida di chi consuma sia inadeguata a leggere i fenomeni: le ragioni in crescita (stress, ansia, solitudine, evasione, sonno) presentano valori di incremento contenuti, perché sono decisamente presenti tra le motivazioni all’uso già nel pre lockdown, con un significato di autocura che, nei mix assunti, non si contrappone alle ragioni del divertimento, ma vi si integra; si può osservare che si tratta allora di un parziale adeguamento funzionale al fronteggiamento di una situazione provvisoria, con un enfasi sull’autocura, ma non di una “scoperta” di queste motivazioni né della rinuncia alle altre ragioni originarie. Questo è confermato anche dall’analisi dei setting di uso durante il confinamento: una delle variazioni più significative per questo gruppo è l’aumento del consumo in video chat con gli amici, seconda solo, come incremento, all’uso da soli. Come prevedibile, c’è il crollo dei valori relativi all’uso con amici in casa, con altri nei party setting o nei luoghi all’aperto. Tornando alle variazioni delle ragioni dell’uso, quella relativa a “non poter smettere” di assumere droghe è, per questo gruppo, residuale e anzi in leggera flessione rispetto al “prima”, rispettivamente 13 casi nel lockdown e 18 casi prima, un valore che si attesta in fase Covid19 attorno al 4,5%. Per gli altri due gruppi, non ci sono dati circa le variazioni sulle ragioni del consumo. I setting nella ricerca (S) seguono il trend per quanto riguarda un maggior uso in solitudine (oltre il 55%), ma per ben il 27% nulla è cambiato, continua a usare in strada e la stessa percentuale dichiara di usare in luoghi più nascosti di prima, a testimonianza del fatto che un più pressante controllo del territorio e le norme anti-Covid19 rappresentano per questo gruppo un fattore di rischio.
Una variazione significativa del setting riguarda le condizioni abitative nella fase più restrittiva del lockdown. Una quota importante ha vissuto il confinamento da solo (il 16% per la ricerca (K) e il 27% per la (S) ) il che non solo ha comportato consumare in solitudine, spesso in controtendenza con il pre lockdown, ma anche avere maggiori difficoltà nell’approvvigionamento, salvo per chi ha mantenuto un lavoro all’esterno e dunque una parziale mobilità. Una parte ha convissuto con il/la partner (il 34% e il 22% rispettivamente), i genitori (il 26% e il 24%) e i figli (il 7% e il 6,6%): una convivenza che, quando il consumo non era abitudine nota e condivisa, è stato fattore di maggior stress e ulteriore difficoltà nella gestione del proprio uso. Infine, se il consumo di cannabis risulta tra i più stabili, nonostante le variazioni di prezzo e qualità siano notevoli (vedi più avanti), è anche perché qui le variazioni di setting incidono di meno: il consumo infatti è spesso dentro una routine quotidiana, domestica, ed è anche non raramente una abitudine solitaria. Nel complesso quindi sono i consumi fortemente situati in setting di socializzazione a subire i maggiori decrementi.
Strategie di accesso alle droghe. Tutte le ricerche segnalano maggiori difficoltà nell’accesso alle sostanze rispetto al periodo pre-lockdown: nella ricerca #T, il 63% ha avuto difficoltà nel contattare il pusher di fiducia, il 70% ha avuto grossi problemi con gli spostamenti necessari per effettuare gli acquisti e il 62% dichiara difficoltà a trovare la sostanza ricercata. Inoltre, nel 58% dei casi ci sono stati orari limitati di vendita e nel 36% è cambiato il luogo dello spaccio. Queste difficoltà tuttavia non paiono significare, a giudicare dall’andamento dei consumi, una reale indisponibilità delle droghe sul mercato, che di contro sembra essersi riorganizzato con notevole rapidità (vedi paragrafo successivo). Circa la metà dei consumatori di tutte e tre le ricerche mantengono il rapporto con i pusher di fiducia, fattore questo relativamente protettivo, per loro, e segnale di significativa resilienza del mercato; va segnalato che circa il 14% del campione (K) dichiara di aver rinunciato ad acquistare alcune sostanze perché non era accessibile il pusher di riferimento, il che rivela una strategia di regolazione basata sulla ricerca di maggior sicurezza in tema di qualità.
Mantenere il proprio pusher tuttavia non è scevro da altri rischi: alcuni segnalano una minor propensione di questi fornitori a fare loro credito, fattore che espone i consumatori a particolari difficoltà, stante che molti dichiarano una minor disponibilità di denaro in fase di confinamento; nella ricerca (S) il 51% risulta essere attualmente disoccupato, in quella (K) il Covid19 ha portato il 14% a guadagnare di meno, il 10% a essere in cassa integrazione, il 10,9% a perdere il lavoro. Questa limitazione del budget e, insieme, del credito può essere assunta come una delle ragioni della flessione registrata in parte dei consumi. L’accessibilità al mercato è in funzione anche del territorio: osservazioni dirette da parte di operatori e consumatori rilevano grandi differenze ad esempio tra città e provincia, dove in città la riorganizzazione del mercato appare più flessibile, rapida e capillare, mentre in provincia è spesso assente, e in fase di lockdown i consumatori che tradizionalmente si spostano verso i maggior centri urbani per acquistare le sostanze non hanno più potuto farlo. Questo ha penalizzato maggiormente chi ha dovuto sostenere un lockdown rigoroso, mentre è stato più blando per chi poteva spostarsi per ragioni di lavoro.
Una percentuale più contenuta (il 29% in #T), ricorre a spacciatori sconosciuti, esponendosi al rischio di maggior incertezza rispetto a qualità e prezzo. Appare limitato rispetto alle aspettative degli operatori il ricorso al web, comunque più frequente per il gruppo più giovane e ricreazionale (K); e quando si ricorre al web, lo si fa rivolgendosi maggiormente a quello in chiaro (vedi di seguito). Tra le strategie per garantirsi l’accesso alle sostante c’è quella dello stoccaggio. Meno praticabile dal gruppo più a rischio sotto il profilo socio-economico, e specialmente in fase Covid19, l’acquisto di maggiori quantità finalizzate allo stoccaggio coinvolge il 61 % del campione #T, che ha come sostanza prevalente la cannabis, e solo il 25% dei consumatori ricreativi dell’indagine (K).
Un ruolo lo giocano anche le reti amicali, in maniera ambivalente, da ciò che risulta dalle ricerche. Per la ricerca (K), il ricorso agli amici per approvvigionarsi è aumentato nel lockdown per il 6% dei consumatori, è viceversa diminuito rispetto a prima per il 7,2%. Per quanto riguarda la solidarietà di gruppo, la ricerca #T segnala che il 60 % non intende condividere con gli amici la quantità accantonata, per evitare di rimanere scoperti.
Il mercato. Disponibilità, qualità, prezzi
Le condizioni di blocco degli spostamenti e di confinamento in casa non potevano non avere conseguenze sul mercato di sostanze illegali, ma il primo dato che abbiamo raccolto anche dal focus group è che il mercato non si è fermato. Le indagini e le osservazioni degli operatori rilevano una maggiore difficoltà a reperire droghe illegali, ma il fatto che molti consumatori dichiarino di aver continuato a rifornirsi dal proprio fornitore abituale dimostra che pochi sono i sellers rimasti tagliati fuori dalla necessaria riorganizzazione del business.
Bisognerà aspettare l’elaborazione approfondita dei dati delle ricerche, e soprattutto i risultati delle analisi di laboratorio delle sostanze eventualmente sequestrate in questo periodo, ma da una prima analisi dei dati grezzi delle indagini la percezione dei consumatori è che la qualità delle sostanze sia diminuita.
Se prendiamo le risposte in #T, per esempio, la purezza della sostanza nel 48% dei casi è stata dichiarata più bassa rispetto agli acquisti pre-Covid19, mentre il 57% dei consumatori ha riscontrato un aumento dei prezzi da prima dell’emergenza; il 35% dichiara che la quantità dei propri acquisti in questo periodo è stata inferiore al solito, anche a parità di prezzo.
Dalle risposte a (K) risulta che secondo i consumatori il mercato che ha subito di più l’influenza del lockdown è quello dei cannabinoidi; è opinione condivisa degli operatori che a questa netta riduzione della disponibilità e aumento dei prezzi si debba l’aumento del mercato di cannabinoidi legali (cannabis light) segnalato anche dai produttori e riportato dalla stampa. Ma questo aumento del prezzo ha interessato generalmente tutte le droghe.
Ci si potrebbe aspettare che la difficoltà a procurarsi sostanze de visu spinga i consumatori a rivolgersi al darknet. Invece in pochi (solo il 7% in #T, per esempio) hanno acquistato sostanze in internet. Pochi di più rispondono (K) di essersi rivolti al mercato web in chiaro, soprattutto per la cannabis legale, che sebbene non soddisfi gli effetti psicoattivi, grazie al CBD può aiutare per ansia e insonnia, ed è normalmente reperibile sul web in chiaro. C’è anche da considerare che secondo osservazioni dirette in fase di lockdown l’offerta di farmaci e altre sostanze nel web in chiaro è aumentata. Infine, in generale il ricorso al darkweb in Italia non è molto diffuso: gli acquisti sul web, nonostante la rappresentazione che spesso la stampa dà di un mercato di facile accesso, richiede competenze e strumenti che non sono alla portata di tutti. Gli operatori che hanno approfondito lo studio di questo mercato negli ultimi anni sottolineano due cose che potrebbero spiegare lo scarso sviluppo del mercato online. Per prima cosa l’età di chi ha partecipato alle indagini è di circa 30 anni: il mercato online è più appetibile per consumatori più giovani e più confidenti con gli strumenti necessari ad usarlo in sicurezza. Poi, nonostante l’idea che si è diffusa sui media mainstream, che per acquistare droghe online bastino un computer, una connessione e un software, per il darkweb servono soprattutto le criptovalute che non sono così facili da procurarsi in Italia.
Il rapporto con i servizi
A inizio marzo il lockdown era appena iniziato, nelle reti della RdD è iniziato un fitto scambio su quello che stava succedendo. C’era bisogno di capire gli uni dagli altri come i nostri gruppi si stavano organizzando di fronte a una situazione straordinaria che nessuno poteva sapere quanto sarebbe durata. Questo dibattito certamente nasceva dalla domanda: “Come facciamo, dato tutto quello che sta succedendo, a tenere le nostre relazioni con le persone che usano i nostri servizi e a continuare a cercare di soddisfare i loro bisogni e le loro domande?”.
Delle tre ricerche, due (S e #T) ci danno alcune indicazioni su come i consumatori hanno percepito la vicinanza dei servizi. L’altra, (K), si è rivolta prevalentemente a una platea di persone che non usa i servizi se non quando li incontrano nei setting del divertimento che frequentano. Quindi dunque parliamo di servizi di RdD e di Ser.D.
I servizi di RdD e bassa soglia. Pur considerando la situazione straordinaria e di grande confusione, soprattutto a inizio della pandemia, i consumatori non hanno accusato mancanza di materiali di RdD. Il tempo in cui i questionari sono stati proposti certamente può aver influito su questa valutazione, poiché al tempo delle ricerche i servizi di RdD erano già ri-organizzati, dopo il primo periodo di incertezza e spesso di sospensione. Fatte queste considerazioni, più della metà (S) dichiara di non aver incontrato difficoltà a reperire materiale di RdD, e il 10% (#T), un dato comunque significativo, lamenta invece una certa difficoltà a trovare siringhe e naloxone. I dati dei questionari non somministrati da operatori (quelli di #T) offrono una percezione maggiormente critica; di sicuro, unità di strada e drop in hanno fatto uno sforzo organizzativo per garantire l’accesso ai clienti rispettando le disposizioni per contrastare la pandemia.
Dal focus con gli operatori emerge un quadro ancora più approfondito da questo punto di vista. Sappiamo come la RdD in Italia si è sviluppata a macchia di leopardo sul territorio e sappiamo che l’organizzazione regionale del Sistema Sanitario Nazionale fa sì che la RdD sia ancora più disomogenea. Durante la crisi e il lockdown questa caratteristica del nostro sistema di servizi di bassa soglia non poteva che confermarsi: ci sono state Regioni che hanno esplicitamente indicato le unità di strada e i drop in come prestazioni indifferibili e essenziali da garantire durante la quarantena; e ci sono state Regioni nelle quali queste indicazioni sono mancate, o addirittura sono state di segno opposto e i servizi sono rimasti chiusi per un lungo periodo. Questi rilievi non possono che far pensare ai LEA della RdD come a un’urgenza confermata dall’emergenza Covid19. Cosa ha mosso alcune Regioni a garantire la RdD e altre no? Insomma, torna prepotente il tema politico dell’advocacy per la RdD.
Gli altri servizi. Allargando lo sguardo oltre i servizi bassa soglia e la RdD, emerge una certa insoddisfazione da parte dei consumatori per come i servizi si sono organizzati (in media intorno al 25% del campione in S). Guardando alla frequenza delle risposte di chi ha specificato quali prestazioni sono mancate di più, sono citate soprattutto le relazioni nei servizi di cura e trattamento (colloqui e psicoterapia) e i servizi per le persone senza dimora, soprattutto mense e dormitori, molti dei quali, in fase iniziale soprattutto, hanno chiuso
Questo sguardo in profondità non deve distogliere dal fatto che la maggior parte del campione (S) non ha modificato di molto il proprio rapporto coi servizi, e pochi rispondono di aver preso o ripreso contatto col Ser.D. o con i servizi di RdD in occasione del lockdown.
La necessità di evitare assembramenti e contatti ha spinto i Ser.D. ad allargare la consegna di terapie farmacologiche in affido. Quasi la metà del campione (S) ha avuto in affido la terapia durante il lockdown per un periodo da 1 a 2 settimane (solo l’8% per un periodo più lungo), per lo più (il 38%) a dosaggi invariati, aumentati solo per il 17%. Meno del 5% dichiara di aver avuto problemi con l’affido, e quando questo è successo, la strategia è stata, con valori esattamente uguali (5,9%) o rinegoziare con il medico o rivolgersi al mercato illegale. Secondo la ricerca #T, il 9% degli intervistati ha avuto difficoltà ad accedere alle terapie in affido.
Colpisce però, data la relativa diminuzione dell’accessibilità al mercato illegale, che non siano molti quelli che hanno preso contatto con i servizi di cura. Questo rilievo durante il focus con gli operatori ha aperto una discussione su come si sono organizzati i Ser.D. in questo periodo. In alcune città le nuove accoglienze e prese in carico sono state favorite da un abbassamento delle soglie di accesso, soprattutto in virtù dei rilievi delle unità di strada; altrove regole e tempi di accesso non sono cambiati, oppure addirittura le nuove accoglienze sono state sospese o rallentate, aumentando di fatto il disagio delle persone che usano droghe bisognose di terapie sostitutive. Una indicazione su questo potrebbe arrivare dall’analisi dei dati completi di queste ricerche, e ancora di più dai dati nazionali degli accessi ai Ser.D. in questi mesi, se e quando arriveranno. Possiamo comunque segnalare, da quello che questi dati e le osservazioni degli operatori ci suggeriscono, la percezione di un sistema di cura e trattamento ancora piuttosto rigido e di difficile accesso.
Dal focus sono emerse infine due indicazioni su come alcuni gruppi di RdD hanno riorganizzato il proprio lavoro durante la quarantena. Da una parte, le equipe che lavorano nei contesti del divertimento hanno intensificato il lavoro online, usando i canali social e le app di messaggistica. Questo lavoro, che prima del Covid19 era un territorio appena esplorato da pochi, ha avuto un grande sviluppo. Gli operatori sono stati di fatto costretti a intensificare la propria presenza online per mantenere il contatto con le persone che non si potevano più incontrare nei club, alle feste o ai rave: si sono sperimentate dirette sui canali social, veri e propri format di informazione. Da questo punto di vista possiamo considerare questo periodo come una palestra. Di sicuro, si è detto durante il focus, è mancato il drug checking, che soprattutto nel periodo di quarantena sarebbe stato utile per testare le sostanze, informare tempestivamente i consumatori e meglio comprendere quanto stava avvenendo nel mercato illegale. Il venir meno del setting di lavoro principale delle equipe di limitazione del rischio, le ha portate, oltre a investire di più sugli spazi online, anche a riconvertire le proprie risorse andando a supporto delle unità di strada e dei servizi di RdD. Di fronte alla straordinarietà del contesto, e alla frequente assenza di indicazioni specifiche, i servizi di RdD hanno risposto con flessibilità e capacità di adattamento.
Esperienze relative al controllo del territorio
Nonostante nessuna delle ricerche abbia indagato questo aspetto, abbiamo voluto fermarci a valutare, grazie all’osservazione diretta sul campo, che impatto ha avuto il lockdown in termini di apparato di controllo sulle persone che usano droghe. Quelle che seguono sono quindi le osservazioni di chi ha partecipato al focus.
La prima impressione è che, a parte qualche caso salito alle cronache, il controllo non abbia investito particolarmente le persone che usano droghe e chi vive in strada. Come se ci sia stata, nell’eccezionalità della situazione, una sospensione della routine fatta di fermi, controlli e multe, fatta eccezione per alcuni pusher in alcune città. Nessuno degli operatori ha visto nelle proprie città multare senza dimora per la violazione delle disposizioni di contenimento. Potremo verificare cosa sia successo quando saranno pubblici i dati sui fermi e sulle segnalazioni alle Prefetture di questo periodo, ma il dato che abbiamo registrato dagli operatori dei servizi di bassa soglia è che non hanno raccolto testimonianze dei loro clienti in questo senso. C’è da segnalare, tuttavia, che il 70% delle persone che hanno risposto a #T, che sono prevalentemente consumatori di cannabinoidi, hanno dichiarato difficoltà negli spostamenti necessari all’approvvigionamento di sostanze.
Ovviamente il lockdown ha modificato le città e ridotto la possibilità di fruire di spazi da parte di chi vive in strada. Gli spazi nei quali queste persone solitamente trovano riparo, beni di prima necessità e trascorrono il tempo, usandoli come servizi informali, come le biblioteche e i centri commerciali, sono stati chiusi tutto il tempo. Questo, per queste persone, è stato un problema reale.
Tracce per il futuro
Per trarre conclusioni sulle lezioni apprese dal Covd19 circa i consumi di sostanze illegali sarà importante raccogliere tutte le ricerche condotte, in diversi ambiti e con diversi approcci, durante questo periodo e anche nei mesi seguenti, e sistematizzare i contenuti delle osservazioni dirette che ogni giorno una fitta rete di operatori, persone che usano droghe, servizi, associazioni producono, un patrimonio che nel contesto italiano non è mai abbastanza messo al lavoro e valorizzato, e che in situazioni-limite come quella che abbiamo vissuto e stiamo vivendo rappresentano una fonte cruciale di conoscenza dei fenomeni e di consapevolezza delle trasformazioni. Più ricerca e più ricerca anche qualitativa ci sembra una necessità per l’immediato futuro. Per ora ci pare di poter indicare tre ambiti tematici per una prima riflessione, indiziaria e provvisoria, ma promettente:
- Le persone che usano sostanze nel lockdown hanno dimostrato una significativa capacità di controllo del loro consumo, adottando strategie di fronteggiamento dell’emergenza, di adeguamento alle mutate condizioni di vita e di consumo, di minimizzazione dei rischi. La regolazione del consumo in fase di confinamento ha dimostrato la capacità di compiere scelte funzionali, l’adozione di misure sia di relativo decremento del consumo, quando necessario, sia di adattamento al setting mutato, anche con la rinuncia a sostanze per cui il venir meno del setting elettivo significava perdita della ragione e dei vantaggi del consumo stesso. Per alcuni gruppi di consumatori c’è stata anche una capacità di accedere e usare i servizi, quando disponibili, in maniera più funzionale, sia per la RdD che per il trattamento, includendoli nelle proprie strategie individuali di regolazione, ivi inclusi i servizi online per la consulenza e l’informazione. Questo non significa che per loro la pandemia non abbia comportato difficoltà e rischi, soprattutto correlati al mercato illegale, con le sue oscillazioni, alle disuguaglianze nelle condizioni sociali e, in alcune zone del paese, al limitato funzionamento dei servizi. Sono queste le responsabilità del contesto. Ma per quanto concerne le strategie individuali, il lockdown ha rivelato – ancora una volta, per noi che della ricerca sulle competenze e i processi di apprendimento delle persone che usano sostanze ci occupiamo da sempre – come le competenze, le capacità, le culture di chi consuma, e le norme sociali condivise, siano la base più promettente per un governo efficace del fenomeno dei consumi a costi umani e sociali contenuti e sostenibili. Ci pare che l’immagine stereotipata di certo discorso pubblico sulle droghe – purtroppo mainstream – secondo cui chi consuma droghe è un soggetto inconsapevole, inabile e incapace di governare la sua realtà, sia stata ancora una volta smentita. E lo sia stata in una situazione-limite.
- Il mercato illegale ha dimostrato la sua vivacità, flessibilità, resilienza. Non è mai venuto meno, nemmeno in fase 1 del lockdown; è stato meno accessibile dai consumatori, a volte, ma la disponibilità delle sostanze non è mai cessata, rallentata forse, e solo per alcune droghe, ma mai interrotta. La ricerca dei prossimi mesi ci dirà se c’è una onda lunga sul mercato, e quale, delle restrizioni vissute in questi mesi. Ad oggi ciò che vediamo è che ha superato le barriere consegnando a domicilio, per posta, via web, e non ha mai davvero abbandonato le strade. Gli unici che ne hanno avuto un danno sono i consumatori, che a causa delle dinamiche del mercato illegale hanno pagato di più per sostanze di minor qualità e sicurezza. Se qualcuno pensava che la doppia proibizione – del mercato e della mobilità delle persone insieme – andasse a rafforzare la diminuzione dell’offerta, si è semplicemente sbagliato, non è successo. Nemmeno la spirale di una proibizione estrema, oltre i confini costituzionali, ferma le droghe, né l’offerta, né la domanda. Sarebbe ora davvero di ricominciare da qui, da questa crisi epocale, a ragionare finalmente su politiche alternative e a nutrire finalmente seri dubbi sull’efficacia di un disciplinamento sanzionatorio.
- I servizi sono entrati nelle strategie personali di tenuta in modo importante, per molti. Che si trattasse di terapie farmacologiche, di strumenti di RdD, di consulenza e informazione online sulle sostanze a tutela di un uso più sicuro, per molti sono stati significativi. Per molti ma non per tutti: ancora una volta ci sono state aree del paese, regioni, città che sono rimaste sguarnite, con servizi chiusi o fortemente limitati, senza strategie all’altezza della crisi, senza linee di indirizzo da parte di ASL e Regioni. Eccellenze e diserzioni, a macchia di leopardo, problema nel problema, così evidente in questa pandemia, dei limiti e dell’abbandono del sistema dei servizi territoriali, cui quelli per le droghe e le dipendenze appartengono. E anche qui allora una lezione appresa, forte: i servizi di RdD sono presidi essenziali sempre, e in emergenza di più, per la loro straordinaria capacità di raggiungere chiunque, di adattarsi al momento, per la flessibilità nel mutare e mirare gli interventi; lo scandalo dei LEA nazionali proclamati e mai attuati è apparso ancora più insopportabile, in questa crisi. Ci sono state Unità di strada che hanno chiuso i battenti, restituendo una immagine di sé svilente, fatta di irrilevanza, e ce ne sono altre che hanno raddoppiato gli orari, diversificato le mansioni, svolto un ruolo insostituibile. Senza LEA nazionali, senza linee guida nazionali, il disordine dei 21 sistemi ragionali porta e porterà danni sempre più gravi. E infine ma non ultima, una lezione sui trattamenti: la necessità ha fatto virtù, sono aumentati i trattamenti metadonici, a protezione dei consumatori di oppiacei in una fase difficile delle loro vite, e sono aumentati e sono stati prolungati gli affidi. Non sappiamo – ce lo auguriamo – se qualcuno vorrà fare una ricerca approfondita sugli esiti di queste misure in fase di lockdown, magari dando la parola a chi le ha sperimentate; i consumatori che abbiamo intervistato li hanno apprezzati e soprattutto li hanno anche saputi gestire: forse anche un diverso rapporto dei consumatori con i servizi è all’ordine del giorno. I Ser.D., a loro volta, hanno organizzato la distribuzione delle terapie farmacologiche in modo soddisfacente, secondo quanto dichiara una quota dei consumatori. Al contempo, il distanziamento sociale imposto ha limitato le relazioni e i colloqui, gli incontri che sono parte altrettanto importante nei servizi. L’importanza delle figure professionali dedicate alla relazione e alla parola, che negli ultimi anni stanno andando quasi a esaurimento, ci è stata restituita dai consumatori con forza.
Note
- Al focus hanno partecipato: Stefano Bertoletti, Lorenzo Camoletto, Antonella Camposeragna, Claudio Cippitelli, Pino di Pino, Elisa Fornero, Claudia Iormetti, Massimo Oldrini, Ilaria Piccinin, Susanna Ronconi.
- Sul concetto di autoregolazione del consumo e sul consumo controllato, e le loro implicazioni per la ricerca, la conoscenza del fenomeno dei consumi e le politiche vedi in S.Ronconi e G.Zuffa (a cura di) Droghe e autoregolazione. Note per consumatori e operatori, Ediesse, 2017. Altri materiali sono in www.fuoriluogo.it
- Nel focus group ci si è riferiti alle molte esperienze online condotte nella fase di lockdown, quando le equipe momentaneamente inattive nei setting tradizionali del divertimento hanno attivato e/o potenziato chat e social per fornire informazioni e consulenze
- L’EMCDDA ha prodotto un studio europeo su tre mercati on line, tra gennaio e marzo 2020, COVID-19 and drugs: Drug supply via darknet markets, in https://www.emcdda.europa.eu/system/files/publications/13042/EMCDDA-report_COVID19-darknet-final.pdf.
- FD, CNCA e ITARDD hanno condotto in fase di lockdown un monitoraggio su come si sono riorganizzati i servizi di RdD e i Serd. È ora in corso l’analisi dei dati e il rapporto di ricerca sarà disponibile a luglio.
- All’analisi delle ricerche e dei dati disponibili sarà dedicata la Summer School 2020, promossa ogni anno da FD e CNCA, che si terrà in versione online dal 3 al 5 settembre, https://www.fuoriluogo.it/agenda/le-droghe-ai-tempi-del-covid19-lezioni-apprese-perche-nulla-sia-come-prima/