Numero 37 – Marzo 2021
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A cura di Francesco Crestani
Associazione Cannabis Terapeutica
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La rubrica di questo mese sarà leggermente differente dalle precedenti. Daremo conto di un solo studio clinico, non perché negli ultimi tempi non ne siano stati pubblicati altri; anzi ne sono usciti parecchi nelle precedenti settimane, e di questi renderemo conto nei prossimi numeri. Inoltre non si tratta di uno studio rivoluzionario o fondamentale. Non si tratta infatti di una ricerca in doppio cieco contro placebo controllata e randomizzata, ma di una “semplice” raccolta di casi clinici. Secondo la Medicina Basata sulle Prove di Efficacia, quindi, la qualità è molto bassa. L’Evidence Based Medicine, tradotta spesso erroneamente Medicina Basata sulle Evidenze (Evidence corrisponde in italiano a “prova”, quale quelle ad esempio portate nei processi) mette in cima alla qualità le metanalisi, cioè gli studi che riassumono con metodiche statistiche i risultati provenienti da tutte le possibili ricerche controllate effettuate su un certo cora. Seguono poi appunto le ricerche controllate, le casistiche e infine i casi clinici. Dal punto di vista clinico applicativo vengono ancora dopo gli studi sperimentali farmacologici, ad esempio su cellule o su animali. Ad esempio riguardo ai cannabinoidi esistono molti studi “in vitro” che evidenziano una attività antitumorale; da qui a dire che la cannabis “cura il cancro”, come molti affermano sul web, ne passa parecchio.
Allo stesso modo, i singoli casi hanno un basso peso scientifico. Se poi si tratta di “casi” pubblicati su giornali, riviste non mediche, su Youtube o altri siti internet, non vengono nemmeno presi in considerazione, in quanto non ci sono prove scientifiche sulla loro realtà o validità. Anamnesi, esami clinici, laboratoristici, terapie concomitanti, decorso nel tempo… nulla spesso viene riferito. Talora la pubblicità su certi casi fa anche più male che bene, come dimostrato dalla cronaca recente sui vaccini per il Covid 19. Alcuni, rarissimi, casi sfortunati “associati” al vaccino sono stati sbattuti in prima pagina. Non importa che la statistica indichi chiaramente che un vaccino è sicuro e dà enormi vantaggi. La scienza, la cultura hanno fatto passi da gigante garantendoci sicurezze e vantaggi, ma noi siamo legati ancora a “bias cognitivi”, e reagiamo emotivamente di più di fronte al caso di una persona, magari ben individuata con foto, intervista a familiari piangenti, che non a statistiche matematiche. Abbiamo spesso visto in televisione fior di scienziati che hanno dedicato la vita a certi campi, messi a confronto con persone totalmente a digiuno della materia, ma che raccontavano storie (purtroppo per loro, ovviamente) strappalacrime. Ecco, un dibattito così non ha storia: i milioni di persone che assistono, istintivamente daranno ragione ai secondi, e nessuna prova scientifica scalfirà quella reazione istintiva. Abbiamo la scienza del ventunesimo secolo, ma il nostro cervello è ancora al pleistocene. Ovviamente i casi clinici che invece vengono pubblicati su riviste mediche “indicizzate”, cioè presenti negli indici delle banche mondiali di letteratura scientifica, hanno altro valore. Gli autori, per poter pubblicare questi articoli, devono fornire tutta una serie di dati che verranno controllati uno a uno da revisori esperti in materia e sconosciuti agli autori. Pubblichiamo questo mese una casistica di questo tipo, perché comunque ci preme ricordare che dietro i “freddi” numeri delle statistiche, dietro le curve e le barre dei grafici, ci sono persone che soffrono.
Lo studio è stato svolto in Israele e riguarda l’uso di cannabis nell’iperemesi gravidica IG. È noto l’effetto dei cannabinoidi nella nausea e vomito da chemioterapia, e da più di venti anni esiste in America un farmaco a base di THC puro proprio con questa indicazione. Se la nausea e il vomito in gravidanza può affliggere fino all’80% delle donne, l’iperemesi fortunatamente interessa solo l’1-2% di queste. Si tratta non di “semplice” nausea, ma di nausea severa e protratta con attacchi multipli di vomito, perdita di peso e disidratazione, che rispondono poco alle usuali terapie, tanto che in vari casi è necessario il ricovero in ospedale per un supporto nutrizionale. Riguardo all’uso di cannabis, in letteratura c’è poco: un sondaggio svolto alle Hawai tra il 2009 e il 2011 riportava che il 21,2% delle donne che avevano nausea severa durante la gravidanza riferivano un uso maggiore di “marijuana” (Robertson et al. 2014)
Nello studio in oggetto sono presentati tutti i quattro casi che si sono in successione presentati ad un ospedale universitario. La prima era un medico di 32 anni alla terza gravidanza (anche nelle due precedenti aveva sofferto di IG). I sintomi iniziarono alla sesta settimana, e rispondevano solo in parte alle normali terapie. Il suo punteggio della scala per la IG (PUQE), che va da tre (nessun sintomo) a quindici (sintomi massimi) era di 13. Iniziò a usare la cannabis, al 18-23% THC e 0.8-1% CBD, per inalazione alla undicesima settimana. Nausea e vomito scomparivano completamente dopo 2-3 puff e l’effetto durava per tre ore. Dopo alcune settimane l’effetto si ridusse, coprendo solo due ore, comunque il punteggio era sceso a sette, usando 1-2 grammi di erba al giorno. Migliorò anche la qualità della vita e riprese i chili che aveva perso. Il bambino non ebbe alcuna conseguenza e anche il suo sviluppo fu regolare.
La seconda donna aveva 32 anni, nella prima gravidanza aveva avuto IG, ma era diventata allergica ai farmaci. In questa sua seconda gravidanza era stato necessario il ricovero in quanto vomitava anche settanta volte al giorno. Il PUQE era 15. Cominciò a usare una cannabis simile alla precedente, sotto forma di sigarette, e due-tre puff risultavano in scomparsa totale di nausea e vomito, con ripresa dell’alimentazione. Anche il suo bambino non dimostrò alcun deficit di sviluppo.
La terza donna vomitava 20-25 volte al giorno, e necessitava di terapia endovenosa continua. Provò a utilizzare gocce sublinguali di cannabis, ma senza effetto, mentre rispose a cannabis fumata, 1 grammo al giorno. Dimostrò miglioramento del PUQE, della qualità della vita, minor depressione, miglioramento dell’appetito e ripresa dei chili che aveva perso. Il bambino non dimostrò alcun problema.
L’ultimo caso era di una donna che soffriva di fibromialgia e colite trattata con cannabis, che però aveva interrotto prima di rimanere incinta. Il suo PUQE era al massimo, ma riprendendo a usare la cannabis scese a 8. Per motivi religiosi non usava cannabis al sabato, e in quel giorno tornava ad avere nausea. La sua bambina nacque e si sviluppò normalmente.
Naturalmente si tratta di dati provvisori, e necessitano di future ricerche per essere confermati; gli autori però concludono che il loro rapporto suggerisce che la cannabis potrebbe essere testata, sotto stretto controllo, per questa forma di disturbo.
È importante sottolineare che si trattava di casi molto gravi, seguiti sotto stretto controllo medico, e che la cannabis – come qualsiasi altro farmaco – non dovrebbe essere utilizzata in gravidanza.
https://jcannabisresearch.biomedcentral.com/articles/10.1186/s42238-020-0017-6