MILANO – Lo facevano perfino meglio degli adulti, che senza saperlo, o non volendo vedere, glielo avevano insegnato. Quarta classe di una scuola elementare: tiri tu o tiro io che giochiamo alla droga? Simulazione di spaccio di cocaina, confezionata con i reali arnesi del mestiere e una certa maestria. Una pellicola di cellophane, di quelle per contenere gli alimenti da frigo, e un accendino per sigillare, dosando il giusto la fiamma. Falsa era solo la polvere bianca, una gomma per cancellare sbriciolata e infilata nel cellophane. All’intervallo, i bimbi si riunivano: chi vendeva, chi comprava, chi offriva sconti.
Le indagini sono state completate, la scuola ha preso provvedimenti. «Darete la colpa a noi, direte che non abbiamo visto, non ci siamo accorti», si piange addosso una maestra. L’allarme l’ha dato una mamma. Un giorno che preparava una torta, in cucina s’è visto il figlioletto inventarsi chimico. Lì, sul tavolo. Le bustine, l’accendino, la gomma… Allora ha domandato, lui ha raccontato che è iniziato per quel compagno, che ha portato la novità, tutti l’hanno prima invidiato, quindi ammirato, infine gli sono andati dietro, cercando di superarlo. Dice un poliziotto, uno che arrestandoli anche quattro volte nell’arco di trent’anni, ha visto ragazzini diventare adolescenti, padri e nonni — tutto subito, in fretta, intervallato dalla galera —, dicevamo, racconta il poliziotto che ha avvicinato un bambino, e ha domandato: «Mi spieghi cosa fai?». «L’ho imparato da papà. Lo fa ogni sera».
È una Milano che si bagna la bocca con l’Expo e si sporca sempre più il naso con la cocaina. La coca si abbassa di prezzo, si svende, esonda, ma «tanto non importa, è accettata, tollerata », è il ritornello di certi investigatori, che, dicono, rimangono «inascoltati». Cosa volete, replica qualcheduno: sarà che i fari sono puntati altrove, di questi tempi fanno cassa altre battaglie, del resto «pippano tutti», e i vicini di casa e i colleghi e l’amico. E poi, in fondo, se è vero che ogni emergenza ha il suo tempo per il clamore, magari la cocaina ha già perso il treno e buonanotte: viene da sintetizzare così, con un certo freddo, rassegnato (metropolitano?) realismo, il colloquio con due genitori, con i quali siamo stati fuori dalla scuola, «e per fortuna è chiusa, a me a pensare a settembre mi viene la nausea» dice la mamma. La donna indica una finestra, «la classe è quella». Il marito la cinge con un abbraccio, lei non lo rifiuta, anzi; sembra di star davanti a una perdita, che si piange e rimpiange. «Lo sa che in casa alle otto di sera già tiro giù le tapparelle? Quante brutte cose ci sono in strada che mio figlio può vedere? La sa la storia delle sentinelle?». C’è un palazzo, nei dintorni, con begli alberi nel giardino. All’ingresso di un androne si spaccia. Vicino agli alberi, dodicenni montano la guardia. Se passa qualcuno in odore di portar guai — la polizia o un tossico in astinenza e senza un euro — si fa un fischio, e quelli che spacciano scompaiono. Più si fischia e a fine nottata più si viene premiati. Naturalmente con la coca. Semplice, semplicissimo, insomma un gioco.