Numero 15 – Maggio* 2019
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A cura di Francesco Crestani
Associazione Cannabis Terapeutica
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CBD nei bimbi epilettici
Questo studio valutava la farmacocinetica del CBD, cioè come il farmaco viene assorbito e metabolizzato dall’organismo. Sono stati seguiti 61 bambini con epilessia farmaco-resistente, ai quali era somministrato CBD puro sintetico. Vi era variabilità tra individuo ed individuo, ma tendeva a scendere con le dosi multiple. Inoltre la somministrazione contemporanea di clobazam, farmaco anti-epilettico, aumentava l’assorbimento del CBD. La somministrazione era comunque in genere sicura e ben tollerata.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=wheless+dlugos+miller
Epilessia: più CBD, più risposte
Cento pazienti, 56 adulti e 44 bambini, con epilessia refrattaria, sono stati trattati con Epidiolex, farmaco a basi di CBD estratto dalla cannabis, approvato negli USA per questo disturbo. I risultati dimostrano che a maggior dosaggio corrisponde maggior risposta terapeutica. Si andava dai 5 mg per kg al giorno fino a 50 mg per kg/dì. Gli autori concludono: “Non vi è dubbio ormai che il CBD sia efficace nell’epilessia farmacoresistente: Piuttosto la questione rimane se sia efficace da solo o in combinazione con il THC e/o con altri fitocannabinoidi..”. Inoltre gli autori chiariscono che i loro risultati sono specifici per l’Epidiolex e non devono essere estrapolati per altri prodotti a CBD.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31048098
Più canapa light, meno farmaci?
Uno studio di ricercatori italiani dimostrerebbe che l’apertura dei negozi di cannabis light nel nostro paese ha portato a riduzione dell’uso di farmaci. E’ stata misurata la vendita dei farmaci provincia per provincia in relazione all’apertura di questi negozi. In particolare l’uso di sedativi si è ridotto dell’11,4%, di sedativi del 10% e di antipsicotici del 4,8%. Quindi si tratta di terapie per le quali il CBD è riconosciuto aver un effetto clinico. Minore la riduzione degli altri farmaci monitorizzati, cioè anti-epilettici, anti-depressivi, oppiacei e anti-emicranici, tutti attorno all’1%; si tratta, riportano gli studiosi, di farmaci che richiedono una terapia costante e importante, spesso prescritta da specialisti, e per i quali il cambiamento verso una terapia “alternativa” basata sull’auto-medicazione può essere problematico. La riduzione si ha a partire dal secondo mese dopo l’apertura in provincia della rivendita, e diviene accentuata dopo il terzo mese, il che può indicare, a detta degli autori, che le persone cominciano a sostituire la terapia dopo alcune settimane di esperimenti o dopo aver realizzato che il nuovo prodotto è divenuto localmente disponibile. Gli studiosi concludono che vi sono alcune importanti implicazioni. Per prima cosa, può essere necessaria una regolamentazione più chiara del mercato della canapa light accanto a una maggiore disponibilità di cannabis medica, in quanto gli effetti trovati potrebbero dipendere da un canale di distribuzione mal progettato della cannabis medica. Secondo, i politici dovrebbero essere molto attenti ai potenziali effetti indesiderati di politiche di liberalizzazione in quanto le persone potrebbero in parte allontanarsi da terapie tradizionali per iniziare terapie non supportate clinicamente. Terzo, poichè i farmaci abbandonati sono in genere a carico del servizio sanitario, mentre ovviamente la canapa light non lo è, si ha un aumento della spesa sanitaria da parte dei soggetti e un risparmio da parte del settore pubblico. Tuttavia in assenza di validazione clinica della cannabis light, questo beneficio economico a breve termine potrebbe essere superato da maggiori costi a lungo termine riguardanti la sanità pubblica. Questo esige una efficace regolazione del mercato e una valutazione dell’uso della cannabis light a fini medici.
https://www.york.ac.uk/media/economics/documents/hedg/workingpapers/1907.pdf
“Marijuana” nella sclerosi multipla
In questa ricerca eseguita negli Stati Uniti si è visto che i malati di sclerosi multipla più frequentemente riferivano di aver usato “marijuana” (non cannabis terapeutica) negli ultimi tre mesi rispetto a non malati.
Se la cannabis dà il vomito
In alcuni soggetti l’uso cronico di cannabis provoca una strana sindrome, con vomito e necessità di fare bagni frequenti. Questa “sindrome da iperemesi da cannabis” regredisce se si smette l’uso della pianta. Viene però qui riportato un caso di un malato di SLA che assumeva cannabis per trattare i sintomi della malattia, e nel quale era insorta la sindrome. Egli usava cannabis per via orale insieme a vaporizzazione. Smise quindi di usare la cannabis vaporizzata, ma non quella per bocca (prodotti “edibili” non specificati), con risoluzione totale del disturbo, anche a un anno di follow up. Quindi la completa astinenza dalla cannabis, conclude l’autore, può non essere richiesta per la risoluzione della sindrome.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31084461
Sondaggio fra pazienti con glioma
In Florida è stato svolto un sondaggio su 73 pazienti con glioma afferenti ad alcune cliniche; 73 hanno risposto.Un terzo ha riferito di usare la cannabis o olio al CBD dopo la diagnosi. Le ragioni più comuni per l’uso erano il dolore, la nausea, la stimolazione dell’appetito, il rilassamento, il far fronte alla malattia dal punto di vista emozionale, le convulsioni e il sonno. Tre pazienti la usavano per controllare il tumore. Nessuno riferiva peggioramenti dovuti alla cannabis.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=medical+cannabis+use+glioma+florida
Pomata al CBD per malattie della pelle
Una piccola casistica italiana, venti pazienti, riporta gli effetti su alcuni malattie della pelle (psoriasi, dermatite allergica e cicatrici). E’ stata somministrata una pomata contenente vari fitoterapici, tra i quali olio di CBD. Dopo tre mesi gli autori riportano vari miglioramenti, per la qual cosa concludono che la somministrazione locale di CBD è una sicura ed efficace alternativa per migliorare la qualità della vita in alcuni disturbi della pelle, specie su base infiammatoria.