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Il 2 giugno scorso, nell’anniversario del referendum che vide nascere la Repubblica, ci ha lasciato un grande italiano, Luigi Saraceni, magistrato, parlamentare, avvocato e appassionato militante della battaglia antiproibizionista: a lui dedichiamo questo quindicesimo Libro Bianco sui perduranti effetti insalubri e criminogeni della legislazione italiana sugli stupefacenti.
Non era solo lo spirito illuminista e garantista a spingere Saraceni a contestare le leggi punitive. Soprattutto lo muoveva la dolorosa consapevolezza che la stupidità moralistica faceva vittime tra i giovani più deboli, colpiti dal carcere e dallo stigma.
Partecipò con sagacia alla elaborazione del referendum del 1993 che eliminò gli aspetti più inaccettabili della Iervolino-Vassalli e soprattutto fu l’inventore della ipotesi di ricorso alla Corte Costituzionale sulla Fini-Giovanardi. La suggestione nacque nella splendida cornice di Ortigia, a Siracusa, durante un seminario della Società della Ragione. La sua memoria per sostenere l’incostituzionalità e il testo in cui contestava la scelta del Governo di costituirsi tramite l’avvocatura dello Stato per difendere una vergogna smisurata sono due saggi esemplari. Cancellata la Fini-Giovanardi elaborò la tesi, presentata in un convegno a Udine, per la revisione delle sentenze decise sulla base della legge bocciata.
Il suo esempio ci sarà indispensabile per ripresentare un referendum sulla decarcerizzazione della detenzione di cannabis. Dopo la scelta del Governo di alzare le pene per i fatti di lieve entità previsti dal 5° comma dell’art. 73 del DPR 309/90 e quella di equiparare, nel Disegno di legge in discussione in Parlamento sulla sicurezza (AC n.1660), la cannabis light a quella con capacità drogante, non rimane che il confronto nel Paese. Prova che fu impedita nel 2022 da una sciagurata interpretazione dei limiti al potere referendario sostenuta dalla Corte presieduta da Giuliano Amato.
Veniamo ai dati di questo Libro Bianco, elaborati sempre con precisione da Maurizio Cianchella, che ci avverte che purtroppo non c’è “niente di nuovo sotto il sole”.
Questa costanza non è solo fonte di noia nel commentare l’eterno ritorno dell’identico, ma conferma la pervicacia nel nostro Paese di una politica criminale che, al contrario, non è più egemone nel mondo.
Su 40.661 ingressi nel 2023, ben 10.697 (il 26,3%) sono dovuti alla violazione dell’art. 73 della legge sulle droghe e 15.492 (38,1%) sono le persone classificate come tossicodipendenti. Una cosa abnorme.
I numeri dei presenti confermano la preponderanza della questione sociale legata al consumo e al piccolo spaccio di droghe. 60.166 detenuti di cui 19.521 (34,9%) per violazione dell’art. 73 e 17.405 (28,9%) classificati come tossicodipendenti.
La simulazione di un carcere senza i prigionieri frutto della legge proibizionista sulle droghe rende evidente che non ci sarebbe sovraffollamento e il carcere potrebbe essere l’extrema ratio. Scomparirebbe anche l’intasamento dei tribunali.
D’altro canto, continuano ad aumentare le misure alternative, ma senza svuotare le galere, che subiscono un costante aumento di ristretti, e continuiamo a registrare una distonia tra il generico affidamento in prova ai servizi sociali, cui si accede prevalentemente dalla libertà, e quello specifico per tossicodipendenti, che nella gran parte dei casi passa per un “assaggio” di carcere.
Le segnalazioni ai prefetti per detenzione di sostanze per uso personale continuano a crescere implacabilmente, producono più di tredicimila sanzioni l’anno che per il 76% si riferiscono a consumatori di cannabis. Una cosa davvero allucinante.
Alle carceri servirebbe, nell’immediato, un radicale provvedimento deflattivo, che cancelli il surplus di inutili pene detentive prodotte direttamente o indirettamente dalla legge proibizionista sulle droghe, o quanto meno si dovrebbe modificare l’art. 79 della Costituzione per rendere agibile l’adozione di un provvedimento di amnistia e indulto da parte del Parlamento, accompagnato dall’istituzione di Case di reinserimento sociale per ospitare le persone con pede inferiori a dodici mesi e con una gestione affidata al Sindaco e con una pratica sociale per superare l’esclusione attraverso l’impegno della comunità e delle associazioni di volontariato.
Le proposte intelligenti e ragionevoli ci sono. Oggi si scontrano contro l’aberrazione del Governo che vuole punire finanche la disobbedienza pacifica e nonviolenta in carcere: l’unico modo, spesso, per i detenuti, di richiamare l’attenzione della direzione e del magistrato di sorveglianza sui propri diritti.
Toccherà ai garanti, alle famiglie, alle associazioni del volontariato e della società civile restare vigili e denunciare gli abusi e i soprusi che ne potranno venire, insieme con quel terrificante stillicidio di morti suicidi per disperazione.
Nel Libro Bianco sono presenti approfondimenti per rispondere alla proposta di spostare i “tossicodipendenti” dal carcere alle comunità chiuse. Finora il sottosegretario Mantovano non è riuscito nell’intento, ma già si affaccia una nuova forma di esternalizzazione della custodia dei tossicodipendenti e dei marginali, le “comunità educanti”, di cui vorremmo capire natura e finalità: liberante, coattivamente terapeutica o diversamente (privatisticamente) reclusoria?
È tempo di cominciare a lavorare a una nuova politica sulle droghe, sulla scia di quanto si è venuto affermando in molte parti del mondo. Decarcerizzazione, depenalizzazione e legalizzazione non sono dietro l’angolo, in questo sciagurato Paese ottenebrato dalla cultura proibizionista, ma sul territorio, nella collaborazione tra servizi, terzo settore ed enti locali si possono portare avanti sperimentazioni e costruire progettualità alternative. Da lì bisogna ripartire per perseguire il nostro ritorno al futuro

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    Aggiunto in data: 22 Giugno 2024 19:18 Dimensione del file: 3 MB Download: 911