Dalla sentenza Cedu che condannava l’Italia per le violazioni dei diritti dei detenuti causate dal sovraffollamento carcerario (Torreggiani e altri c. Italia) sono passati soltanto sei anni, eppure dal 2015 ad oggi il numero di detenuti presenti nelle patrie galere è tornato ad aumentare in maniera costante, riavvicinandosi pericolosamente alla soglia dei 60mila a fronte di una capienza di 50.581 posti (dato Istat).
Dalla sentenza della Corte costituzionale che dichiarava l’incostituzionalità della cd. Legge Fini-Giovanardi di anni ne sono passati cinque. Cinque anni in cui l’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (EMCDDA), la Global Commission on Drug Policy e altre prestigiose istituzioni si sono espressi nettamente in favore di un cambio di passo riguardo le politiche di contrasto al consumo e al mercato delle sostanze stupefacenti. Alla problematica è stata dedicata anche una Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (invero piuttosto attendista e deludente). Eppure ancora oggi in Italia oltre un terzo dei detenuti è in carcere per violazione della normativa antidroga e quasi 180mila persone sono in attesa di un giudizio per la stessa ragione, ingolfando i tribunali e drenando le già scarse risorse delle forze dell’ordine. Un costo di miliardi di euro all’anno per i contribuenti, in larga parte ignari del fatto che i loro soldi potrebbero essere spesi in maniera più efficiente, con beneficio per la sicurezza e la salute pubblica. Intanto il Ministro dell’Interno, all’apice del consenso, vaneggia di proibire persino la vendita della cannabis light, nonostante lo studio “Light cannabis and organized crime. Evidence from (unintended) liberalization in Italy” (V. Carrieri, L. Madio, F. Principe) abbia dimostrato che la nascita e la diffusione dei grow-shop in Italia abbia comportato una flessione dei guadagni delle consorterie criminali stimabile tra i 160 e i 200 milioni di euro l’anno. Senza considerare che stiamo parlando di una sostanza senza alcun potere drogante, di fatto paragonabile a una tisana rilassante. Questo ci dà l’esatta misura della scarsissima se non nulla conoscenza della materia da parte dei soloni del proibizionismo.
1. La situazione nelle carceri
Nel 2018 rispetto all’anno precedente c’è stata una leggera flessione degli ingressi in carcere, sia totali che ex art. 73 DPR 309/90. Questi ultimi sono stati 14.118 su 47.258, vicini dunque alla soglia del 30% e in crescita dello 0,5% rispetto al 2017.
Nel 2008, in pieno regime Fini-Giovanardi, gli ingressi totali ammontavano a 92.800, mentre gli ingressi ex art. 73 erano 28.865, il 31,1%. In dieci anni i numeri si sono praticamente dimezzati, ma è evidente che la normativa antidroga rimanga il volano dei processi di carcerizzazione (come anche di deflazione penitenziaria): la repressione penale tende a concentrarsi sui reati relativi alla detenzione e al traffico di sostanze stupefacenti.
A differenza degli ingressi, le presenze per violazione del DPR 309/90 sono aumentate sia in termini assoluti che in termini percentuali per il terzo anno consecutivo. Sono aumentate singolarmente sia le presenze ex art. 73, sia ex art. 74, sia ex artt. 73 e 74. Si è passati così dai 19.715 detenuti presenti del 31 dicembre 2017 ai 21.007 del 31 dicembre 2018, un aumento secco del 6,5%.
In compenso dal 2010 si è ristretta la forbice tra detenuti ex art. 73 e detenuti ex art. 74. La seconda è una condotta più grave (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze psicotrope) e ad oggi i numeri sono meno impietosi per il nostro sistema di repressione. Non si può comunque dire che sia venuta meno la tendenza a concentrarsi sui pesci piccoli piuttosto che su quelli grossi. Anzi, grazie a una migliore organizzazione e a maggiori risorse, i consorzi criminali non solo restano fuori dai radar della repressione penale ma ne traggono anche vantaggio, trovandosi a operare in un mercato ripulito dai competitor meno esperti, in una situazione di oligopolio. Per Jerome H. Skolnick, “la proibizione spazza via i trafficanti di droga marginali e meno efficienti, […] mentre i migliori, i meglio organizzati, quelli che corrompono di più le autorità, i più spietati e i più efficienti, sopravvivono”. E lo fanno in condizioni ideali, perché con minore concorrenza. Un altro studioso, Peter Reuter, è della medesima opinione: “I trafficanti esperti traggono beneficio dall’interdizione, poiché questa previene i potenziali concorrenti […]. Laddove esiste un cartello di contrabbandieri esperti […], le sue prospettive sono migliorate da un’interdizione efficace, il cui peso ricade sproporzionatamente sui concorrenti meno agguerriti”. Secondo Nicholas Dorn e Nigel South, infine, “la minaccia di pesanti condanne consolida un sistema di rifornimento quasi inespugnabile; soltanto i dilettanti, i corrieri e gli operatori di basso livello sono soggetti a venire arrestati”. Il problema è noto agli studiosi come Darwinian trafficker dilemma.
Crescono gli ingressi e le presenze di detenuti tossicodipendenti. Il dato sugli ingressi è particolarmente preoccupante, in considerazione del costante aumento che ha riguardato gli ultimi tre anni e della stabilizzazione ben oltre il 30% (35,5% nel 2018), soglia che non era stata raggiunta neppure negli anni della più feroce applicazione della Fini-Giovanardi.
Va segnalato che il dato relativo agli ingressi del 2015, pur essendo quello fornito ufficialmente dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, è troppo distante da quelli degli altri anni per essere attendibile e potrebbe essere dovuto a un cambio di metodologia nella rilevazione. Già dall’anno successivo si è tornati ad avere numeri più in linea con quelli registrati dal 2005 al 2014.
Anche la percentuale di detenuti tossicodipendenti, pur conforme a quella degli anni precedenti (dal 2007 ad oggi circa uno su 4 è tossicodipendente), ha raggiunto il suo apice quest’anno, arrivando a sfiorare il 28% dei detenuti totali.
La presenza di tossicodipendenti in carcere, specie in numero così alto, oltre a essere un indice della scarsa attenzione per i diritti umani nel nostro Paese, rappresenta un grave problema anche dal punto di vista sanitario dal momento che molti virus e malattie infettive possono colpire i tossicodipendenti in misura estremamente maggiore, e un ambiente chiuso come quello carcerario, anziché garantire la sicurezza di chi vi è ristretto, spesso induce a pratiche estremamente rischiose, come ad esempio il riutilizzo di siringhe.
1.1. Simulazione popolazione carceraria senza detenuti ex art. 73 dpr 309/90 e senza tossicodipendenti
Dopo l’indulto del 2006, la popolazione carceraria è scesa da 59.523 detenuti (31.12.2005) a 39.005 (31.12.2006), con un tasso di affollamento pari a 91 (ossia 91 detenuti per 100 posti; l’anno prima era a 139).
Negli anni successivi si è registrato un progressivo ritorno alla situazione precedente, anche per effetto della piena vigenza della legge Fini-Giovanardi, che ha portato a un’impennata dei ristretti ex art. 73 DPR 309/90. Il picco massimo di affollamento carcerario si è avuto nel 2010, quando erano presenti 151 detenuti ogni 100 posti disponibili.
Dopo la condanna CEDU per il caso Torreggiani (2013) la popolazione carceraria è diminuita fino ai 52.164 detenuti presenti al 31.12.2015 (tasso di sovraffollamento 105).
Al 31.12.2018 il tasso di sovraffollamento è salito fino a 118; un anno prima era a 114.
Nella nostra prima simulazione abbiamo provato a scorporare i detenuti ex art. 73 dal resto della popolazione carceraria per capire, ovviamente in maniera molto grossolana, quanto influisca la proibizione sul sovraffollamento carcerario.
Come si può notare, dal 2005 a oggi soltanto nel biennio 2010-11 il numero di detenuti avrebbe raggiunto e superato (di poche unità) la capienza regolamentare, e il tasso di sovraffollamento al 31.12.2018 sarebbe pari a 89 (-29 punti percentuali). Va segnalato che sono stati scorporati solamente i detenuti ex art. 73 e non anche i detenuti ex artt. 73 e 74 né i detenuti ex art. 74, punendo l’articolo 74 una condotta più grave (associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti).
Nella seconda simulazione abbiamo scorporato invece i detenuti tossicodipendenti dal totale. Come si può notare, la capienza regolamentare senza di essi sarebbe stata superata solo negli anni che vanno dal 2009 al 2012, e ad oggi il tasso di sovraffollamento sarebbe a 85 (-34 punti percentuali).
2. La situazione nei tribunali
La tabella 5 mostra il peso della disciplina legislativa sulle droghe sui procedimenti penali pendenti negli uffici giudiziari italiani a partire da un indicatore soggettivo: il numero delle persone sottoposte a procedimento penale per detenzione, spaccio o per appartenenza a organizzazioni criminali dedite al traffico di sostanze stupefacenti.
Il dato ci conferma che anche i procedimenti penali pendenti sono tornati a crescere a partire dal 2016. Le persone coinvolte in procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 e 74 sono rispettivamente 178.819 (+5.005 e +2,9% rispetto a un anno prima) e 43.335 (+1.154 e +2,7%).
Da notare la corrispondenza inversa tra il decremento registrato tra il 2014 e il 2015 e l’incremento registrato tra il 2006 e il 2007, a ridosso della prima applicazione della Fini-Giovanardi: è possibile ipotizzare che il più grave trattamento sanzionatorio della detenzione di cannabinoidi previsto dalla legge del 2006 tanto abbia influito sull’incremento delle persone sottoposte a procedimento penale tra il 2006 e il 2007 quanto la sua caducazione a opera della Corte costituzionale nel 2014 ha influito sulla riduzione dei soggetti sottoposti a procedimenti penali. Purtroppo l’effetto benefico della sentenza è stato vanificato da una rinvigorita politica d’intolleranza che non sembra destinata a cambiare nel breve periodo.
3. Le misure alternative alla detenzione
Un dato positivo arriva finalmente dalla tabella 7, relativa alle misure alternative: dal 2006 a oggi si è verificata una loro crescita costante, anno dopo anno.
Interessante il dato riguardante i lavori di pubblica utilità (non presente in tabella): quelli sopravvenuti nel 2018 sono stati 9.512, ma di essi 9.008 sono stati comminati per violazione del codice della strada, soltanto 504 per violazione della legge sugli stupefacenti. Il lavoro di pubblica utilità resta dunque ancora marginale come sanzione penale della disciplina sugli stupefacenti rispetto all’applicazione che se ne fa per reati in violazione del codice della strada. Il rapporto è addirittura di quasi 18 a 1.
Le seguenti tabelle 8 e 9 ci consentono di vedere un po’ più da vicino le misure di comunità dedicate ai dipendenti da sostanze stupefacenti. L’affidamento in prova al Servizio Sociale, che è di gran lunga la misura alternativa più frequente, ha una durata media che va dai 2,1 ai 2,5 anni.
Il lavoro di pubblica utilità (tabella 9) ha trovato applicazione 891 volte nel 2017, nei casi di lieve entità nella violazione della Legge sugli stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 co. 5 bis del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, introdotto dal decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, per una durata media di 202 giorni.
Non abbiamo termini di paragone con i detenuti in esecuzione penale per casi di lieve entità, mentre il raffronto con i casi di affidamento in prova dalla libertà, con cui è possibile paragonare questa misura in ragione della mancanza dell’ “assaggio di carcere” che altrimenti è richiesto per l’affidamento dalla detenzione, è senz’altro onorevole (siamo in un rapporto di 1 a 1).
D’altro canto, ancora marginale resta il lavoro di pubblica utilità come sanzione penale della disciplina sugli stupefacenti a fronte dell’uso che se ne fa per reati in violazione del codice della strada, laddove vi si è fatto ricorso 14 volte di più.
4. La punizione in via amministrativa del mero consumo di sostanze illegali
Ulteriori conferme sul ritorno dei processi di controllo coattivo della detenzione e dell’uso di sostanze stupefacenti iniziato nel 2016 ci vengono dalla tabella 10, relativa alle segnalazioni ex art. 75, cioè al possesso di sostanze stupefacenti per uso personale, e dunque penalmente non rilevante ma soggetto a sanzioni di tipo amministrativo.
I 39.278 segnalati rappresentano il dato più alto dal 2013 (furono 40.456 nel 2012). Il brusco calo che aveva fatto seguito alla sentenza Torreggiani è ormai lontano: nel 2015 i segnalati erano stati “appena” 27.718, di cui 1.125 minori. In tre anni c’è stato un aumento del 41,7%, che ha toccato un picco del +394,4% per quanto riguarda i minori. Da segnalare, infine, la quasi totale cancellazione delle richieste di programma terapeutico conseguenti alla segnalazione all’autorità amministrativa: se nel 2007 erano 3.008, nel 2017 si sono ridotte a 82, un autentico de profundis per le presunte finalità terapeutiche della segnalazione ai prefetti.
La Tabella 11 ci illustra ciò che già sapevamo: i cannabinoidi sono le sostanze più colpite dalle forme di controllo istituzionale e sanzionatorio. Le persone segnalate per uso di cannabis e derivati costituiscono quasi l’80% del totale, dato in linea con gli anni scorsi e poco al di sopra della media degli ultimi 28 anni e mezzo (cioè dall’approvazione nella legge 309/90; vedasi tabella 11).
È inequivocabile la centralità dei cannabinoidi nella war on drugs italiana.
In meno di 29 anni ci sono state quasi un milione e 300mila segnalazioni, una media di oltre 44mila segnalazioni all’anno, circa 120 al giorno.
Di queste, quasi un milione (per l’esattezza 926.478), ovvero oltre 7 su 10, sono per cannabinoidi, hashish e marijuana. Segue con largo distacco l’eroina con 147.798 segnalazioni (11,66%) e la cocaina con 132.266 (10,44%). Tutte le altre sostanze, anche le cosiddette NPS, non raggiungono singolarmente l’1% ed insieme non arrivano al 5% delle segnalazioni totali.
5. La Relazione Europea sulla Droga 2019: due dati significativi
Come ogni anno, l’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Dipendenze (EMCDDA) ha presentato la sua Relazione Europea sulla Droga, che mette assieme i dati forniti dai vari Stati europei (non sempre aggiornati all’ultimo anno; molti sono risalenti al 2017) e ci dà una panoramica continentale sulle tendenze e gli sviluppi del consumo, del mercato e del contrasto alle sostanze stupefacenti. Non sarebbe possibile né congruo riassumere un documento di 100 pagine in poche battute, quindi ci limiteremo ad analizzare due dei tanti dati riportati all’interno della relazione.
Il primo riguarda i sequestri di sostanze, che ci svelano (e non è una sorpresa) un’Europa non così dissimile dall’Italia. Nel 2017, le forze dell’ordine dei vari Stati europei hanno segnalato più di 1,1 milioni di sequestri di sostanze stupefacenti. Com’era ovvio aspettarsi il maggior numero di questi riguarda piccole quantità di stupefacenti confiscate ai consumatori, anche se la maggior parte del quantitativo totale di droga sequestrato era concentrato in poche partite del peso di molti chilogrammi. Se si dividono i sequestri per sostanza emerge un’altra verità assodata, ossia che il proibizionismo tende a concentrare le sue velleità punitive sui consumatori di cannabinoidi: il 72% dei sequestri ha riguardato infatti piante di cannabis, infiorescenze e resine. Crack e cocaina hanno costituito il 10% dei sequestri, l’eroina il 4%, le anfetamine il 5%, il 3% l’MDMA.
Il secondo dato che ci interessa sottolineare è quello della percentuale di principio attivo dei cannabinoidi sequestrati. La relazione sfata infatti un altro mito della dottrina proibizionista, quello della super-cannabis, a detta loro assolutamente imparagonabile per potenza a quella che si fumava negli anni ’70 (un articolo de Il Gazzettino parlava addirittura di una marijuana OGM 21 volte più potente di quella naturale). Ebbene, per quanto riguarda foglie e infiorescenze sequestrate nel 2017 la percentuale media di THC era tra il 9 e il 12%. Per ovvie ragioni la resina sequestrata e analizzata aveva percentuali più elevate, ma comunque la media era compresa tra il 15 e il 22%.
Ancora una volta quindi l’allarmismo si dimostra del tutto ingiustificato. Non che ci fosse bisogno di ulteriori conferme, dal momento che tali vaneggiamenti sono stati come sempre avanzati senza uno straccio di prova scientifica a supporto.