È ancora forte l’emozione, dolorosa, per la morte di Barbara Capovani, la psichiatra aggredita e uccisa a Pisa. Parlarne non è facile, immaginando la sofferenza dei suoi familiari, degli amici, dei colleghi. Ma perché non resti un fatto di cronaca nera, bisogna intervenire con razionalità su questa tragedia, per evitare che ne accadano altre, e per restituire senso e valore al lavoro per la salute mentale. Servono interventi concreti, con priorità verso misure per prevenire la violenza contro gli operatori, nel rispetto dei diritti costituzionali. Servono finanziamenti, assunzioni, formazione; e servono modifiche legislative. Occorre riportare al centro del dibattito pubblico l’urgenza di restituire forza ai servizi e agli operatori del Servizio Sanitario Nazionale. Un SSN ferito da anni di tagli e di trascuratezza politica, che, nonostante la lezione della pandemia, oggi è tornato ad essere marginale nelle scelte dei governi; anzi con il recente DEF se ne programma il ridimensionamento. Particolarmente drammatica è la situazione dei servizi della salute mentale, per chi vi lavora e per i cittadini utenti. Sugli operatori si sono scaricate enormi responsabilità, quasi mai assicurando risorse adeguate, alimentando insicurezza e paure, atteggiamenti difensivi. È così che trova spazio la voce di chi evoca il ritorno dei manicomi, di chi non ha mai digerito la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e propone di moltiplicare i posti nelle Rems, sancendo così il loro ruolo di nuovi Opg. In questi giorni abbiamo visto come la tragedia di Pisa sia stata strumentalizzata da chi pensa alla psichiatria come strumento di controllo sociale, invece che come caposaldo per il diritto alla cura e alla salute di ogni persona.
Ma se vogliamo davvero difendere e rilanciare la legge 180, è indispensabile completarne il disegno riformatore che si è interrotto e su cui era impegnato Franco Rotelli che ricorderemo sabato 6 a Trieste. Il passo compiuto con la legge 81 del 2015, che ha permesso la chiusura e il superamento degli Opg (che nemmeno la legge 180 era riuscita a scalfire), è stato importantissimo ma non è sufficiente. È rimasto in piedi il “doppio binario per i folli rei”: soggetti senza diritti e senza responsabilità. Se giudicati incapaci di intendere e volere non sono imputabili. Una situazione che non permette un effettivo esercizio della giustizia verso chi ha commesso reati, anche gravi. Con le misure di sicurezza detentive in Rems, viene affidato alla psichiatria un mandato sempre più “custodiale”, sostitutivo del carcere.
E allora bisogna cambiare questa situazione: affermare la responsabilità, commisurata alla condizione di salute, di ogni individuo che commette un delitto e il diritto di affrontare un processo e, se giudicato colpevole, ricevere una pena adeguata. In alcuni casi, soprattutto per i reati più gravi o per persone violente con gravi disturbi di personalità antisociale, il Dipartimento di Salute mentale dovrà effettuare un intervento terapeutico in carcere. Saranno previste misure alternative alla detenzione, con soluzioni individuali e percorsi volontari. Per questo, già nel 2021, con il manifesto “folli rei”, cancellare il codice rocco contro le insidie neo-manicomiali” (promosso da stopopg, la Società della Ragione, Coordinamento salute mentale e altri) abbiamo sostenuto un testo di legge in materia di imputabilità per le persone con disabilità psicosociale. La proposta di legge è stata ripresentata in questa legislatura alla Camera dei deputati con il n. 1119, sempre da Riccardo Magi e ora va rilanciata. È una risposta concreta e coerente e ripropone l’urgenza di misure forti per assicurare il diritto costituzionale, troppo spesso negato, alla salute e alle cure anche in carcere.
Il manifesto folli rei e la proposta di legge su fuoriluogo.it