Nel 2021 saranno 60 anni dall’adozione della Convenzione singola delle Nazioni unite sulle sostanze psicotrope. In tutti questi anni le leggi e politiche “ispirate” hanno fallito nell’obiettivo di rendere ampiamente disponibili per fini medico-scientifici le piante e derivati elencati nelle quattro tabelle, mentre il loro uso non prescritto è stato sanzionato penalmente in tutto il mondo con crescenti violazioni di libertà e diritti.
Negli anni molti stati membri delle Nazioni unite hanno rivisto molte delle normative scaturite dalla ratifica delle Convenzioni dell’ONU in materia di stupefacenti – dopo quella del 1961, emendata nel ‘72, ne sono state adottate due, nel 1971 e 1988. Queste modifiche sono state sistematicamente stigmatizzate dai rapporti annuali della Giunta internazionale per gli stupefacenti, INCB, perché condonavano l’uso “ricreativo” delle sostanze sotto controllo.
Le politiche attorno al sistema internazionale di controllo degli stupefacenti si discutono all’ONU di Vienna, UNODC, dove la C sta per crimine, quelle sugli aspetti sanitari della vita pubblica nelle agenzie delle Nazioni unite di Ginevra. Da quasi 40 anni non c’è condivisione di analisi e valutazioni tra questi uffici né si è pensato di riformare la gerarchia della gestione dei vari programmi in modo tale da far tesoro delle esperienze nell’applicazione di determinate scelte.
Anche per questo nessuna delle 63 sessioni della Commissione ONU sulle droghe, CND, si è mai aperta con la proclamazione di obiettivi raggiunti – nella migliore delle ipotesi si è preso atto che la domanda e l’offerta erano stabili, ma strutturalmente presenti in tutti i paesi del mondo.
Anche se l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e poi UNAIDS, hanno detto parole chiare circa la necessità di promuovere politiche di riduzione del danno da uso problematico di sostanze sotto controllo, l’UNODC e l’INCB non hanno mai messo in dubbio la centralità delle tre Convenzioni né si sono mai assunte la responsabilità di valutare l’impatto di decisioni prese molti anni fa quando il fenomeno era di dimensioni e portata molto diverse.
Ad aprile 2020 il Comitato ONU sui diritti economici, sociali e culturali ha pubblicato il suo Commento Generale sulla Scienza. Si tratta di un documento che dettaglia e approfondisce le implicazioni derivanti dall’articolo 15 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali passando in rassegna i testi che la Comunità internazionale ha dedicato alla scienza e specificando gli obblighi degli Stati relativamente alle implicazioni derivanti dal “diritto alla scienza”.
Il Commento Generale servirà, tra le altre cose, ad assistere gli Stati parte a preparare i loro rapporti per le Nazioni unite inerenti al rispetto degli obblighi derivanti dalla ratifica del Patto.
Un paragrafo è stato dedicato alle sostanze controllate: […] La ricerca scientifica è compromessa per alcune sostanze ai sensi delle convenzioni internazionali sul controllo delle droghe, in quanto tali sostanze sono classificate come dannose per la salute e prive di valore medico-scientifico. Tuttavia, alcune di queste classificazioni sono state fatte senza un adeguato supporto scientifico a comprovare la decisione, in quanto esistono prove credibili sugli usi medici di alcune sostanze, come la cannabis per il trattamento di alcune epilessie. Pertanto, gli Stati parte dovrebbero armonizzare l’adempimento dei loro obblighi ai sensi del regime internazionale di controllo della droga con i loro obblighi di rispettare, proteggere e adempiere al diritto a partecipare e a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni (RPEBSPA), attraverso una revisione periodica delle sue politiche in relazione alle sostanze controllate. Il divieto di ricerca su tali sostanze è in linea di principio un limite del RPEBSPA e dovrebbe soddisfare i requisiti dell’articolo 4 del Patto. Inoltre, a causa dei potenziali benefici per la salute di queste sostanze controllate, queste restrizioni dovrebbero anche essere ponderate in relazione agli obblighi degli Stati parte ai sensi dell’articolo 12 del Patto.
Senza menzionarla, si tratta di una dichiarazione di incongruità tra quanto previsto dalle Convenzioni sulle sostanze stupefacenti e quanto stabilito dal Patto, un documento che ha precise implicazioni costituzionali a differenza delle convenzioni.
Il Commento dedica anche un paragrafo al principio di precauzione, una “linea guida” che, teoricamente, potrebbe esser stata l’ispirazione della necessità di prevedere sanzioni per usi di sostanze psicoattive al di fuori della sfera medico-scientifica: Il principio di precauzione non dovrebbe ostacolare e prevenire il progresso scientifico, il che è benefico per l’umanità. […] Dovrebbe essere in grado di affrontare i rischi disponibili per la salute umana, l’ambiente, ecc. […] In casi controversi, la partecipazione e la trasparenza diventano cruciali perché i rischi e i potenziali di alcuni progressi tecnici o di alcune ricerche scientifiche dovrebbero essere resi pubblici affinché la società, attraverso una deliberazione pubblica informata, trasparente e partecipativa, possa decidere se i rischi sono accettabili o meno.
Sebbene in passato buona parte delle ricerche commissionate avesse come obiettivo quello di dimostrare la dannosità dell’uso di certe sostanze, anche grazie al rilassamento di leggi e politiche a livello locale e alla progressiva regolamentazione legale della cannabis, la letteratura scientifica ha prodotto studi di segno opposto rispetto a quanto prodotto negli anni ‘70 e ‘80.
Più nel dettaglio, a proposito delle sostanze sotto controllo internazionale, il Commento Generale afferma che: […] In particolare, gli Stati dovrebbero compiere tutti gli sforzi per garantire che i farmaci e i trattamenti medici, anche nel campo della dipendenza da droghe, siano basati su prove, che i loro rischi siano stati adeguatamente valutati e comunicati in modo chiaro e trasparente, in modo che i pazienti possano fornire un consenso adeguatamente informato.
Senza menzionare limiti o divieti imposti arbitrariamente, si segnala che certe scelte vanno contro il pieno godimento del diritto alla salute e pongono problemi strutturali rispetto alla protezione e promozione del diritto alla scienza.
A conferma di quanto affermato dal Commento Generale, già nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva raccomandato la riclassificazione della cannabis nelle tabelle internazionali. La decisione prevista per la sessione di marzo 2020 della Commissione ONU sulle Droghe è stata posticipata alla sessione supplementare del 3-4 dicembre.
Dal 2020, grazie al Commento Generale sulla Scienza abbiamo un ulteriore documento che conferma la necessità di aggiornare norme non in linea con gli obblighi internazionali degli Stati.
In attesa che a dicembre la CND voti sulla raccomandazione dell’OMS sulla cannabis, occorre agire per far sì che il sessantesimo anniversario della Convenzione singola che si celebrerà l’anno prossimo diventi momento di valutazione politica, giuridica, socio-sanitaria ed economica di quanto (non) accaduto relativamente almeno all’accesso all’uso medico e scientifico delle piante sotto controllo internazionale.
Affrontati il rispetto del diritto alla salute e di quello alla scienza sulla base delle lezioni apprese e dei principi internazionali, la revisione degli aspetti penali non potrà che seguire.
Articolo di Marco Perduca e Guido Long
In 60 anni le Nazioni Unite hanno più volte cambiato idea, e raccomandazioni, sulla cannabis. Onu Onui Lupus?