Una settimana prima della Conferenza Autoconvocata di febbraio 2020, rinviata poi per l’esplosione della pandemia, a Roma gli operatori della Rete Italiana della Riduzione del Danno hanno lavorato per una giornata attorno al nodo della riduzione del danno come paradigma, efficace in quanto pragmatico, alle politiche delle droghe. Dicevamo allora che “non è vero che il dibattito sulle droghe in Italia è fermo: ogni giorno centinaia di operatori nelle Unità Mobili, nei SerD e nelle Comunità Terapeutiche discutono, riflettono e innovano la strategia di intervento e il lavoro, e funzionano come leva per il cambiamento”. È vero però anche che questo lavoro di pensiero di innovazione, sempre più stanco col tempo, non trova da 21 anni alcuna sponda per vedersi riconosciuto e per essere leva all’innovazione del sistema dei servizi e delle politiche. Mentre il mondo dei consumi di droghe è cambiato radicalmente, il dibattito pubblico è ideologico e finisce per minare gli sforzi di quanti (amministratori locali, operatori sociali e sanitari, attivisti e consumatori) cercano a fatica di lavorare sul fenomeno per governarlo evitando inutili sofferenze e violazioni dei diritti.
In Italia nel 2021 si fa fatica ad affidare le terapie sostitutive nei SerD a migliaia di persone perché due giovani sono morti assumendo metadone comprato al mercato grigio; in alcuni servizi pubblici si accede solo se accompagnati dai genitori se si hanno meno di 25 anni; si spendono milioni di euro per appostamenti di poliziotti dentro e fuori le scuole per scovare pochi grammi di marijuana. Nel frattempo, però ci sono gruppi che fanno il drug checking; nelle scuole ogni giorno gli operatori che incontrano gli studenti cercano modi innovativi per tenere aperta la porta alla comunicazione sulle droghe, mentre fuori piove criminalizzazione e disinformazione; ci sono persone che usano droghe che si prendono cura degli spazi di consumo per renderli il più sicuri possibile.
È il momento adesso di mettere in discussione queste contraddizioni.
Prima di me, in tanti hanno sottolineato perché sia urgente una Conferenza. Finora nessuna Conferenza del Governo, per quanto prevista per legge, ha scatenato riforme e innovazioni, e forse non ce ne dobbiamo aspettare ora. Sarebbe il segnale che il discorso pubblico sulle droghe riprende forte, all’insegna delle evidenze scientifiche e delle competenze di chi lo conosce e senza alcuna zavorra ideologica.
Quello che ci aspettiamo come risultato di questo dibattito è stato scritto benissimo fino a qui. Mi concentrerei quindi sul processo.
Dopo così tanto tempo, non può essere una Conferenza di rito a cambiare le carte in tavola, soprattutto dopo un periodo come quello della pandemia che ha messo a dura prova i servizi e le persone che usano droghe.
Devono essere fissati gli obiettivi di una strategia di lungo periodo e una scadenza per valutarli.
Deve esserci un lungo percorso che ne accompagni la preparazione, nel quale coinvolgere operatori, ricercatori, le associazioni della società civile, le persone che usano droghe e le loro rappresentanze.
Non è mancata una decisione in questi anni, giacché non decidere è di per sé una scelta politica. Se il Governo convocasse la Conferenza, e quindi se si decidesse di prendere delle decisioni, allora queste dovrebbero essere prese con la partecipazione di tutti, indipendentemente dalle appartenenze e forti delle competenze che la società civile e gli operatori hanno acquisito in questi anni da “acrobati sulle macchine volanti, ma danneggiate”.
Si devono raccontare e ascoltare le esperienze di drug checking che tanta fatica hanno fatto ad affermarsi in questi anni; si devono ascoltare le esperienze di spazi sicuri per il consumo; si deve dar voce alla ricerca sui modelli di consumo non problematici che in Italia è portata avanti da ricercatori indipendenti.
Devono esserci delle tappe, locali e tematiche magari, per dare voce a quanti si sforzano ogni giorno di lavorare in questo clima nel quale non decidere è di per sé una scelta. La Conferenza deve essere organizzata includendo questi punti di vista, innovativi e molteplici, nella sua costruzione.
Queste esperienze hanno trovato voce negli ultimi anni nei seminari e negli incontri, nelle campagne e nelle iniziative che la società civile ha costruito per tenere aperto a forza un discorso, quello sulle politiche sulle droghe, che altrimenti si sarebbe chiuso e che a Febbraio 2020 si erano assunte la responsabilità di organizzare un evento aperto che colmasse il vuoto che i governi hanno lasciato negli ultimi anni.
Non mi riesce di pensare una Conferenza senza questa partecipazione.
Articolo di Pino Di Pino
La conferenza nazionale non può prescindere dalla riduzione del danno e dagli operatori che ci lavorano.