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La Riduzione del danno/Limitazione dei Rischi (RdD), secondo la letteratura internazionale e le linee guida europee è, insieme, un approccio, una politica e un sistema di interventi e mira a ridurre le conseguenze negative del consumo di droghe, legali e illegali, sul piano della salute, sociale ed economico, per i singoli, le comunità e la società (EMCDDA[1]) È inoltre una politica “fortemente inserita negli ambiti della sanità pubblica e dei diritti umani”. Dagli anni ’80 la RdD ha ridisegnato le politiche sulle droghe in tutto il mondo[2], e soprattutto in Europa, dove è entrata a far parte strutturalmente sia della Strategia che dei Piani d’Azione comunitari sulle droghe[3], ed è considerata pilastro fondante delle politiche dell’Unione. Attorno alla RdD si svolge – e si scontra – anche il dibattito globale in sede ONU[4]: l’ormai evidente scacco delle politiche basate sulla war on drugs, e più ancora i loro effetti paradossali di massimizzazione dei danni correlati (sui piani della salute, dei sistemi giudiziari e penali, dei diritti umani, nonché economici, della macrocriminalità e della coesione sociale)[[5]] trova nella RdD una alternativa praticabile. Come approccio, infatti, essa vede l’uso di droghe come fenomeno sociale complesso, ampiamente normalizzato, non riducibile in termini di malattia o, peggio, di devianza, e caratterizzato da una pluralità di modelli di consumo, la maggioranza dei quali compatibili con la vita dei singoli e delle comunità. La prospettiva della RdD è, in questo scenario, pragmatica e realistica: promuove un governo del fenomeno (versus l’ideologica e impraticabile meta del “consumo zero”) attraverso due, interconnesse, direttrici: la valorizzazione e la costruzione di contesti di minimizzazione del rischio e del danno, grazie a politiche e interventi negli ambiti sociale, sanitario, normativo e dei contesti urbani; e la promozione e il sostegno delle competenze e delle strategie di chi consuma, mirate a un uso più sicuro, autoregolato, sostenibile. Agisce nelle dimensioni delle droghe, del set (i consumatori, le loro motivazioni e aspettative circa il consumo), e del setting (i contesti, sia le culture sociali del consumo, sia le cornici istituzionali come le legislazioni, i sistemi dei servizi). La RdD opera in un continuum con la cura, ampliando oltre l’obiettivo unico dell’astinenza – non praticabile o desiderabile per molti – il ventaglio dei possibili obiettivi perseguiti dai consumatori a tutela della salute e del benessere. La mutevole mappa dei consumi, insieme al rapido processo della loro diffusione e normalizzazione in quote crescenti di popolazione, fanno della RdD la politica più promettente sotto il profilo del governo reale, praticabile del fenomeno.
Sul piano degli interventi, la RdD si caratterizza per la bassa soglia di accesso dei servizi, una relazione client oriented, l’assenza di percorsi prestabiliti, la negoziazione di obiettivi sostenibili per il consumatore, adeguati ad ogni fase della sua traiettoria del consumo. Sono servizi flessibili e continuamente ridisegnati in base alla ricerca aggiornata su modelli e culture del consumo e sui rischi e danni ad essi correlati. Sulle evidenze di efficacia, efficienza e adeguatezza delle politiche e dei servizi di RdD esiste oggi una vastissima letteratura scientifica, esito di studi e pratiche trentennali, su cui si basano le linee guida europee dell’EMCDDA[[6]] in tema di limitazione di morti per overdose e della diffusione delle malattie trasmissibili, contenimento di altri rischi sanitari correlati, promozione di stili di consumo più sicuri, limitazione dell’impatto sociale (economico, lavorativo, di coesione) sia sul piano individuale che sociale, contenimento dei comportamenti illegali e relativa penalizzazione, attenuamento dello stigma e dell’esclusione. Senza contare l’impatto positivo sull’ambiente urbano (contenimento dell’uso a scena aperta e gestione delle movide) e i costi sanitari e sociali che la RdD contribuisce a contenere.

Lo stato dell’arte della RdD in Italia

L’anomalia italiana vede un paese – alcune Regioni e municipalità, servizi pubblici e privati, associazioni della società civile – dove la RdD si pratica dalla metà degli anni ’90 (allora in risposta alle drammatiche crisi dell’HIV/AIDS e delle overdose da eroina), con risultati positivi e buone pratiche, e, di contro, una politica nazionale assente, che depriva politiche locali e sistemi di intervento di una cornice di indirizzo e di un sostegno politico (e economico) chiaro e continuativo, quando – e non raramente, a fasi alterne – esplicitamente non osteggia la RdD impedendone l’implementazione.
Le ragioni sono di tipo paradigmatico e ideologico, e anche strumentale (le droghe come “tema sensibile” nel dibattito politico istituzionale), variano con il variare dei governi, in una costante, critica e autolesionistica incapacità di dialogo sia con le evidenze che con gli attori sociali competenti e protagonisti. Il risultato è la geografia disuguale di seguito descritta: regioni (poche) dove la RdD è diventata sistema, regioni dove si pratica saltuariamente e in maniera insufficiente, regioni dove la RdD non viene nemmeno declinata. E, non secondariamente, anche laddove la RdD si implementa, l’enorme difficoltà a mantenerne la continuità e la capacità di innovazione: senza innovazione tempestiva e flessibilità, la RdD perde la sua efficacia, perché i rischi e i danni di cui si occupa sono specifici, situati e progressivi, come dice il discorso scientifico. Una mappa che espone chi consuma droghe e le comunità locali stesse a un pesante divario nella esigibilità del diritto alla salute e al benessere e all’accesso ai servizi, nonché nei costi umani, sociali, economici pagati non “alle droghe” ma a politiche inefficaci sulle droghe.
L’ultima Conferenza nazionale triennale su droghe e dipendenze (istituita dal TU 309/90) che ha tematizzato la RdD, coinvolto gli attori sociali e lavorato con approccio multilivello è quella tenuta a Genova nel 2000. Nei seguenti 18 anni sono state tenute solo due Conferenze, Palermo 2005 e Trieste 2009, disertate se non apertamente contestate (come nel 2009) da chi la RdD la promuove e pratica in aperto conflitto con un Dipartimento Politiche Antidroga (DPA) di orientamento iperproibzionista che aveva vietato l’utilizzo stesso del termine RdD[7]. Il Piano Nazionale sulle droghe è fermo al 2010, formulato da quello stessa direzione DPA ed esclude la RdD dalle politiche nazionali. Per altro, nel 2009, non vi è stato accordo nemmeno tra DPA, Regioni e Terzo settore, e la RdD è stato allora uno dei terreni di dissidio. Le Linee Guida nazionali della RdD – elaborate in fasi precedenti, nel 2000 e nel 2008, da tavoli tecnici partecipati presso i Ministeri della Sanità e delle Politiche sociali allora competenti- non sono mai stati adottati a causa del turn over dei governi. La Relazione al Parlamento – che ha la funzione di fornire la conoscenza necessaria ai decisori politici – non prevede un capitolo specifico dedicato alla RdD e al monitoraggio dei suoi servizi, se non parzialmente nelle Relazioni 2015 e 2016 grazie all’attivazione – volontaria – di Terzo Settore[8].
Questo in uno scenario di forti sfide e cambiamenti nei consumi, nei contesti, nei rischi e nei danni: scenari dove, per rapidità e radicalità dei cambiamenti, 18 anni sono una eternità.

I Livelli Essenziali di Assistenza, primo passo per colmare i vuoti

Il solo fattore di novità in questo scenario è l’introduzione nel 2017 nei LEA, Livelli Essenziali di Assistenza, degli interventi di RdD[9]. Un passaggio positivo, che arriva dopo una lunga stagione di mobilitazione e di advocacy del variegato movimento che sostiene e promuove la RdD in Italia[10]. I LEA della RdD sono, insieme, un fatto politico e tecnico: politico, perché un livello essenziale è una prestazione garantita a tutti i cittadini, ovunque vivano, a sostegno della esigibilità di un diritto, il diritto alla salute; tecnico, perché la sua declinazione porta a stabilire quali servizi e quali prestazioni siano da garantire, e con quali standard. I LEA – che le Regioni dovranno declinare e garantire – dovranno pertanto colmare i vuoti della geografia disuguale prima descritta. Il primo passo è dunque questo: lavorare a livello nazionale e regionale perché i LEA siano definiti, garantiti, monitorati, finanziati[11]. Un lavoro che è già in corso e su cui anche operatori e società civile si stanno attivando e dialogano con le istituzioni responsabili[12]. Ma i LEA si inseriscono anche in una situazione paradossale: la RdD diventa “essenziale” ma non è sancita nelle politiche nazionali, solo in alcune di quelle regionali e, soprattutto, non compare nel Piano nazionale e non vi è un documento di indirizzo (né del DPA, né di Ministeri competenti, né della Conferenza delle Regioni) che orienti le scelte in materia.
A questo va posto rapidamente rimedio: convocando (dopo nove anni!) una Conferenza nazionale con tutti i criteri di partecipazione e pluralità scientificità che ponga la RdD al centro; aggiornando finalmente (dopo 9 anni!) il Piano nazionale; elaborando un Atto di indirizzo della Conferenza delle Regioni; includendo la RdD tra i settori oggetto di monitoraggio e valutazione (SIND e Osservatorio DPA [13]); riformulando i sistemi dei servizi per le dipendenze (che da tempo non possono più basarsi sulla formula ambulatori SerD-Comunità terapeutiche, tipica del secolo scorso) e dotandoli delle necessarie risorse; promuovendo una ricerca capace di aggiornare costantemente la conoscenza degli stili di consumo in ottica di innovazione delle politiche; garantendo e valorizzando la voce, le competenze e il contributo di tutti gli attori della RdD, operatori, ricercatori, consumatori, amministratori, associazioni della società civile. E, più a monte, riprendendo in mano la proposta di riforma del TU309/90 già avanzata dalle associazioni, verso una reale depenalizzazione delle condotte di consumo: perché, in ottica di RdD, la repressione è tra i più influenti fattori di massimizzazione dei rischi e dei danni droga correlati.

Note

  1. EMCDDA (2010) HarmReduction. Evidence, impact and challenge, http://www.emcdda.europa.eu/publications/monographs/harm-reduction ; EMCDDA, Annual Reports, http://www.emcdda.europa.eu/publications-database?f[0]=field_series_type:404
  2. Harm Reduction International, Global State of Harm Reduction Reports, in https://www.hri.global/global-state-of-harm-reduction-reports
  3. Strategia dell’Unione europea in materia di droga (2013-2020), http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52012XG1229(01) Piano d’azione dell’UE in materia di lotta contro la droga (2017-2020) https://ec.europa.eu/italy/news/20170315_piano_ue_lotta_drogra_it
  4. Verso Vienna 2019, in https://vienna2019.fuoriluogo.it
  5. Sui diversi aspetti del danno correlato alle politiche globali vedi i Report annuali della Global Commission on Drugs, http://www.globalcommissionondrugs.org/reports
  6. EMCDDA (2010), cit; EMCDDA – Harm Reduction Topics Page, http://www.emcdda.europa.eu/topics/harm-reduction
  7. Durante l’Assemblea generale ONU sulle droghe di Vienna 2009 fu il governo italiano a rompere il fronte riformista europeo proprio rifiutandosi di inserirei nel documento comunitario unitario il termine RdD.
  8. Vedi nota 7
  9. DCPM del 12 gennaio 2017 pubblicato in G.U. Serie Generale , n. 65 del 18 marzo 2017
  10. Tra questi, il Cartello di Genova, attivo dal 2014. Per informazioni sulle attività di advocacy per la RdD https://www.fuoriluogo.it e www.itardd.org
  11. Un lavoro in questa direzione è stato quello svolto in Piemonte dal Gruppo Tecnico RdD, composto da rappresentanti dei Dipartimenti pubblici, Terzo Settore e Associazioni della società civile, che ha redatto i LEA RDD regionali, https://www.fuoriluogo.it/oltrelacarta/lea-della-rdd-in-piemonte/#.WwbjpvmFPIU
  12. https://rdd-fuoriluogo.it
  13. Il rinnovato Osservatorio del DPA dovrebbe produrre un primo monitoraggio, richiedendo i dati alle Regioni, e includerlo nella Relazione 2018.

LA RIDUZIONE DEL DANNO IN ITALIA, I DATI DISPONIBILI

Una cartografia disuguale. La rilevazione compiuta dal CNCA (CNCA, 2015 e CNCA – Forum Droghe, 2016, capitoli La riduzione del danno in DPA, Relazione annuale al Parlamento 2015 e 2016, in http://www.politicheantidroga.gov.it) è l’unica fonte di dati sulla RdD inclusa nelle Relazioni al Parlamento 2015 (dati 2014) e 2016 (dati 2015); nel 2017 la rilevazione CNCA non è stata effettuata e nella Relazione non compare alcun capitolo dedicato alla RdD. I dati forniti su utenti e prestazioni risentono della mancanza di un sistema di monitoraggio a regime, sia nei singoli servizi che in molte Regioni, e sono pertanto incompleti.
Monitoraggio 2016 (dati 2015): ha raggiunto 115 servizi di RdD, di cui 104 forniscono dati. Servizi rilevati: Unità mobili RdD (UMRdD), e LdR nei contesti del divertimento (UMLdR), Dropin e Altre tipologie. Le prestazioni rilevate: siringhe distribuite e raccolte, profilattici distribuiti, fiale di Naloxone distribuite, test rapidi per HIV effettuati, etilometri distribuiti, drug checking, counselling, invii ai servizi, accompagnamenti.
Su 20 regioni, 5 non forniscono dati (Valle d’Aosta, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata). Tra le rimanenti 15, hanno il maggior numero di servizi Lombardia (20), Lazio (18), Piemonte (11) ed Emilia Romagna (11).
Questa numerosità non è sempre in funzione della popolazione, regioni popolose come Veneto e Campania hanno un numero minore di servizi (6 e 7) e la Sicilia non fornisce dati. 3 regioni hanno un solo servizio, 4 tra 2 e 5 servizi. Non hanno nemmeno un drop in 3 regioni su 15, 5 ne hanno uno soltanto e 4 regioni solo 2. Non hanno UMRdD 4 regioni su 15 e UMLdR 5 regioni, mentre altre 5 contano un solo intervento: dato allarmante se si pensa che questi servizi si occupano di consumi giovanili e di massa.
Su 84 servizi analizzati in maggior profondità, solo 2 hanno fondi privati, la totalità ha finanziamenti pubblici (ASL 18, il 21,4%; Regione 50, il 59,5%; Municipalità 14, il 16,7%) e gestione pubblica nel 33,3% dei casi, del privato sociale nel 66,7%. Contatti nell’anno 2015: 901.730, numero medio di 10.735 contatti per servizio per una stima di 60.000 persone circa(dato sottostimato per mancanza di rilevamento in molti servizi).
Monitoraggio 2015 (dati 2014): nel 2014 meno di un terzo dei servizi di RdD aveva una certezza di continuità, la maggior parte (il 38%) contava su una copertura economica tra uno e due anni, il 22% di due anni e l’11% meno di un anno. Se si confrontano i dati delle due annualità, si rileva un calo nei servizi monitorati (rilevati nel 2014 189 di cui 115 rispondenti al monitoraggio, rispondenti nel 2016 104) e una sostanziale staticità tra regioni: quelle che attuavano la RdD continuano ad attuarla, magari subendo tagli al budget, quelle che non lo facevano non hanno implementato alcun nuovo servizio.

Rdd in Italia Placeholder
Rdd in Italia

SERVIZI E INTERVENTI DI RDD – UNA MAPPA PER I POLICY MAKER

Gli interventi di RdD operano in un continuum nell’ambito del sistema complessivo dei servizi, avvalendosi di a) servizi specifici strutturati b) interventi e prestazioni mirati che possono essere erogati in contesti diversi (servizi specifici RdD, SerD e altri servizi del trattamento e della prevenzione, servizi sociali, e sul territorio e nei setting del consumo)
Servizi
Servizi a bassa soglia di accesso: Drop in (centri diurni che offrono materiale sterile, naloxone, informazione e consulenza per l’uso sicuro e il safer sex, accompagnamento, orientamento all’uso dei servizi, generi di prima necessità), Infoshop (centri di consulenza per l’uso sicuro mirata soprattutto alle fasce giovanili), Stanze del consumo (luoghi dove consumare in modo sicuro e igienico alla presenza di operatori, attivi in tutta Europa non sono presenti in Italia)
Servizi di outreach: intervengono – con o senza unità mobile – nei luoghi di aggregazione e/o consumo, offrono materiale sterile, naloxone, informazione e consulenza per l’uso sicuro, ascolto e accompagnamento; nei setting di consumo e nei luoghi del loisir offrono drugchecking, chill out, pronto intervento sanitario
Servizi di netreach: informazione e consulenza di RdD /LdR sul web, sia professionale che tra pari. Offrono programmi di self monitoring e self evaluation, per facilitare la consapevolezza del consumatore circa il proprio modello di consumo
Interventi specifici
Trattamenti farmacologici in prospettiva RdD (metadone)
Counseling per la RdD, finalizzato a sostenere un consumo autoregolato e più sicuro e al miglioramento della qualità di vita
Distribuzione di materiale sterile per l’assunzione sicura di sostanze (siringhe, cannucce ecc) e ritiro di materiale utilizzato (siringhe)
Distribuzione di condom e informazioni sulle trasmissioni trasmissibili
Distribuzione di materiali informativi
Distribuzione ai consumatori di naloxone per prevenire le morti per overdose da oppiacei e relativo counseling formativo
Test rapidi HIV e HCV, effettuabili in contesti informali
Acoltest nei contesti di divertimento, promuove consapevolezza e previene comportamenti rischiosi (guida)
Drug checking: analisi delle sostanze nei luoghi di consumo finalizzata all’informazione su composizione e qualità delle droghe acquistate e alla scelta consapevole dei consumatori