Una prima osservazione circa il numero abbastanza stabile negli anni dei servizi pubblici (SerT e poi SerD), quale emerge dalle Relazioni al Parlamento degli ultimi anni: questo dato è solo in parte affidabile perché i servizi pubblici in questi anni sono stati riorganizzati e sempre più accorpati, con una riduzione degli operatori importante. Non solo: in alcune regioni alcuni servizi sono stati inquadrati sotto il Dipartimento di Salute Mentale e quindi talvolta riorganizzati anche come servizi attivi e specialistici diversificati (la distribuzione del metadone spesso avviene in luoghi diversi dal resto delle cure psicoterapeutiche, il gioco e l’alcool in ambiti diversi dal resto etc).
Non esiste un unico modello di servizio e ogni regione ne ha uno proprio. Nella Relazione 2017 è presente una tabella che mostra grandi differenze fra regioni quanto a percentuale di servizi in rapporto al bacino di popolazione: si va dal Friuli, con un rapporto SerD-numero di residenti di 1 a 200.000, al Piemonte e Puglie con 1 a circa 70.000.
Quanto allo stato dei servizi del privato sociale, il dato che la Relazione offre per il 2016 (il 70% dei servizi di tipo residenziale, ossia comunità terapeutiche) è di nuovo impreciso, poiché il sistema si sta piano piano evolvendo ma con enormi differenze nei numeri e nelle tipologie dei servizi esistenti. Basta dire che passiamo da circa 14 tipologie di servizi della Lombardia ai solo 2 tipi della Calabria. Inoltre non si citano i 10 Sert privati (SMI) della Lombardia.
Nuove domande e vecchie risposte
Per quanto riguarda l’evoluzione dei fenomeni di abuso e della non sempre congrua conseguente domanda di presa in carico, potremmo sintetizzarla su due filoni:
un aumento per quantità e tipologia di sostanze (NPS, nuove meta anfetamine, nuova massiccia produzione di eroina nel 2017, nuovi mix etc.)
molte diversificate modalità d’uso a rischio addiction (nuove modalità d’uso per l’alcool, policonsumi, gioco d’azzardo ecc.), ma anche sempre di più un’offerta di mercato mirata per target e contesti di consumo, sempre più capillare (una sorta di grande drugstore illegale con mix di sostanze legali).
Tale strategia di diffusione dei mercati porta una maggiore esposizione alle droghe soprattutto per i più giovani, col risultato di un mix continuo tra sostanze, di diverse modalità di comportamenti additivi, di una prossimità fra stili di vita legali ed illegali. Prevalgono i policonsumi, con modelli d’uso sempre più specifici a seconda dei gruppi (giovani o meno, donne, giovanissimi etc.) e del contesto d’uso (le scene del divertimento notturno, della vita quotidiana nei rioni dove si abita, nelle scuole, negli ambienti di lavoro, anche in fasce di persone più vulnerabili etc.).
Ne consegue una diversificazione della domanda ai servizi, specie per i nuovi utenti: aumenta la richiesta di anticipazione della presa in carico, in modo da abbreviare il periodo intercorrente fra consumo e dipendenza e lo sviluppo di problematiche complesse e gravi (attualmente di almeno 6 /10 anni).
Non sempre queste domande diversificate trovano risposta, sia per la necessità di sviluppare nei servizi nuove competenze rispetto al policonsumo, alla cocaina nelle sue varie forme, ai vari mix, al gioco d’azzardo; sia per la necessità di un’organizzazione dei servizi articolata, ad esempio per orari di apertura compatibili con il mondo del sommerso, con una maggiore offerta di servizi di prossimità ai mondi del consumo e di presa in carico precoce e con tipologie di trattamento più brevi e meno gravose.
Questo quadro induce a chiedersi se abbia ancora senso parlare di trattamento in Comunità terapeutica o nei SerD, secondo le classificazioni classiche proposte dalla Relazione al Parlamento, intendendo così una tipologia unica di servizio e di offerta di cura. Appare sempre più indispensabile interrogarsi su quali possano essere i necessari nuovi parametri di classificazione per servizi profondamente diversificati tra loro (per tipologie di intervento, tempistiche di presa in carico, composizione di equipe, utilizzo o meno di farmaci sostitutivi, complementari o integrativi). Basti ricordare in questo senso, le circa 14 tipologie accreditate del privato sociale per la cura delle dipendenze in Lombardia a fronte delle uniche due della regione Calabria.
Pur nella profonda differenza di offerta tra le varie regioni italiane, permane però ovunque una età media alta degli utenti, con uno scarso ricambio e una permanenza breve in trattamento delle nuove utenze (per abuso di cocaina, di cannabis, NPS, Meta anfetamine, alcool etc). Nuove utenze che nella gran parte non appartengono alla categoria della tossicodipendenza da eroina e che richiedono percorsi diversi, individuali e innovativi. L’età media sempre più alta è dovuta a quel più del 60 % delle persone in carico ai servizi con modelli “classici” (in comunità terapeutica con permanenza di 18/30 mesi e somministrazione di farmaci sostitutivi a bassa evolutività). Queste persone, in buona parte consumatori “altamente problematici” (i cosiddetti cronici o non responder), sono sottoposte a trattamenti ripetuti, per periodi lunghi o molto lunghi. I “nuovi consumatori” hanno difficoltà ad accettare l’offerta di servizi così organizzati e saturati.
Abbreviare i tempi della presa in carico
Un problema strutturale quindi è rappresentato da quella parte di consumatori e di bevitori problematici di cui si è detto che non sono attualmente conosciuti e “agganciati” dal sistema dei servizi. La presa in carico avviene spesso con anni di divario e con motivazioni di accesso prioritariamente legate a gravi compromissioni fisiche e delle relazioni, o a problematiche legali. È sempre più evidente la necessità di un aggiornamento del sistema dei servizi verso una strategia di intervento volta al monitoraggio continuo dei fenomeni, all’attivazione di un intervento precoce e di allerta integrato volto al contenimento dei rischi connessi a tali consumi e ad un avvio ai servizi ove necessario. Questa rivisitazione del sistema richiederebbe una conoscenza approfondita di tali fenomeni nel loro complesso, per la quale i soli strumenti epidemiologici non bastano; e un adeguamento del modello di cura “classico”: si parla di circa 8/10 anni dal momento del primo consumo all’eventuale accesso ai servizi, con una permanenza in trattamento che arriva fino a 20/25 anni.
La realtà dei modelli di consumo differenziati, tra “vecchie” tossicodipendenze e nuovi giovani abusatori, è rilevabile nelle numerose rinate “scene della droga” e dello spaccio: si vedano Rogoredo e Parco delle Groane a Milano, con i suoi circa 600/800 consumatori al giorno presenti; oppure Prato in Toscana o ancora Scampia a Napoli. Non trascurabili però sono anche i nuovi mercati via internet per le sempre diverse Nuove Sostanze Psicoattive-NPS (l’Europa ne ha monitorate 600 nuove negli ultimi 4 anni).
Un sistema costruito prioritariamente sulla tossicodipendenza da eroina si sta dunque interrogando su nuovi modelli operativi per adeguarsi una situazione più complessa. Sarebbe necessario mettere in pratica quello che l’Osservatorio Europeo raccomanda nel suo ultimo Report: il varo di una nuova strategia europea sulle droghe e le politiche giovanili per il periodo 2014 -20, a favore una integrazione dei 4 pilastri ( prevenzione, cura, Rdd e Rdr, controllo dell’offerta), superando gli approcci ideologici e datati; con una valutazione socialmente e scientificamente rigorosa delle misure necessarie per affrontare i fenomeni, e tutelando i diritti dei consumatori e della società nel suo complesso. In una logica di poli consumo diffuso o di consumi con fasi diversificate nel corso della vita, la stessa categoria di sostanza primaria o secondaria (usata dai servizi e dalla stessa Relazione al Parlamento) è superata.
Il mondo dei consumi psicoattivi quindi, è fluido e cambia costantemente. Se è vero che le sperimentazioni e gli abusi si modificano nel tempo e sembrano essere condizionate tanto dalle mode e dal mercato, quanto dai bisogni e dalle scelte individuali, è però anche evidente che è in costante incremento proprio quella minoranza di giovani che con un uso/abuso quasi quotidiano di sostanze, in diversi contesti (loisir, lavoro, etc.) è fortemente a rischio di sviluppare dipendenza o altre problematiche, con modalità diverse rispetto a 20 anni fa. Quindi, gli interventi di prossimità ai luoghi ed ai contesti di maggior consumo diventano fondamentali e l’inserimento della Riduzione del danno e dei rischi nei Livelli Essenziali di Assistenza–LEA sembra andare in direzione di un loro rafforzamento. Attualmente invece i servizi ed i progetti di riduzione del danno e dei rischi non superano i 120 circa in tutta Italia e sono in stato di precarietà.
La RdD è un modello capace anche di affrontare le nuove tendenze di consumo e di trasmettere la consapevolezza dei rischi, così come è accaduto per l’uso consapevole per l’alcol ed anche per il gioco d’azzardo.