Che cosa dire del decreto legge 26/6/2013, appena varato dal nuovo ministro della Giustizia Cancellieri? Ci sono luci ed ombre, che è già qualcosa di questi tempi.
Cominciamo con le mezze luci. Il decreto è stato presentato come l’elevazione della pena ammissibile da 3 a 4 anni per la detenzione domiciliare. Per vero la pena ammissibile alla detenzione domiciliare era già di quattro anni, ridotta a tre per uno dei vari ritocchi dell’art. 47ter, collegato alla legge ex-Cirielli, di cui puntualmente troviamo la cancellazione delle tracce nel nuovo decreto. Perché l’art. 47ter viene rivisto e riorganizzato, con la soppressione del comma 01 e del comma 1.1, della limitazione prevista alla fine del comma 1bis, nonché, infine, degli artt. 30quater e 50bis e del comma 7 dell’art.58quater. Era ora e già che c’erano potevano sopprimere tutta la legge ex-Cirielli, che ha fatto tornare la recidiva ai tempi felici (per la recidiva) del Codice Rocco. Razionale il rimpiazzo del comma 0.1 con la lettera e-bis del comma 1 dell’art. 47ter, per gli ultrasettantenni, aggiunta ai casi previsti originariamente dal comma 1, dell’art. 47ter detenzione domiciliare; anche se questo allungherà i tempi di ammissione, fulminei nel primo caso di applicazione, riguardante Cesare Previti, per il quale era stato voluta la norma (“di pirsona, pirsonalmente”, come dice un personaggio del Commissario Montalbano di Camilleri).
Abbiamo esaminato prima l’articolo 2. L’art. 1 del decreto legge contiene disposizioni che riguardano l’art. 656 del C.p.p., cui vengono aggiunti i commi 4bis e 4ter, con disposizioni che appaiono ragionevoli, ma che avranno come risultato l’allungarsi (di molti mesi, se non di anni) dei tempi di ammissione alla detenzione domiciliare, con l’andirivieni tra P.M., magistrato di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza Il risultato per il quale è stato pensato il nuovo sistema è modesto, come le modifiche dei commi 9 e 10 dell’art. 656 C.p.p.(contenute nella residua parte dell’art. 1 del d.l.).
L’art. 3 del nuovo decreto legge estende, attraverso il comma 5ter, l’applicazione del comma 5bis dell’art. 73 del DPR 9/10/1990, n.309, che consente ai consumatori di sostanze stupefacenti, responsabili di ipotesi non attenuate, la possibilità di sostituire alla pena detentiva e pecuniaria, il lavoro di pubblica utilità, prevista dalla legge sul giudice di pace (art. 54). Un piccolo e limitato passo avanti per una legge rovinosa, attaccata recentemente anche sul piano della costituzionalità.
E’ l’art. 4 che rivela quella che potremmo chiamare la filosofia del decreto legge. Tale articolo fa emergere che c’è ancora una fiducia nella soluzione edilizia: un numero di posti maggiore in carcere risolve tutte le nequizie delle carceri italiane. Invece, non è così.
L’alluvione di detenuti è il frutto dell’alluvione della penalità, indotta da specifiche leggi, tra cui brillano la Bossi-Fini (in quasi tutte le regioni del Centro-Nord gli stranieri sono la maggioranza) e la Fini-Giovanardi (questa legge è responsabile di buona parte dei nuovi arresti), nonché la ex-Cirielli, responsabile dell’entità delle pene (causa recidiva) e della limitazione alle misure alternative. Questo avviene a criminalità calante o stabile. Il nuovo decreto legge non tocca queste, che sono le vere cause del sovraffollamento.
Quando le carceri ci sono, inesorabilmente le si riempiono, particolarmente se non se ne toccano le cause.
C’è tanto bisogno di quattrini in questa nostra Italia che li dissipa fra cacciabombardieri e carceri inutili a ridurre il sovraffollamento.