La sessione della Commissione droghe delle Nazioni unite, CND, che si apre oggi potrebbe segnare l’inizio di una nuova era del controllo internazionale degli stupefacenti. In agenda c’è infatti il voto su sei raccomandazioni che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, OMS, ha adottato qualche anno fa e che vogliono ricollocare la cannabis all’interno delle quattro tabelle che dal 1961 classificano piante e derivati psicoattivi a seconda della loro pericolosità.
Potrebbe quindi trattarsi di una decisione storica, se non fosse che la storia di quelle piante è millenaria e se non fossimo a quasi sessant’anni dall’avvio di leggi e politiche che negli anni Settanta hanno militarizzato la guerra alle droghe. Accettare le raccomandazioni dell’OMS vorrebbe dire riconoscere quanto la scienza dice da decenni relativamente ai possibili impieghi terapeutici della cannabis. E prendere atto del fatto che i rischi per la salute e l’ordine pubblico posti dalla pianta proibita sono minimi, e legati per l’OMS non tanto alla pianta in sé quanto all’essere la sostanza più diffusa.
Dalla metà degli anni ‘90 nel modo l’atteggiamento nei confronti della cannabis è progressivamente cambiato, specie negli USA. Ha iniziato la California legalizzando la medical marijuana. Negli ultimi ultimi 10 anni siamo arrivati a oltre 30 stati che ne consentono la prescrizione terapeutica e una quindicina che l’hanno regolamentata del tutto. Siamo lontani dalle decisioni strutturali a livello nazionale di Uruguay e Canada – che hanno legalizzato la pianta per tutti gli usi – ma il progresso è significativo. In Europa si va invece molto a rilento e con alti e bassi: la depenalizzazione inizia a farsi strada, ma il terrore del decriminalizzare l’uso della cannabis resta diffuso.
Una prima risposta a questi timori ancora ben radicati è stata data il 19 novembre dalla Corte europea di giustizia dell’UE che, bontà sua, ha chiarito definitivamente che il CBD, uno dei principi attivi della cannabis, non è da considerarsi come stupefacente. Non avendo effetti psicoattivi non va trattato come il THC, e può esser commerciato all’interno dell’Unione, se uno Stato membro ne consente produzione e vendita.
In questo scenario l’Italia si colloca in una strana posizione: dal 2007 consente la prescrizione di cannabinoidi terapeutici, dal 2015 produce infiorescenze con CBD e THC, ha progressivamente allentato le regole per le condizioni per cui la cannabis è utilizzabile (la rimborsabilità dipende dalle regioni) e in alcune università, come a quella di Modena e Reggio Emilia siamo all’avanguardia nella ricerca. Ma se la scienza progredisce, pure coi problemi dovuti allo stigma e al disinteresse pubblico, la politica quando può rallenta o ostacola il processo riformatore. Dopo aver ri-legalizzato la canapa industriale nel 2016 il quadro normativo è rimasto vago e spesso in preda alle isterie dei Ministri di turno. La mancanza di formazione e informazione ha fatto sì che i piani terapeutici a base di cannabis siano l’eccezione e non la regola, là dove invece la letteratura scientifica ne conferma l’efficacia. Mentre il monopolio pubblico (in capo al Ministero della Difesa!) non riesce a soddisfare il fabbisogno nazionale in termini di quantità e qualità. Per strani meccanismi consolidati l’importazione diretta viene consentita solo dall’Olanda mentre il resto dell’approvvigionamento avviene, con mille problemi, previe gare d’appalto d’emergenza gestite attraverso lo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze.
Oggi i canali social di Fuoriluogo racconteranno cosa succede alla CND con due live streaming a commento del dibattito: dalle 11 alle 13 e poi dalle 15. Il voto sulle raccomandazioni dell’OMS è previsto in tarda mattinata o nel primo pomeriggio; alle 18,30 ci saranno approfondimenti su tutto quanto ruota attorno alla cannabis a partire dalla sentenza della Corte di Lussemburgo sul CBD.
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