Dieci anni sono passati dalla prima edizione del Libro Bianco. Io ho iniziato a collaborare con Stefano Anastasia e Franco Corleone soltanto nel 2015, ma so che una delle ragioni per cui il Libro Bianco è nato è stata quella di analizzare nel dettaglio le nefaste conseguenze della c.d. Legge Fini-Giovanardi e proporre soluzioni alternative, modellate su dati scientifici, studi sociologici e politiche attive anziché sulla propaganda della Tolleranza Zero, sulla mera necessità del legislatore di mostrarsi duro e inflessibile.
Dal 2010 ad oggi i governi che si sono succeduti si sono dimostrati più sensibili all’obiettivo a breve termine di guadagnare voti tramite il populismo penale che alla volontà di contrastare le mafie, tutelare la salute pubblica, rispettare i diritti umani dei detenuti e, perché no, tagliare i costi, aumentare le entrate e rafforzare l’economia legale.
Dieci anni in cui gli unici cicli virtuosi sono stati subiti e non promossi dal legislatore. È del 2013 la sentenza CEDU che ha condannato l’Italia per le violazioni dei diritti dei detenuti causate dal sovraffollamento carcerario (Torreggiani e altri c. Italia). L’anno successivo la Corte Costituzionale nella sentenza 32/2014 ha sancito l’incostituzionalità della Fini-Giovanardi. Questo doppio colpo inferto alla macchina punitiva nostrana aveva portato a una riduzione della popolazione carceraria dai 65.701 detenuti del 31/12/2012 ai 53.623 del 31/12/2014 (-12.078; -18,4%) e, in particolare, da 19.893 a 12.717 ristretti ex art. 73 (-7.176; -36,1%).
Da allora l’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (EMCDDA), la Global Commission on Drug Policy e altre prestigiose istituzioni si sono espressi nettamente in favore di un cambio di passo riguardo le politiche di contrasto al consumo e al mercato delle sostanze stupefacenti; alla problematica è stata dedicata anche una Sessione Speciale dell’Assemblea Generale dell’ONU, invero piuttosto attendista e deludente. Tutto questo non sembra aver avuto la minima influenza sui nostri governi, che si sono limitati ad aggiustare dal punto di vista formale la normativa antidroga così come modificata dall’intervento della Corte Costituzionale senza neppure abbozzare un tentativo di cambio di rotta. Addirittura il precedente Ministro dell’Interno aveva (e ha) l’obiettivo dichiarato di proibire anche la cannabis light; il dubbio riguardo questo ulteriore giro di vite sta nel capire se il suo intento sia quello di guadagnare altri voti nel panorama reazionario italiano o sia quello di restituire alle mafie i circa 160-200 milioni di euro l’anno persi a seguito della nascita e la diffusione dei grow-shop nel nostro Paese (queste le cifre emerse dallo studio Light cannabis and organized crime. Evidence from (unintended) liberalization in Italy di V. Carrieri, L. Madio, F. Principe, European economic review 113, 63-76).
A seguito di un’ininterrotta crescita della popolazione carceraria che va avanti dal 2016, il 31/12/2019 si è di nuovo superata la soglia dei 60mila detenuti presenti, a dimostrazione che il trend non è mai cambiato e che le uniche flessioni dell’ultimo decennio sono dovute a cause contingenti e non a una precisa volontà politica.
Ma ecco che l’ennesima contingenza ci ha travolti, costringendo il governo a intervenire, seppure troppo timidamente, e dando all’opposizione l’occasione di urlare slogan senza prospettare soluzioni. Data la sostanziale impossibilità di rispettare le norme di distanziamento sociale in carceri troppo affollati, l’emergenza Coronavirus ha di fatto obbligato l’Italia ad allargare la platea dei beneficiari di misure alternative alla detenzione, riducendo la popolazione detenuta di 7.382 unità in cinque mesi: erano 53.387 i ristretti al 31 maggio 2020, ancora ben oltre quella che sarebbe la capienza regolamentare, pari a 50.472 posti. Sarebbe, appunto, perché sottraendo anche i posti calcolati ma non disponibili in ciascun penitenziario la capienza regolamentare effettiva scende a circa 47mila posti.
Ciò che stiamo vivendo avrà certamente ripercussioni sui dati che siamo soliti analizzare, portando probabilmente nei prossimi mesi a un calo di detenuti paragonabile a quello verificatosi tra il 2012 e il 2014. Sarebbe però sciocco illudersi che da tale esperienza la nostra classe dirigente possa trarre alcun tipo d’insegnamento. Superata (speriamo) l’emergenza, tutto tornerà come prima: i conservatori duri e puri andranno all’attacco, i conservatori un po’ meno conservatori non cambieranno niente per timore di apparire deboli e passivi, e noialtri, volenterosi, ingenui, idealisti, non smetteremo di credere nel Sol dell’Avvenire.
La situazione nelle carceri
Nel 2018 è iniziata una leggera flessione degli ingressi in carcere, sia totali che ex art. 73 DPR 309/90. Nel 2019 questi ultimi sono stati 13.677 (-441 rispetto al 2018, in calo del 3,1%) su 46.201 (-1.057, -2,2% sul 2018). Gli ingressi per violazione dell’articolo 73 restano dunque vicini alla soglia del 30%, dalla quale si sono di fatto discostati solo nel 2015, quando toccarono il valore assoluto e percentuale più basso (12.284 su 45.823, il 26,8%).
Tab.1 . Ingressi negli istituti penitenziari e ingressi per violazione art.73, DPR 309/90. (2005-2019)
Fonte: Dipartimento Amministrazione Penitenziaria – Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato – Sezione statistica
Nel 2008, in pieno regime Fini-Giovanardi, si toccò il picco di ingressi in carcere sia totali sia ex art. 73: rispettivamente 92.800 e 28.865 (31,1% del totale). Sebbene in questi 11 anni i numeri si siano dimezzati, è evidente che ancora oggi la normativa antidroga rimane trainante nei processi tanto di carcerizzazione quanto di deflazione penitenziaria.
Tab. 2 – Presenze in carcere al 31.12 e presenze ex art. 73 e 74, DPR 309/1990.
Valori assoluti e percentuali (2006-2019)
Fonte: Dipartimento Amministrazione Penitenziaria- Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato -Sezione statistica
Come anticipato in apertura, l’emergenza sanitaria ha già reso obsoleti i dati sulle presenze rilevati il 31/12/2019. Al 31 maggio infatti la popolazione detenuta è scesa a 53.387 presenti, di cui quasi un migliaio in semilibertà: un calo secco del 12,1% in 5 mesi.
Tuttavia, essendo la nostra analisi tesa a individuare un trend, molte cose possono essere dette riguardo i dati registrati il 31.12. Innanzitutto che i detenuti sono tornati a superare la soglia dei 60mila come non accadeva dal 2013. Rispetto all’anno precedente e per il quinto anno consecutivo sono aumentati anche i ristretti ex DPR 309/90. In compenso va restringendosi la forbice tra detenuti ex articolo 73 e quelli ai quali viene contestato (anche o soltanto) l’articolo 74. Ricordiamo che il 74 sanziona una condotta più grave (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze psicotrope) e che l’ancora ampia differenza tra ristretti ex art. 73 ed ex art. 74 è la rappresentazione plastica di quanto il nostro sistema di repressione si concentri sulla cattura di pesci piccoli senza riuscire a risalire la piramide della gerarchia criminale. Da questo punto di vista possiamo quindi registrare timidi segnali confortanti, pur in un quadro generale non troppo differente da quello degli anni passati.
In proposito, come nelle precedenti edizioni, lascio la parola agli esperti per meglio spiegare il cosiddetto Darwinian Trafficker Dilemma, ovvero il fenomeno che rende il proibizionismo addirittura utile ai consorzi criminali più potenti e organizzati, ripulendo il mercato dai competitor meno esperti e permettendo quindi ai primi di operare in una situazione di oligopolio. Per Jerome H. Skolnick, “la proibizione spazza via i trafficanti di droga marginali e meno efficienti, […] mentre i migliori, i meglio organizzati, quelli che corrompono di più le autorità, i più spietati e i più efficienti, sopravvivono”. E lo fanno in condizioni ideali, perché con minore concorrenza. Per Peter Reuter: “Laddove esiste un cartello di contrabbandieri esperti […], le sue prospettive sono migliorate da un’interdizione efficace, il cui peso ricade sproporzionatamente sui concorrenti meno agguerriti”. Secondo Nicholas Dorn e Nigel South, infine, “la minaccia di pesanti condanne consolida un sistema di rifornimento quasi inespugnabile; soltanto i dilettanti, i corrieri e gli operatori di basso livello sono soggetti a venire arrestati”.
Tab. 3 Numero di ingressi complessivi negli istituti penitenziari e ingressi di soggetti tossicodipendenti. Valori assoluti e percentuali. Serie storiche 2005-2019
Fonte: Dipartimento Amministrazione Penitenziaria – Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato -Sezione statistica
Crescono gli ingressi e le presenze di detenuti tossicodipendenti. In particolare gli ingressi raggiungono il 36,5% del totale e sono ormai in costante aumento da 4 anni consecutivi. Gli anni potrebbe in realtà essere 5, ma il dato relativo agli ingressi del 2015, pur essendo quello fornito ufficialmente dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, è troppo distante da quelli degli altri anni per essere attendibile e potrebbe essere dovuto a un cambio di metodologia nella rilevazione. Già dall’anno successivo si è tornati ad avere numeri più in linea con quelli registrati dal 2005 al 2014.
Per quanto riguarda la popolazione detenuta, dal 2007 ad oggi circa uno su 4 è tossicodipendente. In termini percentuali l’apice è stato raggiunto lo scorso anno, ma nel 2019 è stato raggiunto il valore più alto in termini assoluti: 16.934 detenuti tossicodipendenti (il 27,9%).
La presenza di tossicodipendenti in carcere rappresenta un grave problema sanitario dal momento che molti virus e malattie infettive possono colpire i tossicodipendenti in misura estremamente maggiore e che le strutture detentive del nostro Paese spesso non sono adeguate a dare supporto e a gestire chi ha gravi problemi di salute.
Tab. 4 – Detenuti presenti e detenuti tossicodipendenti al 31.12. Valori assoluti e percentuali.
Serie storiche 2006-2019.
Fonte: Dipartimento Amministrazione Penitenziaria – Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato -Sezione statistica
Simulazione popolazione carceraria senza detenuti ex art. 73 e senza tossicodipendenti
Dopo l’indulto del 2006, la popolazione carceraria è scesa da 59.523 detenuti (31.12.2005) a 39.005 (31.12.2006), con un tasso di affollamento pari a 91 (ossia 91 detenuti per 100 posti; l’anno prima era a 139).
Negli anni successivi si è registrato un progressivo ritorno alla situazione precedente, anche per effetto della piena vigenza della legge Fini-Giovanardi, che ha portato a un’impennata dei ristretti ex art. 73 DPR 309/90. Il picco massimo di affollamento carcerario si è avuto nel 2010, quando erano presenti 151 detenuti ogni 100 posti disponibili.
Dopo la condanna CEDU per il caso Torreggiani (2013) la popolazione carceraria è diminuita fino ai 52.164 detenuti presenti al 31.12.2015 (tasso di sovraffollamento 105), ma da allora il trend è stato in costante aumento: al 31.12.2019 il tasso di sovraffollamento è salito fino a 120, un anno prima era a 118, quello prima ancora a 114.
A seguito della pandemia mondiale nella quale il nostro Paese si è trovato coinvolto in prima linea si è reso necessario decongestionare il sistema carcerario: il tasso di sovraffollamento è quindi sceso a 106 ma è chiaro che, se si vuole far rispettare le norme di distanziamento fisico e garantire la sicurezza e la salute tanto dei detenuti quanto di chi in carcere lavora, debba scendere ancora.
A prescindere da questo ultimo risvolto (che abbiamo comunque preferito inserire nel grafico pur non avendo i dati su ristretti ex art. 73 e tossicodipendenti aggiornati al 31 maggio), le tabelle qui sotto sono il risultato di due simulazioni volte a comprendere, in maniera molto grossolana, quanto influisca la proibizione sul sovraffollamento carcerario.
Nella prima simulazione abbiamo scorporato i detenuti ex art. 73 dal resto della popolazione carceraria.
Fig. 1 Simulazione popolazione carceraria senza detenuti tossicodipendenti
Come si può notare, dal 2005 a oggi soltanto nel biennio 2010-11 il numero di detenuti avrebbe raggiunto e superato la capienza regolamentare (46.328 detenuti per una 45.022 posti, un tasso di sovraffollamento di 103). Il tasso di sovraffollamento al 31.12.2019 sarebbe pari a 91 contro il reale 120 (-29 punti percentuali). Va segnalato che sono stati scorporati solamente i detenuti ex art. 73 e non anche i detenuti ex artt. 73 e 74 né i detenuti ex art. 74.
Al 31 maggio 2020, il tasso di sovraffollamento è sceso a 106. Non essendo disponibili i dati relativi ai ristretti ex art. 73 aggiornati alla stessa data non è stato possibile procedere con la simulazione. Ipotizzando però anche per loro un calo percentuale identico a quello registrato sul totale dei detenuti (-12,1%) risulta che il tasso di sovrappopolazione senza ristretti ex art. 73 sarebbe di appena 81 detenuti per 100 posti disponibili, il che garantirebbe una più semplice gestione in questo periodo di emergenza.
Nella seconda simulazione abbiamo scorporato i detenuti tossicodipendenti dal totale.
Fig. 2 Simulazione popolazione carceraria senza detenuti tossicodipendenti
Come si può notare, la capienza regolamentare senza di essi sarebbe stata superata solo negli anni che vanno dal 2009 al 2012, e al 31.12.19 il tasso di sovraffollamento sarebbe a 86 (-34 punti percentuali). Seguendo il metodo indicato prima, per il 31 maggio 2020 possiamo ipotizzare un tasso pari a 76 su 100.
La situazione nei tribunali
La tabella 5 mostra il numero di persone con procedimenti penali pendenti per detenzione, spaccio o per appartenenza a organizzazioni criminali dedite al traffico di sostanze stupefacenti. Registriamo rispetto allo scorso anno un calo dell’1,7% per quanto riguarda i procedimenti per articolo 73 e un calo del 3% per l’articolo 74.
Tabella 5. Persone con procedimenti penali pendenti per violazione artt. 73 e 74 DPR 309/90 al 31.12.
Serie storica 2005-2019
Fonte: Ministero della Giustizia. Dipartimento per gli affari di giustizia
Da notare la corrispondenza inversa tra il decremento registrato tra il 2014 e il 2015 e l’incremento registrato tra il 2006 e il 2007, a ridosso della prima applicazione della Fini-Giovanardi: è possibile ipotizzare che il più grave trattamento sanzionatorio della detenzione di cannabinoidi previsto dalla legge del 2006 tanto abbia influito sull’incremento delle persone sottoposte a procedimento penale tra il 2006 e il 2007 quanto la sua caducazione a opera della Corte costituzionale nel 2014 ha influito sulla riduzione dei soggetti sottoposti a procedimenti penali. Purtroppo l’effetto benefico della sentenza è stato presto vanificato da un nuovo trend in aumento interrottosi solo quest’anno.
Le misure alternative alla detenzione
Dal 2006 a oggi si è verificata una crescita costante delle misure alternative. Erano 3.592 nel 2006, sono quasi triplicate nel giro di 3 anni (10.332 nel 2009), hanno quasi toccato quota 30mila al 31.12.2019. Va tuttavia considerato che nel 2006 i detenuti non arrivavano a 40mila, mentre a fine 2019 eravamo a oltre 60mila, il che farebbe pensare che le misure alternative abbiano finito per diventare un’alternativa alla libertà anziché alla detenzione, inverando la teoria del net widening, secondo cui – in un contesto di forte domanda di controllo sociale istituzionale – gli strumenti di diversion e quelli di probation consentono di ampliare l’area del controllo, piuttosto che di limitare quello coattivo-penitenziario.
Tabella 6. Condannati sottoposti a misura alternativa al 31.12 (2006-2019).
Fonte: Dipartimento della Giustizia minorile e di comunità – Direzione generale dell’esecuzione penale esterna. * Dato al 15 dicembre 2019.
** A questi vanno aggiunti 4 condannati militari, non presenti in tabella. Il totale ammonta quindi a 28.031. *** A questi vanno aggiunti 2 condannati militari, non presenti in tabella. Il totale ammonta quindi a 29.601.
C’è un altro dato che salta all’occhio: se per l’affidamento ordinario quasi 3 su 4 non vanno affatto in carcere (sono cioè affidati in prova dallo stato di libertà), la proporzione cambia radicalmente quando si parla di affidati alcoldipendenti e tossicodipendenti. Di questi, esattamente 2 su 3 assaggiano il carcere prima di poter accedere alla misura alternativa dell’affidamento in prova.
La punizione in via amministrativa del mero consumo di sostanze illegali
La tabella 7 è dedicata alle segnalazioni ex art. 75 ovvero al possesso di sostanze stupefacenti per uso personale, una condotta che non ha rilevanza penale ma è soggetta a sanzioni di tipo amministrativo.
Tab. 7 – Segnalazioni ex art. 75 DPR 309/90 in valori assoluti, distinte per genere, età, provvedimento adottato. Serie storiche 2007-2019
Fonte: Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Politiche del Personale dell’Amministrazione Civile e per le risorse Strumentali e finanziarie – Direzione
Centrale delle Risorse Umane – Ufficio XI – Centro Studi, Ricerca e Documentazione
Il 2019 fa registrare il più alto numero degli ultimi 11 anni sia in termini di persone segnalate (41.744) che di segnalazioni (43.793). Il brusco calo del biennio 2014-2015 si è rivelato transitorio: nel 2015 i segnalati erano stati “appena” 27.718, di cui 1.125 minori. In quattro anni c’è stato un aumento generale del 50,6%, mentre i minori segnalati sono poco meno che quadruplicati. Su questi dati ha certamente influito l’ardore securitario dei Ministri dell’Interno Minniti e Salvini, in carica rispettivamente dal 12 dicembre 2016 al 1° giugno 2018 e dal 1° giugno 2018 al 5 settembre 2019. Durante i loro mandati, imperniati sul machismo e la tolleranza zero (come sempre, riservata ai più deboli) è probabile siano stati intensificati i controlli e, di conseguenza, sono aumentate le segnalazioni.
Da sottolineare una piccola ripresa delle richieste di programma terapeutico conseguenti alla segnalazione all’autorità amministrativa, in costante diminuzione dal 2007, che per la prima volta tornano ad aumentare: nel 2007 erano 3.008, nel 2018 hanno toccato quota 82, ma l’ultimo anno sono risalite a 202, probabilmente anche a causa del maggior numero di segnalazioni.
In merito bisogna dire che le finalità della segnalazione al prefetto, oltre quella di applicare la sanzione amministrativa, sarebbero quelle di prevenire l’uso da parte di coloro che non sono assuntori di droga, impedire o ridurre l’uso da parte di quanti sono abituali consumatori e favorire il recupero di consumatori abituali e di tossicodipendenti. Viene allora da chiedersi il perché di un simile crollo delle richieste di programma terapeutico; ciò che emerge è la fattuale inadeguatezza dello strumento in relazione alle finalità che s’intenderebbe perseguire.
Tab. 8 – Persone segnalate per art. 75, per sesso e sostanza. Valori assoluti e percentuali. Anno 2019
Fonte: Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Politiche del Personale dell’Amministrazione Civile e per le risorse Strumentali e finanziarie – Direzione Centrale per le Risorse Umane – Ufficio XI – Centro Studi, Ricerca e Documentazione
* Il totale effettivo delle persone segnalate è quello riportato nella Tabella 7. I dati non coincidono perché, qualora una persona sia segnalata ex art. 75 per consumo di più di una sostanza, nella Tabella 8 finirebbe per risultare più volte (+1 per ogni sostanza).
In meno di 30 anni ci sono state oltre un milione e 300mila segnalazioni, una media di oltre 44mila segnalazioni all’anno, circa 120 al giorno. Di queste, 961.551, quasi 3 su 4, sono per cannabinoidi. Seguono l’eroina con 149.879 segnalazioni (11,42%) e la cocaina con 140.301 (10,69%).
Da notare che negli ultimi anni la cocaina ha fatto registrare un numero di persone segnalate di gran lunga superiore all’eroina. Non fa eccezione il 2019 (Tabella 8). Se il ritmo resterà tale, nel giro di 2 o 3 anni la cocaina sarà la seconda sostanza per numero di persone segnalate.
Tab. 9 – Segnalazioni ex art. 75 dall’11.7.1990 al 31.12.2019, per sesso e sostanza.
Fonte: Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Politiche del Personale dell’Amministrazione Civile e per le risorse Strumentali e finanziarie – Direzione Centrale delle Risorse Umane – Ufficio XI – Centro Studi, Ricerca e Documentazione
La centralità della cannabis nella war on drugs
Inequivocabile è la centralità dei cannabinoidi nella war on drugs, ulteriormente confermata dai dati annuali rilasciati dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga riguardanti numero di operazioni e chilogrammi sequestrati. Nell’arco di 15 anni, dal 2004 al 2018, sono state condotte 320.643 operazioni antidroga; di queste, 171.034 hanno riguardato la cannabis (il 53,3%).
Fig. 3 Numero operazioni delle Forze dell’ordine per tipologia di sostanza
Fonte: Direzione Centrale per i Servizi Antidroga
Nello stesso lasso di tempo sono state sequestrate quasi 850 tonnellate di cannabis e derivati contro meno di 66 tonnellate di cocaina e neanche 17 di eroina.
L’attività di contrasto al traffico e al consumo di sostanze stupefacenti si rivela quindi molto più efficace nella lotta alle droghe leggere che non alle sostanze più dannose; questo dipende in parte dalla prevalenza in termini di consumo, ma non solo. Va anche tenuto conto del diverso stato fisico delle sostanze: le droghe pesanti sono polveri solubili che, oltre a poter essere adulterate, possono essere nascoste e contrabbandate più facilmente (ad esempio sciogliendole in prodotti liquidi o tessuti) e, in caso di perquisizioni, è più semplice farle sparire. Non altrettanto può dirsi della marijuana, il cui stato fisico ne rende complicato il contrabbando, l’occultamento e l’eventuale eliminazione in caso di controlli.
Si noti come, nel periodo di vigenza della Legge Fini-Giovanardi (inizio 2006 – inizio 2014), le curve del numero di operazioni per cannabis e per altre sostanze divergano, raggiungendo la forbice massima proprio a fine 2013. Questo per sottolineare come l’aver equiparato con quel provvedimento i derivati della cannabis a sostanze più pericolose come eroina e cocaina ha portato ad una maggiore attenzione delle Forze dell’Ordine sulle droghe cosiddette leggere, di fatto disimpegnando l’attività di contrasto verso le altre sostanze. Per queste il numero delle operazioni, nell’intervallo considerato, è sceso (e continua a scendere per l’eroina).
Va inoltre considerato che, come ogni altro operatore commerciale, le consorterie criminali hanno il preciso scopo di ottimizzare il rapporto tra costi (e rischi) e profitto. Come scritto da Giancarlo Arnao nel suo libro Proibito capire e come documentato anche da fonti governative quali il NIDA (National Institute on Drug Abuse), la strategia proibizionista può avere riflessi sull’offerta di droga, causando il fenomeno della diversione: la repressione, anziché comprimere il mercato delle sostanze illegali, ne determinerebbe una trasformazione, attraverso una razionalizzazione produttiva che porta i trafficanti a scartare prodotti a basso profitto e più rischiosi, come la cannabis, per concentrarsi su quelli ad alto profitto (eroina, cocaina e derivati).
Trattare allo stesso modo, o in modo simile, sostanze molto diverse tra loro può portare quindi a distorsioni piuttosto dannose dell’offerta, che possono a loro volta influenzare in una certa misura la domanda.